

eflessibilità della distribuzione, di cui non ho visto l'eguale in nessuno dei paesi
socialisti che ho visitato, sembraessere lo specchio della complessità del sistema
economicocinese, che sembra avere la caratteristica di essereassaimeno stataliz-
zato di quanto non si pensi.
Facciodegli esempi empirici limitati ma sicuri per chiarire checosa intendo.
In Cina ci sonopochissimecose gratuite. Costano pochissimoma non sono
gratuite (salvo i casi di ricovero in infermeria della comune o della fabbrica), le
medicine, vendute senzamarchio di fabbrica, col solo nome scientifico, cinese e
latino (per cui sono l'unico bene non visivamente riconoscibile che il viaggiatore
possariconoscere con precisione). Le boccette di aspirina costanopoche lire; così
i disinfettanti ecc. Gli antibiotici sonoaccessibili (e vengono prodotti in parte in
grandissimi impianti progettati a suo tempo dai russi che fanno parte di quelli vi-
sitati, in parte in impianti decentrati).
Ma l'ingresso ai parchi si paga: una cifra piccola, ma non simbolica, l'equi-
valente di una cinquantina di lire. I l tram è relativamente caro (non ricordo la
cifra esattama mi sembra intorno alle cento lire due anni fa, cioè molto, se si tie-
neconto che il redditomedio èmeno di un quinto del nostro).
Gli oggetti di vestiario hanno prezzi grossomodo equivalenti ai nostri a pari-
tà di qualità (una giacca elegante, di quelle «alla cinese)> però può costare un
paio di salari minimi operai o più). I l cibo costa poco, anche nei numerosi risto-
ranti, trattorie, friggitorie, che sembranonormalmente frequentate e non sembra-
noavere nulla a che fare con i ristoranti di lusso «da paese socialista», come a
Cuba, o in Russia, o in Polonia, in cui si sperpera l'inflazionemascherata degli
stipendi cui non corrisponde unamassa sufficiente di beni, senza tuttavia essere
degli «schnell».
Ci si chiede comepossaesistere una struttura che pianifichi tutto questo ba-
zaar. La risposta potrebbeessereche non c'è; che la complessità della distribuzio-
ne e della produzione è spiegata dalla complessità delle forme di proprietà, dei
rapporti di produzione, dei livelli di retribuzione: che lo stato pianifica solo se
stesso, per il resto dà (o concorda) programmi di massima e che di molto tiene
conto il mercato. Del restobisogna ricordarsi che la schiacciantemaggioranza dei
cinesi è ancora costituita di contadini, che sono fuori dal bazaar, che quindi non
ègrande quanto il paesema quanto un decimo di esso o poco più.
Oltre alla proprietà di stato (per l'esattezza, e significativamente, proprietà
«di tutto il popolo)>) che riguarda tutte le grandi fabbriche, che hanno una forma
di gestioneomogenea, una ripartizione fissa degli utili tra la fabbrica e lo stato,
salari fissi e uguali (o quasi) per tutta la Cina, ma diversi per categoria e per set-
tore, esistono infatti le proprietà municipali; di quartiere; di vicolo; di comune; la
proprietà cooperativa e la proprietà individuale. Per le fabbriche non statali i sa-
lari possono variare senza limiti, a seconda della produttività. I prezzi praticati
dalle grandi agenzie statali commerciali sono infatti ovviamente unici. Quindi i
salari vengono pagati, quando vengono pagati, nella misura consentita dai ricavi,
una volta coperti i costi e le spesegenerali. Non è vero che fabbriche di vicolo,
fondate su base volontaria, con attrezzature di scarto in locali di fortuna e con
molto lavoromanuale non paghino salario per alcuni anni. E comecampa la gen-
te? La gente, che è ovviamente per lo più o molto giovane o molto vecchia, o in-
valida (forza lavoro marginale, diremmo noi) campa come campava prima che la
fabbrica ci fosse, facendosi mantenere dai genitori, dai parenti, dalla pensione. Si
potrebbe parlare di «sfruttamento del lavoro nero». I l fallimento o il successo
restanoperò nell'ambiente della comunità che affronta la fatica: la fabbrica non
èdello stato, è proprio della comunità. E una strana proprietà perché è natural-
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