

62 piccoli opifici con 434 operai. Altri 2.000 lavoranti fabbricavano
chiodi a mano nella wna di Cantù.
A Milano la produzione siderurgica era limitata a due imprese.
La
«
Fonderia Milanese d'Acciaio» (già Vanzetti e Sagramoso) pro–
duceva acciaio dolce al convertitore Robert. Essa occupava
275
la–
voranti, disponeva di una forza motrice superiore ai 280 cav.
din.,
ed aveva prodotto nel 1897 circa 1.000 tono. di acciaio. A Ro–
goredo infine la
«
Società del laminatoio di Malavedo
»
aveva
impiantato un forno Martin Siemens, basico, da 12 tono. Nella
provincia si contavano ancora 31 fonderie di ghisa, bronzo ed ottone
non annesse ad officine meccaniche: fra esse degna di menzione era
forse solo la
«
Fratelli Pagnoni
»
a Monza. Complessivamente nella
regione l'industria metallurgica, comprendendo fonderie ed officine
per la seconda lavorazione del ferro, produzione di utensili, armi ecc.
disponeva di circa 380 opifici con 9.100 operai. Non
è
invece pos–
sibile, per l'incomp letezza dei dati, fornire
il
numero dei motori in
funzione e l'energia che essi erogavano.
Erano frattanto sorte anche in Lombardia piccole officine per la
lavorazione di altri metalli (soprattutto zinco, rame e sue leghe),
ma la loro importanza era ancora irrilevante poiché attendevano a
questo compito complessivamente non più di 400 operai.
Da questa lunga serie di dati si possono cominciare a trarre
alcune considerazioni sulla struttura dell'industria metallurgica lom–
barda all'inizio del periodo che interessa più direttamente la pre–
sente ricerca.
È
evidente anzitutto che nonostante lo sforzo di rinno–
vamento che abbiamo brevemente delineato in precedenza non si
poteva ancora parlare, in assoluto, dell'esistenza di una grande indu–
stria metallurgica. Pochissimi erano infatti gli stabilimenti che oc–
cupavano più di 100 operai e relativamente scarsi erano anche quelli
con alcune decine di lavoratori. La maggior parte dei motori erano
ancora idraulici e sviluppavano una potenza relativa. Il numero
delle società anonime era addirittura irrilevante; la
«
Metallurgica
Tempini
»
a Brescia, la
«
Ferriera del Caleotto » a Castello di Lecco,
la
«
A. Migliavacca
»
(la più importante, con un capitale versato
di. lire 2.500 .000), la
«
Fonderia Milanese di Acciaio» e qualche
altra di minor rilievo.
Inoltre se i grandi opifici lavoravano ormai a pieno ritmo, nelle
fabbriche minori - che erano la maggioranza - non si superavano
le 220-230 giornate lavorative annue ed i lavoratori di esse, come
pure quelli addetti alla fabbricazione casalinga di chiodi, alterna–
vano il lavoro nelle officine a quello nei campi.
Si deve inoltre tener presente che questa industria si era in mi–
nima parte affrancata dal
legame
coi luoghi naturalmente più idonei
al suo esercizio e pertanto non aveva potuto operare un profondo
processo di concentrazione urbana, ma era ancora sparsa soprat-
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