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D'altra parte, il limite storico e non soggettivo di Gramsci fu che egli si riferiva

pur sempre a una classe operaia ancora chiusa nell'orizzonte della produzione «per

lo sviluppo», nonché della «professionalità», orizzonte che oggi si ritrova solo in

alcuni paesi sottosviluppati e nemmeno sempre. Dopo Gramsci è stato Panzieri a

imporre, con la forza e la coerenza di un discorso straordinariamente vicino all'ori-

ginale pensiero marxiano, un superamento teorico di quei limiti. Per Panzieri il

centro d'ella nuova strategia in occidente è la scoperta pratica da parte del proleta-

riato della sua autonomia. La non separazione, ma anzi la tendenziale identità tra

lotta economica e lotta politica. Tuttavia, sia in Panzieri che nei seguaci delle sue

idee, questa indicazione è stata limitata al terreno della lotta di fabbrica, senza

riuscire a trovare un proprio sviluppo a livello dello stato. Questo ha condotto a un

isolamento della lotta economico-politica nella fabbrica e nel sociale, e ha lasciato

scoperto il problema di come la direzione operaia, l'autonomia possa costruirsi nel

rapporto con le istituzioni. Un tema strategicamente importante, cioè la riscoperta

dell'unità della lotta di classe, non è stato utilizzato adeguatamente per imporre un

superamento del dilemma riformismo-massimalismo (leninismo) nello scontro-in-

contro con lo stato.

5. Una linea d'azione politica dentro/contro lo stato e le istituzioni deve porre

oggi al centro della riflessione due punti:

a)la trasformazione democratica

dello sta-

to;

b)

il problema delle

alleanze

politiche.

Sul primo punto, partendo da un'ottica particolare (i diritti civili), dei suggeri-

menti assai penetranti sono venuti da Federico Stame nel n. 55 dei «Quaderni Pia-

centini»: sia nel mostrare l'insufficienza teorica e pratica della strategia della «rottu-

ra» (come teoria della «conquista del potere» e non come sua gestione nella fase

intermedia); sia nel ricordare «il problema negativo del potere» e la «difesa dal pote-

re». Con la parola

trasformazione

si vuole evidentemente dire un concetto diverso

da quello contenuto nelle consuete formule sul

miglioramento

e la

riforma

dello

stato: si intende un aspetto della

transizione,

unmutamento radicale tanto del carat-

tere di classe, che della funzione rispetto alla società (non più mediatrice-repressiva,

mamediatrice-liberatoria), che dei modi di funzionare. E proprio per questo il pro-

cessodi trasformazione, pur se lungo, non sarà nè graduale, nè indolore, nè semplice

sostituzione del personale e delle classi dirigenti, nè costruzione formale di diverse

istituzioni politiche. E questo sarà possibile, èbene ricordarlo contro il giacobinismo

sempre in agguato, se lemasse non solo saranno in condizione di

sostenere

il proces-

so, ma ne saranno protagoniste. E qui va detto che, per quanto riguarda l'aspetto

militare della lotta, la sua concreta considerazione non deve essere disgiunta dal

discorso della trasformazione dello stato, se non si vuol cadere ancora nella teoria

della «conquista» e «mantenimento» del potere, che conduce a un minoritarismo

perdente.

Riguardo alle alleanze politiche, diciamo solo in via preliminare che i l

problema sussiste sia per le forze maggioritarie che per quelle minoritarie nel movi-

mento operaio. La relativa esiguità di certe formazioni non è una buona ragione

perchèesse eludano la questione delle alleanze. Lo si può vedere bene analizzando il

modo in cui la sinistra (tradizionale e non) affronta i due momenti

inseparabili

della

democratizzazione dello stato e delle alleanze politiche. Le forze storiche del movi-

mento operaio (PSI e PCI) risolvono questo doppio problema con una linea di rinno-

vamento delle istituzioni guidata da una alleanza dei partiti di massa (DC-PSI,

DC-PSI-PCI, PSI-PCI). La teoria riformista e staliniana dello stato «neutrale» (na-

zionale o di tutto il popolo poco importa) si sposa con l'accettazione passiva di uno

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