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su 41 fonderie lombarde che occupavano 2.618 operai. Essi lavora–

vano, secondo questa fonte per nulla sospetta,

«

nella quasi totalità

in locali chiusi, dei quali però solamente cinque su trentaquattro

rispondevano ad esigenze igieniche ed erano provvisti di lavatoi e

spogliatoi [ ...]

».

La mancanza persino di queste più elementari pre–

cauzioni faceva sl che i lavoratori in questione fossero soggetti fre–

quentemente agli inconvenienti ed alle malattie di cui abbiamo

avuto già notizia.

Ma in che proporzione si verificavano questi inconvenienti? Ten–

tare di rispondere a questa domanda anche solo con un'approssima–

zione sufficiente è praticamente impossibile, per le sin troppo ovvie

difficoltà che

il

compiere una attendibile ricerca di questo tipo

avrebbe comportato anche per uno studioso dell'epoca. Perciò siamo

in grado di disporre solo di alcuni frammentari dati che pure possono

fornire indicazioni significative. Uno studioso, il Pieraccini, esami–

nando

103

la mortalità per tubercolosi in Italia affermava che mentre

su cento decessi di

«

propreitari

»

solo 4,68 erano dovuti a tuberco–

losi, la percentuale saliva a 5,41 per gli agricoltori, a 11,85 per i mu–

ratori e ben a 18,11, percentuale massima, per i metallurgici. Inoltre

tra i lavoratori di quest 'ultimo settore si avevano le più alte per–

centuali di ustionati, sofferenti di disturbi audiovisivi, gastro-intesti–

nali, bronchiali, polmonari e reumatici . Oltre naturalmente alle fre–

quenti gravi affezioni specifiche della professione connesse alla na–

tura di alcuni metalli trattati come l'idrargi smo (avvelenamento da

mercurio) ed il saturnismo (intossicazione da piombo).

Infine per gli infortuni sul lavoro vi

è

una statistica, parziale e

probabilmente inferiore al reale, ma nondimeno impressionante. Se–

condo questi dati

104

nei mesi di luglio, agosto e settembre 1908 si eb–

bero in Lombardia 14.309 incidenti sul lavoro, e di essi ben il 33%,

cioè 4.688, avvennero nella sola industria metallurgica e meccanica,

mentre al secondo posto seguiva l'edilizia con un numero di incidenti

inferiore della metà.

Frattanto

il

processo di immigrazione e di inurbamento già segna–

lato sul finire del secolo continuava e si intensificava anche in questi

anni, in coincidenza con il potenziamento generale delle industrie e

di quella meccanica in particolare. Infatti le statistiche

105

mostrano

come nel periodo 1900-13 ben 250.914 persone immigrarono nella

sola Milano. Si deve inoltre tener conto del fatto che queste rileva–

zioni sono sicuramente inferiori al vero, poiché la fonte stessa defi–

nisce

«

scarsamente attendibili

»

per difetto alcuni dei dati usati

per comporle.

È

ovvio che se anche molti nuovi posti di lavoro si

offrivano effettivamente, nondimeno una cosl cospicua immigrazione

doveva funzionare in modo da garantire la permanenza di un ampio

margine di disoccupazione, in modo che

la

contrattazione salariale

degli operai non muovesse da posizioni di forza. Questo spiega per-

379,

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