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l'interno della testa stessa di ogni singola persona».

(I

cinesi sostengono anche—e

con ottime ragioni — che i disturbi mentali sono dovuti a queste contraddizioni

«nella testa», e che per questo sono un problema politico).

Nella società capitalista avanzata, i l porre questi problemi significa rendere

ancor più evidente le contraddizioni che si affacciano nella sfera del «tempo libero»,

della famiglia, della vita privata, dei rapporti interpersonali nel lavoro e nell'attività

politica, per dimostrare come è proprio su questo terreno che più sottilmente e peri-

colosamente tende a riprodursi i l tessuto di violenza della società borghese. Ma

porre questi problemi significa anche battersi spoliticamente per scardinare queste

strutture e questi rapporti, aprendo la strada a rapporti diversi e strutture alternati-

ve. Non si tratta qui, si badi bene, di pretendere di porsi fuori dalle grandi contraddi-

zioni sociali, per rifugiarsi in un ghetto operativo illusorio e artificiale, in cui con

tutta tranquillità si coltivino rapporti umani che sono fonte di consolazione per i

membri del gruppo e—ovviamente—di esclusione per le persone e i problemi che

restano fuori dai suoi confini. Non si tratta quindi di illudersi di porsi «fuori» dalla

realtà politica secondo la mitologia privilegiata e individualista di una «etica alter-

nativa», svincolata (ma solo apparentemente) dalle contraddizioni esistenti nella

società. Si tratta, invece, di cogliere e utilizzare un aspetto importante delle contrad-

dizioni di classe, e scegliere come proporsi, e come agire, rispetto a una parte domi-

nante delle sofferenze, delle contraddizioni e dei bisogni che

questa

società esprime,

eche si esprimono in ciascuno di noi.

Si tratta quindi di riconoscere non solo la possibilità ma anche la necessità di

fare politica in un ambito di problemi gravi e urgenti, che non fanno parte del paesag-

gio tradizionale e collaudato delle lotte. I giovani hanno posto per primi questa esi-

genza di fronte al mondo nel 1968: e il riflusso che neè seguito è anche il segno della

incapacità delle organizzazioni a raccogliere e sviluppare quell'insegnamento. Ten-

denze al rifiuto del mito quasi onnipotente della proprietà privata edel possesso, ten-

tativi di lavorare meno ma— in compenso—di pensare di più, ricerca di valori di

disponibilità e generosità contrari all'individualismo competitivo imperante, costru-

zione di modi di vita basati sulla riduzione dei bisogni superflui, sforzi per stabilire

rapporti meno ipocriti emeno strumentali e oppressivi fra uomini e donne e fra adulti

ebambini, strutture di vita quotidiana in cui sia possibile riscoprire la tenerezza, la

curiosità e il gioco: tutto ciò fa parte di un orientamento che può portare a dei risul-

tati—anche se solo parziali—solo a condizione che queste cose non si separino dalla

politica, dal confronto con la vita reale, da una partecipazione consapevole alle cose

del mondo.

Soggettività e razionalità nella coscienza rivoluzionaria

Da

alcuni anni il tema

della

soggettività politica,

e in particolare della

soggetti-

vità operaia,

ha assunto notevole importanza nel dibattito all'interno della sinistra.

Con questo termine si indica di solito il modo in cui, collettivamente, gli operai e le

masse avvertono e interpretano la loro condizione nella fabbrica e

nella

società. Si

parla di soggettività a proposito dei problemi della salute: la consapevolezza collet-

tiva del fatto che esiste nella fabbrica un alto livello di nocività, e la consapevolezza

del proprio malessere, si contrappongono alla falsa obiettività degli argomenti del

padrone e del medico del padrone, e divengono la

misura

del fatto che occorre cam-

biare le cose. Oppure, più in generale, si parla di soggettività politica per quanto

riguarda la coscienza con cui il collettivo operaio avverte e interpreta le condizioni

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