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rono d'accordo con l'impostazione del relatore, cosicché fu approvata

una dichiarazione conclusiva in cui era detto tra l'altro:

«

Gli indu–

striali italiani repugnano dal dover obbligare gli operai a lavorare

intensamente , ·come gli operai stranieri; mentre per rifarsi degli ag–

gravi della riforma senza ridurre i salari non avrebbero altro mezzo

che togliere i riposi ora concessi e che, come s'è detto, riducono a

non più

di

5 ore la giornata di lavoro effettiva ».

Resta ancora da esaminare e definire la questione riguardante i

salari. Questo problema appare particolarmente complesso poiché per

molti diversi aspetti non è assolutamente definibile un livello me–

dio dei salari stessi che, pur con consistenti approssimazioni, possa

essere relativamente attendibile. I motivi di ciò sono molteplici.

Anzitutto il fatto che in un'epoca in cui non era contrattualmente

previsto un minimo salariale di categoria, le retribuzioni dipende–

vano esclusivamente dalla capacità di contrattazione dei singoli nuclei

di fabbrica. Vi era poi il fatto, ad esso connesso, per cui i lavora–

tori delle grandi industrie cittadine potevano generalmente fruire

di retribuzioni assai superiori alla media. Ed ancora incideva in modo

non indifferente la maggior o minor presenza, in ogni impresa indu–

striale, di mano d'opera minorile e femminile che pure contribuiva

ovviamente all'abbassamento dei livelli salariali.

Ma il dato fondamentale era la grandissima quantità di

«

me–

stieri » diversi esistenti all'interno di una stessa fabbrica e, per ogni

«

mestiere », la successiva molteplice divisione in varie qualifiche.

Cosl, per esemplificare, in un opificio meccanico che occupasse in

tutto un centinaio di operai si potevano distinguere i fonditori dai

facchini, i manovali dagli aggiustatori, i montatori dai fabbri e questi

dai fresatori e dai piallatori e cosl via. Ogni categoria aveva una re–

tribuzione diversa, ma questo non era ancor nulla. Infatti esistevano

poi ulteriori suddivisioni interne per cui, ad esempio, il fucinatore

con la qualifica di

«

operaio finito » guadagnava più di quello consi–

derato « operaio semplice», del

«

mezzo operaio », dell'aiutante,

dell'apprendista ed infine del «garzone». Anche all'interno di uno

stesso opificio si veniva cosi a formare un ventaglio di qualifiche

e di retribuzioni incredibilmente vasto. Ciò rispondeva naturalmente

ad un tentativo di frammentazione e disgregazione della classe ope–

raia che consentisse agli imprenditori di trattare separatamente con

nuclei di operai ridotti, isolati e perciò incapaci di opporre una va–

lida resistenza. Ed in effetti questa strategia si rivelò in un primo

tempo assai idonea poiché l'organizzazione operaia si basava su nuclei

non di fabbrica, ma di « mestiere ». Cosicché accadeva sovente che,

ad esempio, durante uno sciopero dei bronzisti di una data impresa,

tutti gli altri operai dello stesso opificio lavorassero regolarmente,

con notevole pregiudizio per la riuscita dell'agitazione, mentre ma–

gari scioperavano per solidarietà i bronzisti di altre fabbriche.

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