

«La società capitalistica sta, per Marx, in un rapporto duplice con l'essenza
della vita umana associata. Essa ne è al contempo manifestazione e negazione.
Manifestazione: perché dietro la forma storicamente dzfinita, troviamo le leggi
della produzione in generale. Negazione, poiché quelle leggi della produzione so-
ciale si affermano entro una asocialità estrema. Ora — i l punto è tutto qui —
questodiscorso si trasforma in
scienza,
per Marx, attraverso la
dimostrazione
del
fatto che le leggi della produzione di merci sono subordinate a quelle della produ-
zione in generale; e tutto il peso della prova grava sulla teoria del valore-lavoro.
Seè vero che i prodotti non sono altro che lavoro, allora dobbiamo trovare que-
sto lavoro dietro la superficie della produzione di merci. Ogni forma in cui il va-
lore si presenta — sia esso prezzo di produzione, costo di circolazione, denaro —
deveessere ricondotta al lavoro. Se tale compito viene portato a termine con suc-
cesso, se il lavoro viene mostrato, al di là delle apparenze contrarie, come l'unica
fonte del valore, allora viene confermato come essenza della produzione. E al
contempo il fine del comunismo, come superamento dello stato di alienazione in
cui il lavoro si trova nel capitalismo, viene legittimato».
Questo è quanto dice Lippi (p. 151) in risposta alla domanda di più sopra,
dimostrando appieno difficoltà e imbarazzo — estraneità soprattutto - - di fronte
ai procedimenti dimostrativi di Marx: difficoltà e imbarazzo che io stesso condi-
vido, lo dico subito. Poiché ovviamente Lippi pensa che se la «trasformazione»
reggesse teoricamente, questo non aumenterebbe di un sol punto la probabilità
che il sistema crolli e che un nuovo sistema, di direzione consapevole dell'econo-
mia, lo sostituisca. L'espressione «essenza della produzione» è priva di significa-
to; e che il fine del comunismo sarebbe stato «legittimato» in qualche modo dalla
possibilità di una «trasformazione» significativa, non si capisce bene che cosa
voglia dire. E ciò sia per i motivi che già abbiamo ricordato: le leggi dinamiche
proposte da Marx non dipendono in modo essenziale dalla teoria del valore, ma
stanno in piedi, o cadono, colle proprie gambe. Ma anche perché il problema del-
la distribuzione dei contributi di lavoro nel tempo, da cui emergono tutti i pastic-
ci della trasformazione quando il profitto è positivo, è un problema reale, sempli-
ce e — per un aspetto importante — non feticistico. Esso infatti continuerà a di-
scostare i valori dai prezzi nel socialismo, nella misura in cui si ritenga rilevante
adottare un fattore di sconto nei processi di pianificazione. Ciò tuttavia non im-
pedirà affatto che i produttori associati in un programma comune sentano i loro
prodotti come cosa propria e voluta, e non gli farà credere che qualche potenza
estranea e incontrollata abbia alterato i processi di valorizzazione. Qualora quella
decisione (di usare un tasso di sconto per i calcoli di pianificazione) venga adotta-
ta e si rifletta sui prezzi, sapranno benissimo che è la conseguenza di un giudizio
politico per cui è meglio avere una cosa presto piuttosto che averla tardi.
Naturalmente è possibile che Lippi sbagli tutto, e che le sue difficoltà riveli-
no non tanto l'insostenibilità del punto di vista marxiano, quanto il fatto di non
averlo capito. A me pare invece che l'abbia capito perfettamente, per quanto at-
tiene l'origine delle difficoltà cui Marx va incontro nella teoria del valore. Le dif-
ficoltà per Lippi sorgono quando egli cerca di capire — nelle conclusioni — per-
ché Marx ci tenesse tanto a tenere in evidenza il processo di produzione in gene-
rale. E qui, lasciando ad altri l'approfondimento filosofico ed epistemologico del
problema, da scienziato che valuta i procedimenti di un altro scienziato, si limita
a dire che, per insistere con tale forza sulla riconduzione della produzione capita-
listica alla produzione in generale, Marx doveva vedere in ciò qualcosa di molto
grosso, qualcosa che di molto riduceva la necessità di altre dimostrazioni circa la
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