

fanno, perchè almeno così le parole d'ordine restano in piedi al mutare degli atteg-
giamenti reali. A me questa sembra proprio la destra: perchè, se uno non si rende
contoche una cosaèdi destraenon la descrive per quel che è, come fa a cambiarla?
Perciò la descrizione delle lotte durante la proposta del piano del lavoro di Giorgio
Napolitano (che era chiaramente autocritica) o quella di Aris Accornero mi sono
sembratemolto più a sinistra di quella di Bruno Trentin.
In merito ai problemi sollevati dal convegno. Secondome, i due problemi di
fondosono la proponibilità economica e quella politica del piano oggi. Se non del
piano, di un'ottica affine, con le debite correzioni (per esempio, come ha detto Foa,
avere una linea salariale
oltre
alla proposta di piano, non perdere il contatto con le
categorie operaie forti). I due problemi sono strettamente connessi, ma possono
certoessere affrontati come distinti.
Sulla adeguatezza economicadel piano allora esulla necessità di junaproposta
economica affine a quella del piano oggi si è chiaramente pronunciato. Vianello, più
chenella relazione nello scritto sul «Manifesto». La base di questa valutazione è
l'opinione anch'essaespressa di una tendenzamalthusiana del capitalismo italiano.
Un sistema economico può funzionare a qualsiasi grado di utilizzo delle forze pro-
duttive. Senon ci sonospinte particolari che lo forzino (puòessere lo stato, ma può
essereanche la classe operaia a fornirle), i capitalisti italiani tenderebbero alla palu-
de, a restringere piuttosto che ad allargare la base produttiva, a seguire una politica
di mercati protetti, di prezzi alti edi produzione limitata. In altri termini, nonsvolge-
rebberoappienoneppure il loromestiere di capitalisti o lo svolgerebbero inmaniera
restrittiva. Quindi il movimento operaio non solo dovrebbe lottare per la distribu-
zione del prodotto ma anche per stimolare lo sviluppo. Sembrerebbe inoltre che il
giudizio venga dato in particolare sul capitalismo italiano, non sul capitalismo in
una certa fase del suo sviluppo. I capitalisti italiani sarebbero tendenzialmente
autarchici e protezionisti. C'è stato sì il miracolo, ma è stata una breve parentesi. In
seguitoa questaparentesi si è parlato di pianodel capitaleesièpensatoche la classe
operaiapotesse limitarsi a battersi per i salari e il potere. Ma orasi vedeche invece la
scarsa vitalità del capitalismo italiano è una costante. Dopo tutto, il giudizio degli
anni '40 era giusto. Bisogna fare proposte che stimclino la produzione.
Secondome le cose non stanno cosi. L'unico dato che può dar ragione a chi
sostengauna tendenza autorestrittiva del capitalismo italiano è quello della percen-
tuale di popolazione attiva, cheèpatologicamentebassa. L'occupazioneèsalita, ma
menodella popolazione; la disoccupazioneè diminuita, maper via dell'emigrazione.
Finche ci saranno disoccupati e inoccupati sarà lecito sostenere che il capitalismo
italiano èmalthusianoechebisogna stimolarlo. Il ragionamentoèconvincentecome
ragionamentogenerale sul funzionamento del capitalismo (è, dopo tutto, una con-
statazione vecchia di più di un secolo). Lo èmenocome ragionamento particolare.
Perchénon si possonoprendere per vere le cifre della popolazione attiva dei censi-
menti, clamorosamente smentite dalle rilevazioni campionarie trimestrali, che (a
parità di definizione) danno una popolazione attiva di unmilione emezzo più alta, e
da rilevazioni e ricerche particolari. Questo è un periodo di stretta, ma i corsi delle
150ore a Torino sono in difficoltà perchègli operai incassa integrazione cercanoun
secondo lavoro e
lo trovano,
per cui nonvengonopiù. Quelli, chi li censisce? Inoltre,
difficilmente si contrapporrebbero come indice di pieno utilizzo delle forze produt-
tive le altissime percentuali di popolazione attiva dell'Italia agricola di cinquant'anni
fa, quella sì protezionista e autarchica. È proprio lo «sviluppo» che espelle la gente
dalle produzioni tecnicamente (o capitalisticamente) arretrate. La lotta per l'occu-
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