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ché, ad esempio, in un'annata non certo caratterizzata da crisi del–

l'industria , ma anzi di pieno sviluppo come fu appunto il 1903, su

19.349 operai meccanici e metallurgici milanesi ben 3.090 ebbero

periodi più o meno lunghi di disoccupazione

11

,..

La disoccupazione stessa era altresl una conseguenza del sistema

di lavoro a cottimo, quasi universalmente adottato, e dei pesanti

orari di lavoro ancora vigenti. A proposito del funzionamento del

cottimo ecco cosa scriveva un fonditore milanese nel 1905

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:

«

Il

lavoro a cottimo avviene in questo modo: si paga una giornata per

fare un certo numero di staffe. Quando ha terminato l'operaio se

ne va a casa. Con questo sistema di lavoro il padrone sa di preciso

quanto l'oper aio può produrre. Cosl dopo stipula un prezzo per ogni

staffa e l'operaio deve lavorare più della propria forza fisica per

la

sola sua giornata». Questo sistema ovviamente oltre a produrre

effetti negativi di disgregazione della classe"", permetteva di sfrut–

tare al massimo le capacità di lavoro degli operai e quindi di dare

occupazione ad un numero più ridotto di lavoratori.

L'altro accorgimento che concorreva a tener viva la disoccupa–

zione era come abbiamo detto l'adozione di pesanti orari di lavoro.

Si

è

già visto come negli ultimi decenni dell'S00 la capacità di con–

tratta zione degli operai fosse ancora molto scarsa, con orari lavora–

tivi che raggiungevano di norma anche le 15-16 ore giornaliere.

In

seguito la situazione era relativamente migliorata, e per il periodo

che

ci

riguarda le statistiche ufficiali parlano, come vedremo, di

giornate lavorative ormai stabilizzatesi intorno alle 10-11 ore di

«

orario normale

».

Ma a parte il fatto che questi orari erano riferi–

bili con certezza solo alle imprese urbane di grandi e medie dimen–

sioni dove la classe operaia era stata abbastanza forte da imporre e

salvaguardare questi miglioramenti , bisogna ancora osservare come

in effetti nessun limite fosse fissato per le cosiddette « ore straordi–

narie ». Pertanto quasi sempre anche gli operai delle grandi fabbri–

che milanesi e bresciane finivano per lavorare ben più a lungo di

quanto comparisse nelle dichiarazioni ufficiali dei loro datori

di

lavoro.

In

questo periodo, come vedremo meglio in seguito, le richieste,

molto spesso accolte, delle organizzazioni operaie erano volte ad

ottenere una riduzione del loro numero, o meglio ancora la loro

proibizione. Questa impostazione, se da un lato trovava consen–

zienti alcuni strati operai, d'altro canto non era in contrasto con gli

interessi degli imprenditori che certamente dovevano trovare più

conveniente retribuire in modo maggiorato alcune ore di lavoro

piuttosto che assumere un ma~ ior numero di operai.

Ma esaminiamo ora alcuni ·dati a supporto delle tesi sin qui

espresse. Documenti diversi mostrano anzitutto che già verso il

1905, almeno a Milano, l'orario «no rmale» di lavoro era quasi

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