

necessitàe la possibilità di una svolta/alternativa a sinistra; senza però—suquesto
terreno approfondire molto il come.
7. La natura e il grado della crisi interna e internazionale rendono obbligata la
linea che punta a una svolta a sinistra nel governo e nel paese.
Seessa avverrà, si presenterà comunque, nella sostanza politico-istituzionale,
con le caratteristiche del fronte popolare: con un'alleanza cioè tra i partiti della
classeoperaia e una parte nonmarginalema essenziale dello schieramento borghe-
se. E i compiti; per chi pensa che tale svolta sia necessaria ma non sufficiente ad
avviare la trasformazione dello stato, restano comunque i medesimi (la forma e il
grado della svolta renderà evidentemente i problemi più o meno facili).
Il maggiore pericolo di prospettiva—che risulta puntualmente in tutte le espe-
rienze frontiste—sarebbe quello di condurre battaglie tattiche offensive inquadrate
in una strategia ancora difensiva. Pensare che una radicale svolta politico-parla-
mentaresia l'unico terreno di possibile trasformazione a livello statuale-istituzionale
opensare che l'articolazione e il rafforzamento delle lotte, dell'autonomia, dei con-
tropoteri a livello sociale sia sufficiente—seprogredisce continuamente—a garan-
tire la stabilità e il successo della svolta stessa, sonodue atteggiamenti, certo dissi-
mili, che portano però ad un identico sbocco: a riproporre il dilemma rifor-
mismo-massimalismo e gradualismo-rottura e ad affidare alla Storia la possibilità
reale della transizione. In tale situazione la lotta contro le istituzioni borghesi non
può fermarsi alla sola presenza «operaia» nel governo (ovviamente); ma neppure
limitarsi a rafforzare il fronte socialeea radicalizzarlo. Questo fattore, pur indispen-
sabile, può solo provocare una pressionesui partiti esul governo (oltre chespingere
l'avversario a misure controrivoluzionarie), incapace come tale a
modificare
in
sensodemocratico-transitorio lo stato stesso.
Quanto poi una trasformazione dello stato pesi nel cementare e allargare lo
stessoblocco sociale anticapitalistico e favorisca un'alleanza duratura (non una
sommatoria provvisoria) tra classe operaia e altri ceti, nonè certo da sottovalutare.
Seèveroche in ogni esperienza frontista la vittoria della reazioneborgheseèsempre
passata
prima
sul terreno sociale e
poi
su quello politico-istituzionale, c'è da chie-
dersi se gli errori del movimento operaio siano stati solo nella direzione delle lotte
sociali edi fabbrica enonanche nella semplificazioneeriduzioneconcui sièposto il
problema del governo e dello stato.
Quello che bisogna
cominciare
a
rompere,
fin dall'inizio, non è solo la separa-
tezza del momento sociale rispetto allo stato; ma anche la mediazione politica rap-
presentata dai partiti: ed è poco probabile che questo avvenga con una forma di
rapido dualismo di poteri. Si tratta cioè di trovare momenti di organizzazione di
massa, non partitici, interni allo stato e alle sue articolazioni, chesiano parte essen-
ziale di unprocesso interno alle istituzioni di cui il governo frontista èsolo la punta
piùevidente e in cui i partiti hanno ancora un ruolo predominante ed anche (quelli
operai) positivo ed insostituibile.
Seè vero che il governo non è il potere, diventa necessario che i rapporti di
forza chemutano sul terreno socialenon rimangano immutati suquello politico-sta-
tuale;che cioè non solo nel governoma in tutte le articolazioni istituzionali cambi il
rapporto di forze. E questonon può significare solodistruggere, neutralizzare, epu-
rare, rendere cioè impossibile allo stato di funzionare nell'interesse capitalistico:
deve significare soprattutto far funzionare,
diversamente
e
meglio,
le istituzioni a
vantaggio delle forze popolari. La distruzione di un pezzo di potere, di unmomento
di controllo, di un organismo repressivo, di una funzionemediatrice, deve diventare
95