

Giovanni Jervis
PSICOLOGIA E POLITICA NELLA VITA QUOTIDIANA
Quanto segue è una parte del capitolo dedicato alla critica al concetto di nor-
malità psichica, in un «manuale critico di psichiatria» che verrà pubblicato prossi-
mamente da Feltrinelli. In questo libro ho cercato di fornire una serie di indicazioni
utili per orientare i lettori—e soprattutto i lettori giovani—nel paesaggio intricato
della psichiatria contemporanea. Ho cercato difare questo da un punto di vista mar-
xista; inoltre ho utilizzato in modo deliberato un tipo di linguaggio non specialisti-
co, con la convinzione che la tendenza al tecnicismo gergale limita la circolazione
delle idee a ristrette élites intellettuali, e nasconde la mancanza di rigore di gran
parte delle discipline psicologiche. I l brano qui riprodotto contiene alcune conside-
razioni politiche, e non si occupa direttamente di psichiatria. Queste considerazioni
sono però funzionali a un discorso più ampio e più «tecnico», cioè più propriamente
attinente alle discipline psicologiche, che viene sviluppato (insieme a note e r(eri-
menti bibliografici, qui omessi) in altre parti del libro.
Secondo la tradizione marxista, la classe operaia identifica i bisogni reali e
guida la lotta per la trasformazione rivoluzionaria della società. La classe operaia
infatti, «non ha nulla da perdere fuorché le proprie catene)>, ed è collocata, nel
momento della produzione industriale, nel cuore stesso dello sfruttamento capita-
lista. Alcune teorie revisioniste tendono oggi a minimizzare o a negare il ruolo rivo-
luzionario della classe operaia dell'occidente, sulla base del fatto che essa ha acqui-
sito, rispetto ai tempi di Marx, benefici economico-sociali non irrilevanti, e un potere
contrattuale che la rende partecipe dei meccanismi di equilibrio e di sviluppo dello
stato capitalista. Gli sviluppi delle lotte di liberazione nazionale dei popoli ex-colo-
niali e la mancata verifica della possibilità di una rivoluzione socialista in un paese
industriale avanzato, sono fatti che contribuiscono a riproporre questo problema:
problema tuttora non risolto, e forse anche non sempre affrontato con franchezza
dal movimento operaio. Non è questa la sede per discuterne: si può solo osservare
che secondo l'ottica di chi si trova a operare in un paese come l'Italia, con una classe
operaia battagliera e consapevole, la ipotesi del ruolo rivoluzionario primario del
proletariato industriale non appare certamente come una teoria fuori moda. Tutta-
via sarebbe assurdo negare il fatto che in questi ultimi decenni, e più particolarmente
negli ultimi anni, si sono manifestate all'interno delle società capitaliste dell'occiden-
te, anche al di fuori della classe operaia, nuove contraddizioni e anche nuove radicali
spinte al mutamento. La diffusione delle informazioni e della cultura, l'aumento
della preparazione politica nelle masse, le nuove forme di consapevolezza e di critica
di cui sono oggi portatori gl i studenti e i giovani, sono tutti fattori che contri-
buiscono a creare una coscienza della necessità del mutamento sociale che si
esprime in termini più vasti, radicali e articolati che non in passato. Lo stesso potere
borghese contribuisce ad accentuare questo processo: si è visto che esso ricorre
sempre meno a un consenso datogli per
ubbidienza
passiva, edè portato a richiedere
un
consenso attivo,
cioè un contributo «libero», «positivo» e «creativo» alla società
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