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A PROPOSITO DI «BARRY LYNDON»

Non mi sembra inutile dire qualcosa su

Barry Lyndon,

anche se a molti mesi dalla

suauscita. Tanto più chenessunosembraessersene accorto. La critica cinematografica ha

recitato per l'occasione giaculatorie collaudate da decenni, dove il «rigore» formale si spo-

sainevitabilmente a una certa «freddezza» (in senso negativo), la «raffinatezza» non può

non scivolare nel «compiacimento calligrafico», mentre la «lentezza» tradisce «mancanza

d'ispirazione» ecc. (mi riferisco alla critica cosiddetta «militante)> di quotidiani e settima-

nali, a quelli che m'è capitato di leggere: non molti, ma rappresentativi; ignoro invece

quanto se n'è scritto su riviste specializzate). Né mi risulta ne abbia parlato la stampa di

nuova sinistra, che pure s'è sprecata per

Novecento.

Beninteso, del film di Bertolucci s'è

detto male, imputandogli lacune ed errori storiografici nonché d'essere funzionale all'i-

deologia del PCI, ma con ciòstesso riconoscendogli uno spessore politico che il film è ben

lontano dal possedere. In questa logica finiscono per non aver torto quei giovani compa-

gni che protestano non essere affatto

Novecento

favorevole al compromesso storico, non

trovandosi nel film cenno ad alleanze con il nemico di classe. Sorprende semmai che que-

sto gli basti per farsi piacere il film. Come se l'uso di un film (un libro, un'opera musica-

le ecc.) debba essere di confermarci epidermicamente nelle nostre idee, nella nostra «fe-

de», nei nostri schemi mentali. Una volta si andava al cinema soprattutto per «divertirsi»

e il maggior «divertimento» è sempre stato quello di imparare qualcosa di nuovo, met-

tere in questione le nostre certezze, i nostri modi di pensare.

Novecento

è un film irrile-

vante non tanto perché travisi la storia o «faccia il gioco del PCI» ma in primo luogo

perchéè banale e noioso, non dà emozioni, non stimola nessuna facoltà critica.

Anche da un punto di vista politico è invece estremamente interessante

Barry Lyn-

don.

Naturalmente chi crede che

Novecento

sia un film «politico» (non importa se giusto

osbagliato) non può non trovare paradossale la mia affermazione, cioè che una vicenda

chesi svolge prima della rivoluzione francese, tra palazzi patrizi e clubs, parrucche, caval-

li, duelli e partite a faraone, con accompagnamento di Haendel e Vivaldi, e dove non si

vede un solo contadino, sia più viva e attuale di una galoppata di sei ore attraverso gli ul-

timi settant'anni della nostra storia, con lotta di classe dal principio alla fine, scioperi, ca-

sedel popolo, fascismo, resistenza, bandiere rosse, e le note

dell'Internazionale.

Ma è

quasi lo stessoproblema se sia politicamente più produttivo cantare in coro «borghesi, an-

cora pochi mesi» oppure, non dico leggersi qualche pagina di Smith o Marx, Defoe o Bal-

zac, ma anche semplicemente cominciare a chiedersi perché mai passino i mesi, gli anni, i

decenni e i borghesi si ostinino a durare, se alla base di questo strano fenomeno non ci sia

per caso un difetto di analisi... La tensione emotiva e critica che

Barry Lyndon

comunica

ètanto maggiore quanto più è freddo lo stile, quanto più è frustrato il bisogno di identifi-

cazione dello spettatore.

Protagoniste del film di Kubrick sono le leggi economiche, la struttura sociale, le bar-

riere di classe. I l giovane Redmond Barry ama una cugina, che lo ricambierebbe se le

ri-

sorse di lui non si limitassero alla gioventù e a un ottimo aspetto. Barry non ha un penny

e la famiglia di lei è piena di debiti: s'impone quindi la cessione della ragazza (col pieno

consenso di lei) a un capitano dell'esercito, stagionato e vigliacco ma ben provvisto a de-

nari. Per affermare il suo diritto sulla ragazza, Barry sfida il capitano, crede di colpirlo a

morte e deve fuggire per evitare l'arresto. Ma s'è trattato di una messinscena per toglier-

selo dai piedi e celebrare il matrimonio (concludere l'affare). Barry viene quasi subito de-

rubato di armi, cavallo e dei pochi denari raccolti da suamadre, e non gli resta che arruo-

larsi. Si consola pensando che l'esercito gli riserbi avventure e gloria. Ma il suo unico suc-

cessoè di battere a pugni un commilitone, povero diavolo come lui. Ben presto scopre che

la condizione del soldato equivale a quella di uno schiavo e la realtà della guerra è la

mórte. Diserta ma viene scoperto da un ufficiale prussiano che lo costringe a continuare a

combattere sotto la bandiera del Grande Federico (è la Guerra dei Sette Anni). Da buon

soldato deve anche salvare la vita al suo smascheratore e come premio può lasciare l'eser-

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