

braio 1945, il PCI risponderà, in sostanza, positivamente s a l v o ragionevoli dis-
sensi ministeriali espressi da Togliatti in un paio di articoli molto ben scritti. Ai pro-
letari, che tale primo appuntamento avevano previsto, di ricordare e confrontare: lo
sciopero di fine giugno - primi di luglio 1920 contro l'aumento del prezzo del pane
aveva portato alle dimissioni del governo Ni tt i ; era rimasta memoria dei tentativo
inutile da parte di Nitti di attuare l'aumento del prezzo del pane, nel primo dopoguer-
ra, che si era concluso nella caduta del suo ultimo ministero. Ma ora, il gruppo diri-
gente del PCI non intendeva porre i l problema per non dover correre i l rischio di
sconvolgere l'unità sacra stabilita. E così, il prezzo del pane veniva aumentato, come
primo provvedimento unitario antioperaio.
Dopo la farsa dell'epurazione mancata, era stata avviata un'altra campagna:
quella dell'avocazione dei profitti di regime. Il guardingo giornale
GL
di Torino esce
con il titolo «Roma ci dà un decreto per l'avocazione dei profitti di regime. Bisogna
che i l popolo ne controlli l'applicazione» (2). Non c'è bisogno, oggi, di fare una
ricerca per sapere quali esiti ha dato questa campagna di «moralizzazione» che
servì, non diversamente dall'epurazione, a riscattare la borghesia italiana dalle sue
«colpe» fasciste, dal momento che essi vengono elencati in pubblicazioni tra le meno
sospette di esagerazione polemica:
Per l'imposta straordinaria sui profitti di guerra e relativi profitti avocabili sono stati
eseguiti 1.560.255 accertamenti per un reddito complessivo di 241 miliardi nel termine utile
per l'azione della finanza (9 giugno 1950); fino al '65 questo tributo ha reso circa 68 miliardi.
Per quanto riguarda l'avocazione allo Stato dei profitti di regime gli accertamenti sono stati
24.823 per 118 miliari (riscossi solo 19 miliardi); sono state eseguite inoltre 115 confische,
contro 7.804 archiviate per carenza di beni, amnistie ed altre eccezionali circostanze (3).
Mentre il fronte sale al Nord, obiettivo costante del PCI è di saldarsi con la DC,
di cui si mistifica la natura politica come partito delle masse cattoliche; e per giustifi-
care l a sancita unità d'azione, viene proclamato che «per quanto concerne i l
problema della terra, la Democrazia Cristiana ha dimostrato di partire — come fu
detto nell'editoriale di commento su
l'Unità
—"dalle nostre stesse premesse, le quali
si riassumono nella necessità di distruggere i residui della feudalità e di dare la terra a
tutti i contadini che la lavorano"» (4). Obiettivo ben arretrato, che non poteva svi-
luppare alcuna azione efficace contro il capitale nella guerra e nel dopoguerra. Se le
premesse erano queste, che restava da fare ai militanti?
Oggi il militante e il dirigente del nostro partito devono fare della politica: muoversi,
destreggiarsi nella complicata situazione che è la realtà di oggi per trasformarla (5).
Ma muoversi come? L'obiettivo rimane la guerra, riproposta a un proletariato
che è stanco di subirne i l peso e la diserta. I l PCI insiste su tale direttiva:
Ai compagni richiamati alle armi le Federazioni devono raccomandare di ottempe:are
al richiamo. Se i compagni obiettassero il carattere tuttora reazionario degli organismi mili-
tari italiani, la presenza in essi ancora oggi di quadri legati al fascismo, in essi ancora in vigo-
re, bisogna rispondere che il partito attraverso i propri rappresentanti nel Governo si sforza
di migliorare tale situazione. Bisogna d'altra parte spiegare ai compagni che quanto più
numerosi entreranno nell'Esercito gli elementi politicamente coscienti e sani, tanto più diffi-
cile sarà alle forze reazionarie servirsi di esso a loro difesa, e tanto più facile la sua democra-
tizzazione. Per gli stessi motivi ai compagni provenienti da formazioni partigiane poi disar-
mate e disciolte, non si deve sconsigliare l'arruolamento nell'Esercito (6).
Il militante in subordine viene preso di mira, mentre il fronte sale, anche per i
suoi peccati ideologici. Vale la pena di citare questo vivace spaccato nel quale si
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