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Intendo dire che se non ci proponiamo e non riusciamo a produrre della realtà

sociale una teoria costruita con i concetti stessi di cui la generalità dei cittadini si

serve di fatto per valutare il mondo, escludiamo di fatto la possibilità per essi di

intervenire con conoscenza di causa sulle decisioni massime, quale che sia la per-

fezione eventuale dell'apparato di consultazione impiegato. Può esistere tutt'al

più in questo caso una ampia area di liceità, per il privato o per i gruppi, ma non

la possibilità di intervenire compiutamente ed efficacemente nella direzione della

cosapubblica. La mancanza di questo tipo di interpretazioni della realtà nella

cultura americana, pur così ricca, forse la più ricca di studi empirici, mi sembra

tra le cause immediate non minori dello svuotamento della democrazia america-

na, che si fonda appunto sulla passività e su una ampia area di liceità piuttosto

che sulla partecipazione. Le sottoculture, la tolleranza repressiva sono tra le ma-

nifestazioni di questo stato di cose.

Perciò mi sono sembrati completamente fuori tono i due interventi di Ales-

sandro Pizzorno comparsi su «La Repubblica» che contrapponevano all'astrattez-

za degli schemi dello stato di diritto la complessità dei gruppi di pressione, delle

mafie, dei centri di potere. Certo in Italia ci sono gruppi di pressione, mafie,

centri di potere; e c'erano anche sotto i Borboni; e ci sono in America; e ci sa-

ranno anche in Russia, anzi probabilmente ci sono più che mai, anche se fosse

vero che invece ai tempi di Lenin no, come Pizzorno afferma e come io non cre-

do. Quindi tutto è uguale a tutto e teniamoci i nostri gruppi di pressione. Ci sarà

pure una differenza tra le clientele sotto il fascismo e quelle sotto Andreotti: è

quella differenza che ci interessa. Pizzorno ha perfettamente ragione a prenderse-

la con la cultura italiana che non•studia i partiti e ne discute senza conoscerli, co-

me fa nella introduzione ad una utile raccolta di studi sul

Comunismo in Italia

e

in Francia

a cura di Beckner e Tarrow (ETAS libri, 1977); ha. perfettamente torto

acontrapporre a una discussione sul pluralismo, la separazione dei poteri ecc., la

melma dei gruppi di pressione. Se un colpo di stato abolisse il parlamento e la se-

parazione dei poteri, la melma, che c'è malgrado la nostra pessima democrazia,

crescerebbe e come.

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Agiungo brevemente,perché nonrientra nell'argomentazione principale,

chese sviluppassi quel che intendo con «idee generali» probabilmente mi troverei

indisaccordo con la corrente di pensiero di cui Bobbio .fa parte e che tende il più

possibile a separare fatti e valori, anche nell'uso stesso dei termini, tanto da ri-

correre ove possibile a parole avalutative o a simboli. Secondo me, invece, e cre-

do di avere anch'io buoni padri, la ricchezza di una teoria sta anche nella plurali-

tà dei piani che riesce a toccare, nella ricchezza anche valutativa dei termini usati

(purché la valutazione sia dichiarata ed esplicita, s'intende).

2. M a veniamo al libro. Concordo, come del resto la maggioranza degli in-

tervenuti, con l'affermazione centrale del primo intervento di Bobbio, che non

esista una soddisfacente teoria marxista dell'estinzione dello stato o dello stato

socialista. Concordo con gli argomenti stessi esposti da Bobbio, che non ripeto.

Credo però che l'affermazione vada suddivisa più nettamente di quanto l'autore

non faccia, nella constatazione della mancanza di una teoria soddisfacente dello

stato in Marx o nei classici più direttamente e immediatamente a lui legati, e nella

constatazione della mancanza di una soddisfacente teoria dello stato nella «transi-

zione» (ma si può ancora parlare di «transizione»?) nei partiti del movimento

operaio e nei paesi socialisti in cui il marxismo è dottrina ufficiale.

La prima mancanza è infatti ben spiegabile e di non gravi conseguenze, an-

chese concordo con Bobbio che non si possono sottrarre i padri fondatori alle

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