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L I BR I

IL LIBRO DI MONTALDI

Sarebbe ingiusto fare una recensione a questo testo di Danilo Montaldi

(Saggio sulla

politica comunista in Italia (1919-1970),

Ediz. quaderni piacentini 1976, Lire 4.500), pro-

voperciò a tracciarne un'«ipotesi di discussione».

Tra le cose che all'inizio mi hanno maggiormente sorpreso è l'assenza del termine

«mediazione» nel definire il rapporto tra classe, partito e assetto istituzionale dello stato.

Ciò dipende dal giudizio assai drastico e, a mio avviso, estremizzato, sul rapporto che è

intercorso tra classe, movimenti della classe e gruppo dirigente, strategia del partito. Mon-

taldi sostiene che questo rapporto non c'è, né costituisce un problema per il PCI, sostiene

chequesto rapporto è stato «deferito» dal partito al sindacato, è stato scaricato sulle spal-

le del sindacato. Ciò che rimane nel partito non è la classe, la sua composizione politica e

lesue contraddizioni, ma solo un'ideologia dell'egemonia operaia. Essa è il quadro teori-

cocon cui il partito presenta la propria candidatura come gruppo dirigente di ricambio al-

lo stato nazionale. La classe, quella vera, viene consegnata come capitale variabile alla

gestione del sindacato, i l cui compito è quello di garantirne la compatibilità dei bisogni

rispetto a quelli dell'accumulazione. I l sindacato è lasciato solo a gestire l'autonomia di

classeoperaia, la sua volontà di veder soddisfatti bisogni che sono o possonoessereanche

incompatibili con le esigenze dell'accumulazione. I l sindacato finisce per cedere all'auto-

nomia operaia e per esprimereessostesso, con una pesante confusione di ruoli istituziona-

li, bisogni di potere politico.

Seben andiamo a vedere, questo giudizio di Montaldi, che io ho volutamente sche-

matizzato — ma non credo sino a deformarlo —, è stato per alcuni anni il criterio di fon-

do che ha guidato l'opposizione della «nuova sinistra» inizio anni '60 verso il PCI e il

movimento operaio in generale. Ricordiamo i suoi slogans: portare il dibattito operaio

dentro il partito, imporre l'egemonia operaia reale dentro il partito, privilegiare lo strato

di operai comunisti, piegare il partito alle ragioni dei suoi militanti operai e degli operai

senza partito. Una lontana eco di quelle posizioni si può rintracciare, credo, anche nell'in-

tervista che Asor Rosa ha dato a «L'Unità» dopo i fatti di Lama. Quando egli sostiene

che il PCI ha scelto di difendere in maniera privilegiata la «prima società», quella degli

operai produttori, egli sa bene che non è così, che il PCI non ha mai imposto l'interesse

«particolare» operaio come egemone ma ha sempre cercato di conciliarlo con quello di

strati sociali diversi. Non lo chiameremo interclassismo, lo chiameremo blocco storico ma

rimane sempre un aggregato d'interessi diversi. Forse Asor Rosa vorrebbe che il PCI fosse

così, ma questo è un problema di posizione interna di partito che riguarda chi come lui ha

scelto di militare nel PCI partendo da posizioni operaiste.

Ame ora interessa trarre le conseguenze da questa posizione di Montaldi. Se si dice

chedentro il partito la classe operaia non è rappresentata politicamente come interesse

«particolare», se si dice soprattutto che i nuovi comportamenti di lotta sono quelli che co-

minciarono ad affiorare nelle fabbriche italiane tra il 1959 e il 1960 e che Montaldi fu tra

i primi a capire, a voler — con molta umiltà — studiare e analizzare, a voler organizzare,

neconsegue che la storia della classe operaia italiana è totalmente autonoma dalle struttu-

re istituzionali del movimento operaio. Questa forse è la ragione per cui nel testo di Mon-

taldi le lotte operaie sono un dato prioritario permanente ma non vi compaiono mai nel

loro concreto e quindi nello scambio con l'organizzazione di partito. Anzi, con la politica

di partito.

Secondo il medesimo ordine di considerazioni, possiamo capire ora per quale ragione

Montaldi attribuisce tanta importanza alla figura da Togliatti e volutamente ne colloca la

figura all'inizio del volume, per far si che sulla parte dedicata a Gramsci si proietti la fi-

gura.del dirigente ligure-piemontese. È una tipica inversione della «storia militante», che

rompe gli schemi cronologici per poter evidenziare meglio la sua parzialità politica. To-

gliatti viene messo in risalto proprio per aver portato a termine teoricamente ed attuato

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