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dei principali aspetti della società borghese contemporanea, che solo i partiti, cioè,

sono espressione politica della società. Anche il «compromesso storico» infatti, che

pure ambisce a unire le tre grandi correnti popolari italiane, non è una alleanza tra

forze sociali, ma tra «rappresentanze» politiche. E

in questo

rivela la sua continuità,

al di là delle formule, con il fronte popolare, con il fronte nazionale, con il tripartito e

perfino con il centro-sinistra e il 5 1%. Certo anche una semplice alleanza di partiti

può produrre cambiamenti, e un diverso sviluppo economico-sociale (magari

«migliore» dell'attuale), ma non può condurre ad alcuna trasformazione-transizione

dello stato. Una alleanza di partiti rimane nell'orbita dell'universo politico chiuso,

nel campo elettorale. Se si accetta che lo stato e la politica rimangano terreno esclu-

sivo dei partiti, è evidente che ogni partito non può che spingersi sempre più verso il

terreno dell'interclassismo e dell'integralismo, del porre se stesso come società e

come stato. Ma c'è di più. Considerando tutto dall'ottica dell'accordo tra partiti, la

sinistra storica ribadisce un uso strumentale delle alleanze, finalizzate a fare le rifor-

me, a modificare

l'azione

dello stato, mai lo stato stesso, che rimane il campo privile-

giato della politica e della separatezza.

Una direzione dei

par t i t i

operai cambierebbe certo molte cose, ma non

potrebbe rappresentare perciò un salto di qualità nella transizione, la fuoriuscita

dalla logica capitalistica, se non accompagnata da altri processi. Poiché la transi-

zione verso il socialismo non presuppone solo l'inversione tra valore di scambio e

valore d'uso, ma anche tra gestione politica etero-diretta e autogestione politica.

A differenza della sinistra storica, la Nuova Sinistra si pone nel complesso il

problema della trasformazione dello stato. Ma essa sconta due limiti. I l primo è di

carattere «ideologico», è il fascino della rottura, la nostalgia per la figura di Lenin,

l'incomprensione della nuova forza oggettiva della lotta proletaria. I l secondo è di

tipo «tattico»: proporre l'unità delle forze politiche, praticare l'unità significa scon-

tare uno sfavorevole rapporto quantitativo; ecco che prioritario finisce per divenire

il proprio rafforzamento, la propria autoaffermazione. Così si corre i l rischio di

oscillare tra settarismo e subordinazione, senza trovare alcun punto d'incontro tra le

diverse esigenze.

Il modo in cui la Nuova Sinistra si pone il problema che Avanguardia Operaia

chiama

dell'area della rivoluzione,

può meglio chiarire il discorso sulle alleanze poli-

tiche. La ricerca di una propria crescita quantitativa, di aggregazione con altre for-

ze, di alleanze più o meno stabili su terreni più o meno larghi, è evidentemente un

momento indispensabile dell'azione politica. Ma è un momento pur sempre strumen-

tale, che deve non rafforzare, ma mettere in crisi la separazione tra un fronte sociale

(ampio) coinvolto nel processo rivoluzionario e un fronte politico (più o meno

ristretto a seconda del grado di settarismo) che spesso si pensa debba emergere

sempre più puro e individuato nel fuoco delle battaglie finali. Non si può pensare di

lasciare intatto (tranne che nello spostamento quantitativo) il rapporto masse-parti-

ti. Una reale trasformazione dello stato (e quindi del rapporto istituzioni-parti-

ti-masse) costringerà necessariamente

tutte

le organizzazioni del movimento ope-

raio a modificarsi, ponendo le premesse allora non tanto di una unificazione del-

l'area della rivoluzione,

nè solo di una rifondazione della linea politica (ridotta

troppo spesso a ideologia), ma dello stesso modo di esistere e di fare politica dei par-

titi operai.

6. Nell'esperienza di

lotte unitarie

di tutta la sinistra, così come si è sviluppata

in questi ultimi anni, due esempi ci paiono particolarmente degni d'attenzione e stu-

dio: la risposta alla strategia della tensione e il referendum sul divorzio. Di queste

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