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ni della maggioranza, mi sembra un errore senza nome, la negazione stessa della

socialità, al livello della peggiore inquisizione. Preciso che mi sembra comunque

cosa assai diversa dalla rigidità normativa e dalla accentuazione della collettività

a scapito dell'individuo delle società contadine: perché in questo secondo caso i

valori, le norme, la compresenza, la dipendenza, sono e vengono percepiti come

naturali, necessari. Scoprirne la storicità è una operazione praticamente impossi-

bile dall'interno: l o impediscono la necessità stessa e la durata. Nel primo caso

invece si subisce una costrizione sociale e una legge che si sanno benissimo essere

non necessarie e storiche: sono semplicemente le tesi degli avversari. E proprio di

inquisizione che si tratta: della quale si può anche parlare bene purché non la si

battezzi socialismo e purché si ricordi che nel frattempo qualcosa è cambiato a

proposito della fiducia nella infallibilità. I n particolare, sia l'esaltazione di Lin

Piao, la sua designazione a successore nella costituzione (che potrà essere stato

un utile strumento di governo, da parte di Mao, o una presa del potere senza

possibilità di sottoporre l'avversario sconfitto al trattamento usuale per debolez-

za, da parte di Lin Piao), e poi i modi della morte, dell'informare sulla morte, e

la campagna Pi Lin-Pi Con mi sembrano ne i fatti, se non nelle parole, èsempi

del peggiore stalinismo. Così mi sembrano sintomi gravissimi i l mancato rinnova-

mento delle cariche alla morte di chi le ricopriva; la irregolarità dei congressi e la

loro clandestinità; l'arrivare ai congressi senza nessuna pubblica, controllabile

norma e senza pubblico e controllabile dibattito.

Non condivido le emozioni di ora perché mi sono emozionato prima: ricordo

ancora con sdegno che un quotidiano della sinistra ha pubblicato come divertente

la incredibile notizia del congresso travestito da torneo di ping-pong: così i «Chi-

na Watchers» erano sistemati. E i cinesi con loro!

Aggiungo per chiarezza alcuni rilievi. Le rivoluzioni sono risposte tragiche a

situazioni intollerabili e credo che nessuno pretenda di vederle svolgersi senza la-

crime e sangue; anche se perciò converrebbe nominarle con sacrale rispetto. E la

politica è lo scontro di forze sociali reali, che rispettano solo le regole che loro fa

comodo rispettare. Però le regole che

tutte

le parti sono costrette a rispettare mu-

tano con la natura delle parti e coi tempi. La lotta delle classi non è una guerra

tra eserciti; e non si svolge per delega. Ed altra cosa è lo scontro tra fazioni al-

l'interno della stessa classe.

Mentre non si possono esorcizzare a parole le cose che accadono, è lecito assu-

mere le cose che accadono a metro della maturità sociale, dello sviluppo democrati-

co e politico di un paese; senza sprezzanti condanne; ma col diritto alla critica e a

prendere partito. Che a Voltaire e a Robespierre sia seguito Napoleone non obbliga

a schierarsi con

l'ancien régime,

non obbliga ad accettare Napoleone, nè obbliga ad

accettare tutto Robespierre. Per usarli come strumento di analisi e simbolo era ed è

necessario isolare gli strumenti di analisi ed i simboli e non farsi trascinare a difende-

re come positivo ciò che accade in un quarto del mondo.

In ogni caso però ciò che accade non è irrilevante; e va tenuto distinto da quel

che si dice e verificato con strumenti indipendenti dalle dichiarazioni del potere. Da

noi invece è prevalsa la tendenza a parlare di «Mao e del suo popolo» (espressione

che mi accade di aver usato) come se tra i due così diseguali soggetti ci fosse un filo

diretto, o una identità. Era ed è invece necessario cercare di studiare, sia pure da re-

soconti parziali, la realtà sociale cinese, la sua indubbia ricchezza, culturale e politi-

ca, la autonoma tradizione del diritto, il decentramento economico, il miracolo del-

l'agricoltura, l'equilibrio tra tradizione e innovazione, i l sistema dei prezzi. È un

compito che studiosi di lingua inglese svolgono costantemente, anche se con difficol-

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