

no le classi, restano le differenze di linea, resta lo scontro tra le linee, non tolle-
rato e nascosto, ma predicato comenecessario.
Sarebbepresuntuoso ed inutile tentare la rassegna, la recensione e la critica,
di ciò che è stato scritto sulla Cina in Italia. Se ne potrebbe trarre senza dubbio
uncolossale stupidario: ma da checosa non si può trarre uno stupidario? Sareb-
beimpossibile tentare un controllo con la realtà, se non in minima parte. Tenterò
soltanto di sottolineare alcune carenze di fondo comuni pressoché a tutti coloro
chehanno assunto il pensiero di Mao come pietra angolare; in particolare nel
giudicare alcune crisi politiche recenti. Sottolineerò però anche la essenzialità di
taluneproposte.Aggiungerò alcuni pochi fatti ed impressioni di un viaggio in Ci-
na.
Stalin nella Cina degli italiani
Si è creduto forse davvero che la larga faccia di Mao fosse costituita di mi-
lioni e milioni di omini, da ottocentomilioni di cinesi, come nella copertina di un
libro francese su di lui. A ben riflettere, le uniche informazioni sul modo di ra-
gionare di Mao le abbiamo da viaggiatori. Negli scritti per la parte ufficialmente
edita è indistinguibile il lavoro di selezione e correzione di un comitato di curato-
ri certo ben consapevole dell'importanza definitoria del proprio lavoro. Per la
parte ufficialmente inedita, che include tutto il periodo che va dal fallimento del
«grande balzo in avanti» alla morte, è indistinguibile l'ovvia faziosità di una scel-
ta destinata ad una pubblicazione clandestina estera. Non sappiamoneppurese il
«trafugamento» è avvenuto per opera di una opposizione o velatamente per ope-
ra dellostessogoverno che voleva tagliar corto con le procedure di ratifica e ap-
provazione di una versione ufficiale. Noi non conosciamo, salvo gli interventi po-
litici ufficiali, gli apporti, le correzioni, che ci saranno ben state, da parte di diri-
genti che si sono schierati dalla parte di Mao. Conosciamo in minima parte, per
lo più in versioni strumentalizzate o al fine di dimostrare la convergenza o a quel-
lo di dimostrare l'infamia e il tradimento, le posizioni di coloro che si sonoschie-
rati contro la linea vincente. Certo, almeno un gruppo di lavoro, quello delle
«Edizioni Oriente», ha cercato di fornire documenti sul dibattito in corso ma
sempreattingendo a canali già strumentali. E in generale tutta la procedura pro-
fondamente deformante, agiografica o distruttiva, del riferire sui fatti, dello scri-
vere la storia in Cina, che non si può non chiamare stalinista, è stata accettata
senzaobiettare.
Allo stessomodo sono state accettate senza obiettare le procedure, che non
sipossono non definire staliniste, delle condannesuccedutesi nel tempo di Liu
Sciao Ci, Lin Piao, Teng Siao Ping. Si può condividere la tesi di non cedere alle
pressioni russe, come probabilmente Liu Sciao Ci voleva fare, e di tentare la scel-
ta rischiosa dell'industrializzazione lenta: resta il fatto che nè noi nè i cinesi ab-
biamo avutomodo di conoscere le idee e le critiche di Liu dopo la sconfitta. Sen-
za che ci fossero prove di
delitti,
senza che ci si preoccupasse di informarne il
pubblico, se c'erano, senzacheentrassero a far parte della
logica
della condanna,
quest'uomo, insieme probabilmente con l'intero suo partito, è stato trattato come
uncriminale. Forse non fucilato (e qui starebbe la differenza tutt'altro che tra-
scurabile da Stalin), certo incarcerato e sottoposto ad una di quelle scuole «sette
maggio», che mi sembrano la massima delle vergogne della Cina, mentre senz'al-
tro sono state una delle gemme, dei vanti della «Cina degli italiani». Che infatti
qualcunopossa essere, per dissenso politico, perché non condivide le opinioni
dellamaggioranza, senza aver violato le leggi, sottoposto ai lavori forzati e a cor-
si di «insegnamento» che hanno esplicitamente lo scopo di riallinearlo alle opinio-
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