

pazione è una costante del movimento operaio, va sempre condotta, ed è anticapita-
listica, perchè tende a produrre rigidità nell'uso della forza lavoro e tendenzialmente
un modo di produrre e rapporti di potere e di produzione tecnicamente diversi. Ma la
lotta per l'occupazione non è la lotta per lo sviluppo, che nella situazione italiana
pare priva di senso. Comunque la proposta di obbiettivi produttivi, ma non espressi
in termini aggregati ma specifici, possono far parte, anzi devono far parte delle lotte
del movimento operaio.
Ma il problema reale è la strumentazione concreta, il dettagliare le richieste, il
formare i quadri, nelle aree forti e in quelle deboli, per controllare risultati complessi
come quelli di una lotta per l'occupazione. E intanto premessa indispensabile di tutto
èmantenere la rigidità della forza lavoro occupata, che invece è saltata o sta saltan-
do, come constatano le riunioni sindacali e come fa rilevare anche la recente rela-
zione di C arli.
In quanto alla proponibilità politica, il problema mi sembra assai più semplice.
Venticinque anni fa i giornali sindacali scissionisti disegnavano i comunisti con tre
narici e commentavano con sarcasmi tutte le iniziative di Di Vittorio («Di Vittorio si
è forse scordato di essere comunista?» scriveva ogni tanto Pastore quando non ce la
faceva a presentare come negativa un'iniziativa della CGIL). Tutti i partiti del movi-
mento operaio erano all'opposizione, schiacciati sotto il peso di una sconfitta recen-
te. C'era la guerra fredda e c'era Stalin. Che fosse vero o no, tutta una generazione di
militanti operai pensava che i l loro compito era rovesciare i l sistema della fame e
dello sfruttamento e fare come in Russia, «chi non lavora non mangerà». Il piano del
lavoro aveva il senso di tagliar corto a uno scontro di potere e dare una prospettiva
di breve periodo: vogliamo lavoro e pane; si può avere o no? Si può pensare che la
proposta fosse un grave passo indietro: certo era un atto politico significativo, Ed
era politicamente motivato che fosse il sindacato, non i partiti, a fare le proposte.
Oggi abbiamo un partito del movimento operaio al governo. Un'altro che ci
vuole andare, speriamo non col nemico. C'è stata la «pianificazione» del centro-si-
nistra. Ci sono state le lotte per le riforme e la piattaforma di Genova e il «nuovo
modello di sviluppo». Sul piano del lavoro, per favore, mettiamoci una pietra sopra.
«Si sono chiesti tanti sacrifici al popolo italiano, da parte dei ceti possidenti, dei
ricchi: i l sacrificio della guerra mondiale, il sacrificio della guerra di Spagna, della
guerra etiopica, il sacrificio della seconda guerra mondiale: il popolo è stato sempre
chiamato a dare il contributo di sangue, di dolore, di danaro per tutte queste imprese
brigantesche volute dai ceti dominanti. Per un'opera di civiltà, di rinnovamento eco-
nomico, di pace, di progresso, di risanamento civile e morale, per dare lavoro, pane,
benessere alla nazione, può il popolo chiedere una volta tanto ai ceti privilegiati, alle
classi abbienti? Noi chiediamo che venga posto un contributo fortemente progres-
sivo a tutte le classi abbienti in proporzione alle loro possibilità». L'elenco di sacri-
fici richiesti al popolo da allora si è allungato. E la richiesta di «sacrifici» ai padroni
fatta da Giuseppe Di Vittorio è la cosa che ci pare ancora attuale del piano del lavo-
ro.
Francesco Ciafaloni
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