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di chiusura nazionalistica, ecc. e che affermi la priorità delle scelte poli-
tiche collettive sulle "esigenze oggettive della tecnica, dell'efficienza, ecc", che
nascondono in realtà gli interessi precisi di forza che (anche in regimi socialisti)
hanno finora controllato questi aspetti.
Ma la traduzione in pratica di questa prospettiva di lotta internazionale
non dipende, ovviamente, soltanto dai cinesi. La moltiplicazione delle rivoluzioni
èuna condizione perchè la Cina possa agire coerentemente con questa prospet-
tiva. Nella misura in cui essamanca, prevalgono le esigenze di « sopravvivenza »,
i compromessi e le tattiche diplomatiche a livello di stato divengono in parte
e,spesso, portano con sè una dose di mistificazioni ideologiche (sia
pure inferiori a quelle sovietiche) contradditorie con la teoria rivoluzionaria.
Oppure, prevalgono i tentativi sbagliati, gl i errori consistenti nel porre l e
speranze di iniziativa rivoluzionaria in gruppi che si rivelano incapaci di farlo.
Così, i n Asia, abbiamo avuto le alleanze equivoche con Sukarno o col
Pakistan; abbiamo avuto i tentativi di alleanze diplomatiche in Africa; in molti
paesi, gruppetti minoritari filo-cinesi vegetano ai margini di una effettiva ini-
ziativa rivoluzionaria. Una parte di questi atti politici sarà probabilmente coin-
volta nella revisione critica di molti aspetti della politica passata cinese, che
ha attualmente i l suo sintomo più evidente negli attacchi •a Liu-Shao-chi, che
di questa « politica di stato » fu probabilmente il massimo esponente. Ma questa
revisione critica interna può eliminare certe mistificazioni, certi « travestimenti
rivoluzionari » d i at t i di compromesso, certi compromessi non necessari: non
può creare situazioni rivoluzionarie là dove manca un'iniziativa rivoluzionaria
autonoma.
Non a caso, nei confronti del VN, dove un'iniziativa rivoluzionaria esiste,
la posizione cinese è politicamente corretta: essa è caratterizzata anzitutto
dall'accettazione delle decisioni politiche vietnamite come determinanti nello
stabilire i modi e i tempi dell'aiuto esterno (rifiutando ogni tentazione di presen-
tarsi come « grande potenza che tratta per i l Vietnam » a cui pure la politica
USAha in passato cercato di spingerla); in secondo luogo, è caratterizzata dalla
ricerca del tipo di scontro con gli USA più vantaggioso per le forze rivoluzio-
narie e più rischioso per gli USA.
Infine, è anche politicamente corretto l'atteggiamento della Cina verso
l'URSS sul problema del VN. I l rifiuto dell'unità di azione politica, le denunce
della posizione sovietica, non sono un atto di gratuito settarismo. Da un lato,
essi non hanno mai portato (malgrado quello che dice la propaganda imperialista
quella f i lo-sovietica) ad ostacoli materiali nell'afflusso d i aiuti a l VN: l e
ripetute smentite nord-vietnamite, riconosciute infine esatte anche da altre
fonti ( « Le Monde »), stanno a testimoniarlo. Ma , sul piano politico p i ù
generale, la posizione cinese è corretta per molteplici motivi: essa mette i n
luce che la divergenza tra le due posizioni non è tattica ma strategica: non si
tratta solo di due modi diversi di vedere la tattica di lotta del VN, ma di una
iadicale divergenza sulle soluzioni che tale lotta deve avere, e sul contesto
• mondiale che esse devono contribuire a creare; da un lato, una situazione di
coesistenza che è possibile solo al prezzo di un « controllo bilaterale » degli
sviluppi rivoluzionari, cioè di una low neutralizzazione; dall'altro, un esito della
lotta in VN che stimoli il moltiplicarsi delle rivoluzioni e rifiuti la stabilizzazione
politica della situazione mondiale.
Essa è inoltre utile (malgrado certe apparenze) sul piano tattico: in quanto
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