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tecorrotte, immedesimatrici, psicologistiche. Abbiamo detto della prima rottura del film,

tra fissità e movimento. Una seconda rottura avviene nella metà del film, a troncare un

prima e un dopo, insieme«presa di coscienza» e scelta storica irreversibili, ed è il momen-

to tutto teatrale, ma stavolta con precisosdoppiamento tra spettacolo e pubblico, in cui

Oreste (il solopersonaggionominato in termini di riferimento al mito — e quello che in-

carna più che un personaggio un'idea, l'idea di rivoluzione: gli altri duepersonaggi politi-

ci finiranno il primo fiaccato dalla prigionia fino a firmare una sconfessione politica per

tornare libero, il terzo fiaccato fino a una sorta di semi- follia di sopravvissuto, mentre

Orestemuore inveceucciso nel lager) uccide

in scena

la madre e il suo amante. Clitenne-

straed il traditore Egisto, il fascista.

Ma anche questa rottura avrebbe potuto essere integrata in un continuumclassico.

Anghelopulosspezza invece la narrazione rivalutando pur nella semplicità e leggibilità del-

la «trama» il valore di ogni singola scena, la loro autonomia, la loro particolarità anche

aneddoticama di storia nella Storia, e soprattuttospezzando il film nella sua continuità:

il principio è già la fine, il tempo è

distanziato

e

legato

in un passaggio dall'ieri all'oggi

cheserve a distanziare e a legare, cioè a creare per il pubblico quei riferimenti — storici

—che legano la suastessasingolaesperienza alla Storia.

L'intreccio è inizialmente, per lo spettatore, apparentementeconfuso (ma il prima e il

dopodella scelta restano determinanti), e infine, progressivamente, chiarito nellesuesfac-

cettatecomponenti e nei suoi riferimenti tutti chiari e essenziali. Da un anno si può allora

passare a uno di molto precedente o successivo, come in una delle più memorabili scene

del film, la marcia dei fascisti, che lega in un'unica lentissima carrellata di molti minuti la

scenadel ballo checontrappone fascisti e comunisti a suon di canzoni, in una fase storica

fluida e indecisa politicamente — i l '46 — a un altra contrapposizione decisiva, uno

scontro di piazza del '52. E ogni volta si arricchisce la comprensionestorica globale dello

scontro, e si richiama alla precisadimensione culturale e «di costume»dell'epoca.

Ancora altri elementi distanzianti e leganti intervengono. I tre lunghi monologhi

anchequesti, come le scene di teatro, conmacchina da presa fissa, che hanno la funzione

di dire l'esperienza di tutti dentro l'esperienza politica della lotta allargandone i confini

ideologici. E le canzoni, che come ne

La cerimonia

di Oshima o in

Os herdeiros

di Die-

guesservono a definire il periodo e la cultura o le culture (ci sono canzoni che sono dei

fascisti e canzoni, pur commerciali, cui il popolo ha legato la suaesperienzae la sua data-

zione della realtà) e non hanno la funzione di song brechtiani: sono canzoni vere e non

canzoni scritte per il film, e d'altronde il songbrechtiano nel film non puòcheessere rias-

sorbito in una forma di musical o di operetta: esemplare il casode

L'opera da tre so/di

di

Pabst. Mentre i cartelli brechtiani vengono qui trasferiti alle scritte murali che punteggia-

no il film in funzione di richiamo storico, di spiegazionedell'epoca, di indicazione sui fat-

ti cui si va adassistere.

Questacomplessastruttura reggeperfettamente, non ha mai nulla di intellettualistico,

assolvepienamente al compito che il regista le attribuisce. Nel momento in cui l'esperien-

za individuale dello spettatoregreco (e si sogna un utilizzo di questomodello in altre sto-

rie e in altre culture; altro che «film di denuncia»!) partecipa di questavicenda e ne legge

la trama vedendo in essasestesso e la propria collocazione storica, cos'altro è possibile

chiedere a questo film? Forse unamaggioreprecisazione politica (egli non si esprime af-

fatto sui contrasti interni alla Resistenza e sulleconseguenze di Yalta, con la scusapota)

validache il popolo, di questi conflitti, pocosapeva, e probabilmente con la convinzione,

inespressa, della necessità di una proposizione unitaria dell'esperienza storica della sinistra

in vista delle attuali battaglie). Ma va anche detto che questo film è stato girato

prima

della caduta del regime dei colonnelli, e terminato poi, fatto non da poco sotto ogni ri-

guardo. Su O

Thiassos

ci sarebbero da scrivere volumi, e i nostri strutturalisti film -

semiologi dovrebbero farlo, invece di perder tempo dietro a tantesciocchezzeconsone alla

loro apolitica politicità consona al sistema di valori politico- culturali dominanti attual-

mente.Bisognerà indubbiamente, a più voci, ritornarvi. Basti, per ora, un'affermazione

piùche convinta: O

Thiassos

è il più alto punto d'arrivo della ricerca cinematografica

di

sinistra

di questi anni. Qualsiasi nuovo tentativo politicamente altrettanto orientato dovrà

partire di qui.

Goffredo Fofi