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razione teorica marxista assunta quale «tradizione» e le nuove forme di eticità

chenascono dentro le società tardo-capitalistiche. Proviamo a formulare alcune

schematiche linee di riflessione, su cui ritornare in seguito.

Nella sua origine il pensiero marxista è radicalmente antistatualista e antiau-

toritario. Lo stato si estingue con la instaurazione della società comunista, il de-

perimento della funzione di autorità è tutt'uno coll'estinzione progressiva delle

funzioni dello Stato. La genericità e il determinismo di questa concezione sono le

ragioni principali della sua pratica irrilevanza. Non esiste esperienza storica con-

creta in cui questa concezione del rapporto tra organizzazione politica e autorità

abbia funzionato come riferimento reale; non si è data concreta esperienza rivolu-

zionaria in cui la presa del potere abbia contestualmente dato inizio al deperimen-

to dell'autorità. Ora se questo argomento coinvolge il leninismo, nel suo duplice

aspetto di teoria della conquista del potere e di metodo di gestione della organiz-

zazione (Stato o Partito), il problema reale non è tanto di vedere quanto — nella

assunzione della prassi autoritaria — sia dovuto alle leggi ferree della conquista

del potere e della sua difesa in un paese arretrato e accerchiato dal capitalismo,

ma piuttosto di comprendere se e in che misura il principio di autorità — oltre

chestrumento tattico — fosse invece una componente organica della concezione

dell'organizzazione politica e della libertà all'interno della riflessione comunista.

Certo, la riflessione rinvia molto, troppo, lontano; la serie di concatenazioni

teoriche sale via via sino ai livelli più astratti ove comunque avvengono le scelte

fondamentali e condizionanti. Habermas (10) nota giustamente che Marx «conce-

pisce la riflessione secondo il modello della produzione. Poiché egli muove tacita-

mente da questa premessa, non sfugge alla conseguenza di non distinguere fra lo

status logico delle scienze della natura e quello della critica»; questa mancanza di

distinzione, evidente nella concezione dello sviluppo della società capitalistica co-

meprocesso storico-naturale non è sostenibile in termini di «ragion pratica» ed è

alla base della concezione deterministica e naturalistica della libertà; essa è il rico-

noscimento della necessità. Dal collegamento engelsiano di necessità e libertà,

dalla risoluzione cioè della libertà nel razionale funzionamento dell'organizzazio-

nesociale, nasce anche la concezione della soggettività come

funzione

della so-

cietà organica.

Dalla parte opposta, tuttavia, quale è il livello di concretezza storica della

teoria della libertà come controllo e limitazione del potere? La astoricità dei prin-

cipi è causa della irrilevanza delle tecniche.

Bobbio, ad esempio, cita Montesquieu: «È un'esperienza eterna che ogni uo-

mo, i l quale ha in mano i l potere, è portato ad abusarne, procedendo sino a

quando non trova limiti». Da qui originano le teoriche della separazione dei pote-

ri. Ora è indubbio che le tecniche giuridiche formulate dal pensiero liberale sono

del tutto inadatte a controllare i fenomeni di espansione incontrollata del potere

delle società moderne; appunto perché la concentrazione del potere avviene al di

fuori delle sedi costituzionali rispetto alle quali lo stesso principio della divisione

dei poteri trova in parte accoglimento. E così la separazione dei poteri applicata a

organi dello Statò svuotati del loro potere formalmente consacrato è in realtà

passivoassistere a nuovi fenomeni di potere assoluto, irresponsabile, separato

dallemasseche formalmente ne sono depositarie.

Oggi siamo in grado di conoscere quanto storicamente circoscritta e limitata

fosse la teoria liberal-democratica e da qui giustamente ne deriviamo la inapplica-

(10)

Conoscenza

e

interesse,

Laterza, Bari, 1970, p. 47; tutto il capitolo «La crisi della critica della conoscenza» è

di rilievo fondamentale.

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