Table of Contents Table of Contents
Previous Page  186 / 228 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 186 / 228 Next Page
Page Background

varini (18), sia «ontologicamente non riformabile». Nata strettamente collegata

conuna determinata condizione dei rapporti produttivi, dalla quale ha ricevuto il

suocarattere dosimetrico (tante «unità» temporali di perdita della libertà per tan-

te «unità» di lesione di determinati interessi) e la struttura disciplinare dura (sul

modello della fabbrica, o dell'esercito), destinata a «socializzare» un mondo tra il

contadino ed il cittadino non molto disposto ad inchinarsi alle esigenze di preve-

dibilità e «obbedienza» tipiche del nuovo modello produttivo, essa entra in crisi

nonappena entra in crisi il modello di società dal quale ha preso lemosse.

Se,ciononostanteessacontinua a restare in funzione, la ragione va ricercata

nellanecessità per le classi dominanti di avere a loro disposizione uno strumento

utilissimo da impiegare contro le classi subalterne ed i loro ricorrenti tentativi di

attentare ai rapporti di classe esistenti. Venuta meno ogni sua affidabilità come

luogo di rieducazione, quale era nato (tutti sono d'accordo su ciò), il carcere re-

stacome luogo di segregazione «pura», con tutte le implicazioni di terrorismo

ideologico per la generalità dei cittadini (e di terrorismo pratico per quelli che in-

cappanonellesuemaglie) chequesta comporta.

Le rivolte carcerarie esprimono la protesta contro la dimensione terroristica

dell'istituzione, conservata ed addirittura peggiorata propriomentre si parla di ri-

forme, di carcere umanoecc. (19). Quale chepossaessere il loro esito immediato,

essecostituiscono la innegabile verifica «pratica» di una acquisizione teorica sulla

quale tutti gli osservatori di «buona volontà» dovrebberoessereconcordi: che il

carcere, come risposta alla «devianza», è privo di senso e che l'unico atteggia-

mentoserio è ormai quello di porsi il problema della sua abolizione. Che un tale

obiettivopossaessereconseguitosenza un mutamento radicale di società è tutta-

via alquanto dubbio. La tendenza dello stato tardo borghese a riscoprire strumen-

ti autoritari nella concreta gestione degli apparati di repressione porta a ritenere

altamente improbabile una rinuncia al carcere qualemezzo privilegiato di risposta

aattentati di qualunque tipo («comuni» o «politici») contro i rapporti di potere e

di proprietà esistenti.

RomanoCanosa

(18) M. Pavarini,

Dopo la riforma carceraria: perché ancora rivolte? in

«II Mulino», luglio-agosto 1976, n. 246, p.

637 e ss.

(19) Un esempio concreto di ciò si ha in Italia. Fino ad alcuni anni fa le frequenti amnistie rappresentavano uno

strumento per attenuare il funzionamento «normale» dell'istituzione carceraria. Esse infatti consentivano ad un

certo numero di detenuti di sottrarsi alla macchina carceraria nel suo nucleo centrale: la detenzione. A seguito

delle proteste dei «benpensanti», accettate anche dai partiti di sinistra, di amnistie ed indulti non si parla più da

anni, spessocon pretesti risibili (l'amnistia impedirebbe ad esempio che si faccia luce su alcuni scandali di regi-

medel tipo Lockheedi Come se questo, ed altri scandali, potesseroessere affrontati e risolti senza mettere in

discussione tutto l'assetto di potere esistente nel paese). Dal che deriva nei fatti un funzionamento più duro del-

lamacchina carceraria a cui non sfuggono più tutti coloro che in passato riuscivano a sottrarsi alla detenzione.

Che in cambio di ciò sia stata varata una riforma che non riforma nulla, costituisce una presa in giro di cui i

detenuti non possono non essersi resi conto ed una sostanziale vittoria della linea di politica criminale «modera-

ta».

—184