Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 9 - 15 novembre 1896

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMENTO ITALIA·: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7 ; semestre lire 4. AnnoIl. - N. 9. Abbonamentopo&tale Roma15Novembre1896 Sommario. LA R1v1STA- Ciò che si sequestra e ciò che si potrebbe sequestrare. GUGLIELMOFERRERO- Lezione perduta? SAVERIOMERLINO- Democrazia e Socialismo. SILVIOBECCHIA-. Gli Italiani nell'Argentina. ALESSANDRGOROPPAL-I L'Istituto internazionale di sociologia. S. CAMMARERScIuRTI - Delizie Tributarie. Dr. N. CoLAJANN-I Di un Libro sulla Scienza Politica. Lo Zonco ·- Repubblica e guerra civile. G. ANDREAPrnTACUDA- La Bancarotta della scienza. Sperimentalismo Sociale - La 11uovaarmonia sodale - Cooperaz.iouee libero scambio: Notizie Varie - Le principali industrie italia11e - Il commercio del vitw i11Italia nel 1896 - Il debito pubblico italtano - Le stelle filanti. Recensioni - Antonio Vergagnioi: I due terrori in 'R.;tssia. Note Bibliografiche - Mansueto De Amicis: La questio11edel daz.iosulla lana grezza - S. Cammareri Scurti: Il socialismo e la quistioue di stomaco. La lotta di classein Sicilia. ecc. ecc. La ":1t,ivisìa PopoZaz-e,, Nelle popolazioni italiane abbonda ancora il seme italiano e genera spesso ancora uomini elevati per senno e per virtù. Ma il partito repubblicano in Italia non sa farsi valer quanto merita per mancanza di centro e di ordiMmento. Alberto Mario aveva sentito vivamente il bisogno di stringere in lega la democrazia italiana repubblicana ; ma tosto dopo la morte di lui i discepoli ambirono conventicole separate. Ora ogni gruppo repubblicano nelle città italiane ambisce di avere organo proprio giornalistico e vi spende ingegni e danari, ma non organizza fortemente il partito. Gli alti intenti di Alberto Mario sono riassunti dal dott. Napoleone Colajanni, il quale a Roma va pubblicando un periodico ebdomadario dal titolo : Rivista Popolare, colla collaborazione di illustri scrittori repubblicani. Rivista che, per dottrina profonda ed alti sentimenti di pura democrazia, dovrebbe essere incoraggiata e diffusa per opera di chi sente la missione repubblicana in Italia. Onde l'Italia del Popolo, che è centro notevolissimo ed utile del partito democratico italiano, deve cooperare a migliorare la diffusione di questa ottima rivista del comune amico N. Colajanni. G. ROSA. Di que,te parole, che riportiamo dall' Italia del Popolo di Milano, noi 1•ingraziamo calorosamente il venerando uomo che volle scriverle. Le ragioni di modestia sono state vinte dal compiacimento, soltanto perchè Gabriele Rosa, avanzo dello S!Jielberg è un patriota vero che non chiese mai nulla, per sè. LA REDAZIONE. CIÒ CHE SI SEQUESTRA E CIÒCHESIPOTREBBE SEQUESTRARE La Rivista ha subìto il suo terzo sequestro. Se dicessimo che non c'era alcun motivo che lo giustificasse forse non saremmo creduti; ad ogni modo possiamo assicurare i nostri lettori, che si parlava col dovuto rispetto di Re Umberto e che tutte le nostre critiche erano rivolte specialmente contro i ministri, i quali - pilì realisti del Re - hanno voluto fare delle feste in momenti assai tristi e vogliono assegnare un nuovo appannaggio al Principe ereditario. Ora si sa - almeno così hanno scritto i giornali bene informati delle cose della Corte - che il Capo dello Stato non voleva feste e non vuole nuovo appannaggio per suo figlio. Al Fisco certamente riuscì sgradito il bilancio del bene e del male arrecato in trentasei anni dalle vigenti istituzioni a questa povera Italia; ma in questo caso il suo degno rappresentante, dà prova di una ignoranza bestiale: quel bilancio da noi venne reso con pallidi colori ; assai più vivo e impressionante lo si riscontra nelle statistiche, che pubblica l'illustre Comm. Bodio e nei discorsi dei più eminenti deputati e senatori del Regno pronunziati in diverse occasioni a Montecitorio ed a Palazzo Madama. Se vuole che la verità non si conosca dal popolo, perchè il Procuratore del Re in Romit non sequestra i documenti che escono dalla Direzione generale della Statistica e i diPcorsi pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale? L' ignoranza crassa, pari soltanto alla libidine di arbitrio, di cui fa mostra la Regia procura non ci sorprende; non per nulla essa fa parte della discreditata magistratura italiana, che sinora rese servigi a Palazzo Br.aschi, ma non amministrò giustizia ; - di quella discreditata ·magistratura, che ha imbastito - tra tanti - gli scandalosi processi deJ.laBanca Romana e della Contessa Cellere; - di quella magistratura bollata col marchio dell' infamia dall"attuale suo capo supremo, sena-

162 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI tore €:osta, e che pare si prefigga la impunità dei grandi delinquenti. . Dopo tutto non ci rammarichiamo gran fatto d1 questi sequestri ingiustificati e ingiustificablli; ai nostri lettori non viene danno, perchè mandiamo loro sempre un' edizione purgata, e del danno materiale non lieve che ce ne viene ci sentiamo compensati dalla soddisfazione morale che essi ci procurano: i seque,tri ripetuti insegnano a quei nostri amici, che furono qualificati bigotti della re- .pubblica, che è assolutamente impossibile scrivere in senso repubblicano chiaro ed aperto, perchè il Regio Fisco non lo permette; i sequestri capricciosi sbugiardano la massa d' imbecilli e di bricconi, i quali con una faccia tosta impareggiabile ripetono quotidianamente, che sotto la monarchia in Italia si gode maggiore libertà di quella che si ha sotto la migliore delle repubbliche. La verità lampante è un po' diversa: in quanto a libertà il paragone colla Francia, colla Svizzera, cogli Stati Uniti, il tentativo del paragone è semplicemente ridicolo; invece è logico e s'impone coi fatti quello colle peggiori monarchie di Europa : dal parago;°e risulta che la libertà goduta in Italia è molto minore di quella di cui fruiscono i cittadini sotto la monarchia spagnuola e sotto gli Imperi austriaco e tedesco. Nel male il nostro paese ha sempre il primato! Ridotta ai minimi termini com' è la nostra libertà politica, noi, però, abbiamo il massimo interesse di conoscerne i limiti precisi; perciò sapremo costringere il Procuratore del Re a mandarci alle Assise; anzi affinchè dal verdetto che saranno per dare i giurati noi potessimo trarre norma pii'.1 sicura intomo alle discussioni che ci sono con-· sentite sulle vigenti istituzioni, e sugli atti politici dei ministri e sulla responsabilità che può spettare al Capo dello Stato, noi riprodurremo nel prossimo numero l'articolo intitolato : Il Re e pel quale ci fu iniziato processo, annullato dall'ultima amnistia. Sarà nuovamente sequestrato ed il processo non potrà mancare. Se la sentenza fosse tale, per nostra disgrazia, che dovremmo rinunziare ad ogni libera discussione, noi invocheremmo come benefica ed opportuna la censura preventiva ed agiremmo in modo da ottenerne i benefici, anche se essa non venisse legalmente stabilita. X Dicemmo più sopra che il Procuratore del Re se vuole riuscire a nascondere al popolo la verità dovrebbe sequestrare le Statistiche del Bodio e i discorsi dei deputati e dei senatori. Come codicillo alle osservazioni sull'ultimo sequestro adesso, per una volta sola, ci permettiamo farla da denunziatori segnalando alla speciale attività del Fisco il motivo indicato da un illustre cienziato per rallegrarsi delle nozze Savoia Petrovitch. Il Professore Eurico Morselli, dell' Università di Genova_ha pubblicato queste parole, che sono state liberamente riprodotte da tutti i giornali monarchici: <<•• Uno studio diligente e spassionato, condotto per più anni sulla sorte delle grandi Famiglie dinastiche di cui parli la storia, mi ha. rivelato che il solo mezzo pel quale poche fra esse sfuggirono od hanno sfuggito, dopo 10-12 generazioni, alla ineluttabile legge biologica della decadenza e della scomparsa, è sempre stata l'unione con elementi di razza nuova o giovane, perchè più vigorosi e più sani. << Come uomo di scienza e come Italiano ho dunque motivo di rallegrarmi sinceramente della scelta fatta da S. A. il Principe Vittorio Emanuele. « Con Elena di Montenegro entra nella Casa Sa voja un pot<jnte fattore di vigoria, di salute morale, di ringiovanimento. « Genova, 4 ottobre 1896. « ENRICO MoRsELLI ». Il professore dell'ateneo genovese si riferisce agli studi del Jacoby, del Wiedermeister, del Ribot, precedenti ai suoi, che assodano in modo in - confutabile la degenerazione fhica e morale delle dinastie e delle aristocrazie. Se l'allusione alla fatalità di tale degenerazione che nella dinastia sabauda vuolsi scongiurata per l'incrociamento colla razza montenegrina fosse stata fatta da noi, un bravo sequestro non ci sarabbe mancato ; invece il Professore Morselli ha mandato il suo complimento agli augusti sposi per mezzo dell'album offerto loro dal Ministro della Pubblica Istruzione e il responso della scienza, circola liberamente. Tanto meglio per la scienza e per la verità. LA RIVISTA. Condizioni d'abbonamento. Quest'anno l'Amministrazione della Rivista Popolare fa condizioni speciali d'abbonamento: - Chi procura quattro abbonati annui che paghino anticipatamente avrà gratis la Rivista per un anno. - Chi procura tre abbonati che paghino anticipatamente riceverà in dono la Politica Coloniale del Dr. N. ColaJanni. ( Un volume di pag, 300 ). - Chi acquista la Sociologia Criminale del Dr. N. ColaJanni (due grossi volumi di 1300 pag., oltre una grande tavola L. 13) riceverà gratis La Rivista per un anno. Aggiungere, centesimi 60, per la spedizione.

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 163 LEZIONE PERDUTA? Leggevo alcuni giorni sono un articolo, nel Don Chisciotte, di Luigi Lodi : un giornalista di sensi liberali e che ha partecipato con vigore e coraggio alla guerra contro il Crispi e i suoi bravi. Iu esso si diceva chi> lo scoraggiamento degli Italiani per la sconfitta di Adua era troppo grande ; e che, infine, si trattava di una divisione italiana caduta combattendo contro un nemico sei volte più grande. Pochi articoli mi hanno sorpreso tanto come questo di un pubblicista tra i più intelligenti e sensati d'Italia, che ripeteva un argomento già trattato nella Tribuna, da Guido Baccelli. É possibile che il significato di una così tremenda lezione si sia già perduto, nelle anime obliose degli italiani se anche chi rappresenta una idea di saggezza e libertà ripete i sofismi di chi, divenuto complice di un gran delitto, cerca di dimostrare che il gran delitto non è poi che un piccolo fatto di cronaca? La filosofià ufficiale ha difatti oramai formulato sulla battaglia di Adua questa teoria: « la causa del disastro è stata il momento di pazzia del iBarattieri ». Misteriosi disegni della Provvidenza ! Forse se Barattieri avesse mangiato un giorno prima dei piatti con meno pepe, avrebbe anche bevuto meno; se avesso bevuto meno sarebbe stato meno eccitato; se fosse stato meno eccitato, non avrebbe ideata la infausta battaglia! .. Chi sa? Sulla traccia di questa filosofia della storia i critici del 3000 troveranno che un cuoco, caricando di pepe le pietanze del generale fece passare l' Italia dal rango di prima a quello di seconrJa potenza e trasse a estremo pericolo la monarchia. Eppure queste sciocchezze non sono punto più sciocche delle molte cose che si vanno scrivendo della battaglia di Adua, quando si vuol far credere, con serietà che se Baratieri fosse stato più saggio l'esercito nostro avrebbe vinto. Solamente i ciechi di fatto possono non vedere che ben più che l'incapacità del generale nocque alla fortuna della guerra la confusione e l'insufficienza dei servizi amministrativi. La lezione vera e terribile della campagna è stata questa: che dopo aver spesi un numero prodigioso di miliardi per fare un esercito l'Italia non è stata capace di mettere in piede di guerra 50000 uomini, dando loro tutto il necessario non solo in armi e munizioni, ma anche in vesti e nutrimento. É vero che si trattava di provvedere così 50000 uomini a una enorme distanza; ma quando si pensa che in una guerra Europea, se gli eserciti sarebbero meno lontani, sarebbero dieci volte più numerosi, c'è da temere che i nostri soldati avrebbero da fare la fine del Conte Ugolino. Ora un esercito che possiede soltanto dei fucili e dei cannoni, ma non possiede un buon meccanismo Amministrativo, per cui i soldati siano provveduti di tutto, è uu esercito che non esiste, è un esercito ipotetico, formato d'Ufficiali che tirano lo stipendio, ma che nou serve a nulla. La campagna d'Affrica ha dimostrato che l'esercito italiano è più un'apparenza che una realtà; onde sembra che il popolo italiano abbia a dolersi non soltanto di una divisione perduta; ma del lungo inganno, con cui gli sono stati estorti tanti denari, senza nessuna conclusione. Ma la campagna ha anche dimostrato una verità più grave, innanzi alla quale si è voluto chiudere gli occhi: che è cioè impossibile, con l'esercito permanente e a reclutamento forzato, fare una guerra vittoriosa se i soldati non vanno volentieri alla guerra e non sono risoluti a voler vincere. Più ancora che la insipienza dei capi e la impreparazione dei servizi, ha contribuito a precipitar le sorti di tutto, il malvolere dei soldati, che non volevano battersi ; come, più che lo scoraggiamento presente, è un segno di fiacchezza morale universale, la paura che si è avuta di vedere la verità e di dichia1"arla: la verità era questa: che conteneva molto pii'1 di verità il primo telegramma di Barattieri che le smentite piagnucolose da lui fatte dopo. Chi ha parlato con qualche soldato reduce dalla battaglia, ha sentito certo ripetere queste frasi: è stata subito un'enorme confusione ; gli ufficiali non riescivano a farsi ascoltare e appena qualcuno ne cominciò a cadere, tutti si sbandarono. Del resto anche la cifra, relativamente esigua, dei morti, dimo3tra che la resistenza di gran parte dei soldati è stata debole assai. Nella guerre cogli abissini - che sono guerre di massacri - un esercito vince o riesce a ritirarsi con ordine: ma se le due ipotesi non si avverano, è massacrato quasi interamente. Tutta la storia delle guerre abissine dimostra questa legge, a cui invece la battaglia di Abba Carima si ribella, perchè in essa l'esercito italiano non ebbe vittoria, non si ritirò in ordine, e non lasaiò sul campo che 113 dei suoi uomini. È evidente che il disordine è cominciato presto e che appena gli ufficiali si sono diradati sotto il fuoco nemico, i soldati abbandonati a loro, hanno provveduto come potevano, alla loro salvezza. E la cosa non può stupire: essa è cosi verisisimile che, da chi conosca un poco gli uomini e abbia praticato un poco il popolo, a cui la maggior parte de' soldati apparteneva, poteva essere supposta e creduta a priori. Certamente, in un momento e in un paese ove l'ignoranza è il più bel titolo, ad un uomo di stato, per salire, c' è da farsi ridei' dietro, da tutta la turba insolente dei potenti

164 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI a dire che uno statista dovrebbe conoscere un poco la psicologia delle masse e studiar gli uomini. Ma la vendetta nostra - di noi che sappiamo e che il mondo ufficiale italiano disprezza tanto - è che P ignoranza loro di cui son tanto orgogliosi, li ha trascinati questa volta alla perdizione. Tutti gli illustri uomini che hanno ordinata prepa• rata e comandata la spedizione hanno sempre, nella loro ingenuità, cr~duto d'essere assolutamente padroni dei loro strumenti. Dieci mila, venti mila, quaranta mila soldati ; era questione solo di nu- . mero, come si trattasse d'animali o di macchine. Anzi si era talmente confuso l'uomo e lo strumento che i soldati si chiamavano tout court fucili. Quanti fucili ha il Barattieri in questo momento ? Nessuno pensa che il fucile suppone il fuciliere; e che questi è un uomo, con le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue debolezze e i suoi bisogni. Tutti credevano che i fucili avrebbero sparato e vinto, a un cenno del generale, automaticamente. La verità è che i soldati italiani non avevan nessuna volontà di vincere; ed erano in massa, inquieti di tutt'altro che del risultato della ~uerra. Nè poteva essere diversamente. La volontà umana si determina per dei motivi ; e nel caso nostro i motivi che potevano indurre nell'animo dei soldati quella determinata volontà di vincere, quell'ardore di coraggio e di eroismo che erano necessari per condurre a termine bene la cosa. non ci erano. Guido Baccelli - sempre eguale a se stesso per la vanità delle idee e la turgidezza della forma - ricordava ultimamente nella Tribuna i soldati di Roma antica. Ma, o retore incorreggibile: i soldati di Roma antica avevano uno stimolo enorme alall'eroismo ed era la speranza della preda. Essi sapevano che, massacrato un esercito o presa una città, ci sarebbero stati tesori d'oro e di gemme, tappeti, avori, stoffe, belle donne da spartirsi, sia pure in proporzioni più o meno eque. Anche il loro eroismo da briganti non era dunque creato dal nulla. Supporre che il povero soldato italiano potesse essere stimolato dalla avidità della preda, nella guerra con l'Abissinia, sarebbe una ironia. Potevano invece i capi del governo supporre che sotto la pioggia del fuoco abissino. essi sarebbero stati saldi e come radicati alla terra dal sentimento del dovere verso la patria ? Bisognava allora essere ben fatui e ben sciocchi, anche essendo persuasi - ed è questione asaai dubbia - che il sentimento della patria potesse entrare in giuoco in un'anima dabbene per una guerra come quella di Abissinia. Anche le classi alte e le classi medie - quelle che per maggiore istruzione e benessere possono coltivare un poco più, nel giardino della loro anima, le aiuole dell'ideale, sono in Italia poco o punto accese di quel furioso amore guerresco per la patria, senza cui non si fanno le guerre di conquista. Che sia un bene o che sia un male questo è un'altra questione: ma il fatto è che quel sentimento non esiste in noi. E si vorrebbe che ne fossero accesi, di un amore così originale, i miserabili proletari italiani, quelli che dalla patria non hanno avuto mai nessun beneficio, non l'agiatezza, non l' istruzione, non la libertà ; quelli che sono ridotti a contentarsi, come di una fortuna singolare, di non morire di fame ? La verità è eh& il mondo ufficiale e specialmente il partito militare, nella loro grossolana vanità, hanno creduto di potere tutto con la forza. Il ragionamento che tutta quella gente faceva era che tutta la canaglia italiana avrebbe ben voluto stare a casa a poltrire; ma che grazie a Dio c'era il Codice militare, con le sue minacce terribili, a spoltrire i vili. Il terrore - così hanno pensato - comprimerà ogni altro sentimento. E il risultato fu che quest0 orgoglio da fiducia nell'onnipotenza della forza brutale - di cui Crispi era il simbolo più intero, - ha finito nel più colpevole disastro: punizione tremenda, ma meritata, che è stata un compimento di giustizia! E così si è confermato di nuovo che non ci sono peggiori giudici di cose di guerra che i militari. Quando dei soldati imbevuti di spirito militare, sono chiamati a decidere di pace o di guerra invece di veri uomini di stato, essi conducono sempre alla distatta alla rovina. I militari non capiscono nulla della guerra. perchè non ci vedono che un gridò di fucili e di cannoni; ma non penetrano quel giuoco di forze, morali, che sta sotto ai movimenti apparenti delle armi e degli armati e che ne determina l'eaito; essi non capiscono quel cozzo di sentimenti e di anime che è la realtà vera della guerra mascherata sotto l'apparente conflitto di due strategie. Come regola generale, tra i due eserciti vince quello in cui i soldati sono più determinatamente risoluti a vincere, più eccitati dall'idea della vittoria. La perfezione delle armi e la abilità dei gene!'ali non sono· che elementi secondari, perchè i pit\ abili degli strateghi furono sempre quelli che seppero infondere maggiore ardore nelle anime dei soldati, maggior desiderio e maggior speranza cli vincere. La guerra è molto meno un conflitto brutale di quanto si creda; è anzi essenzialmente una lotta di passioni, di furori, anche se volete; ma una lotta morale. li pit1 furibondo vince, ma è necessario che qualche cosa ecciti in lui questo furore. Con la forza si può estorcere a un popolo il pagamento dei tributi più infami che servono ad alimentare il lusso e i piaceri delle classi dominatrici. Ma se queste classi sono prese dalla fantasia di -adornare le loro

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 165 case di lauri guerreschi esse non possono far scintillare dall'anima del popolo l'eroismo, anche sottoponendolo alle più terribili pressioni della forza brutale; perché l'oppressione deprime l'anima di un popolo, e per vincere ci vogliono invece eserciti il cui spirito sia eccitato al massimo grado. GUGLIELMO FERRERO. Democrazia eSocialismo. La Rivista ha consacrato parecchi articoli alla discussione dei rapporti che corrono tra l'Estrema Sinistra e il Governo. Credo utile che si discuta altresì dei rapporti tra l' Estrema Sinistra e il paese. Questi rapporti determinano quelli. lo sono convinto (e chiedo, e son sicuro mi si concederà (1) di esprimere liberamente il mio pensiero) che il torto principale dell'Estrema Sinistra è stato, ed è, di circoscrivere la sua azione nella sfera parlamentare, schivando il contatto delle moltitudini. Uomini popolari i più, mandati al Parlamento meno in grazia delle loro idee politiche che per il temperamento rivoluzionario che loro si attribuisce, i deputati dell'Estrema Sinistra, invece di vivere tra la folla, di essere essi l'anima di tutti i movimenti popolari, d'incoraggiare con la loro presenza le giuste rivendicazioni dei loro concittadini, e cl' impedire, per quanto era in essi, al Governo di violare le guarentigie statutarie e di far massacrare gl' inermi, si sono tenuti in disparte, si sono rannicchiati nei loro stalli a Montecitorio; e pur troppo nel lungo periodo di agitazione che ha avuto il nostro paese non hanno dato, fuori della Camera, quasi nessun segno di vita. Una o due eccezioni a questa regola io conosco - la Lega per la Libertà, e l'accenno ad una a?itazione popolare contro Crispi dopo Abba Car1ma. All' infuori di ciò, l' Estrema Sinistra é rimasta inerte davanti alle grandi convulsioni popolari di questi ultimi tempi. E stata mancanza di energia negli uomini che la compongono? Non credo. La ragione mi sembra un'altra. L'Estrema Sinistra si è trovata per un certo tempo - a un dipresso dal 1880 in qua - in disaccordo ù' idee con la parte attiva della popolazione. Essa rimaneva liberale, democratica nel vecchio senso di queste parole, mentre il popolo compieva rapidamente la sua marcia verso il Socialismo. Di qua, discordie e diffidenze corse fra capi della Democrazia parlamentare e i giovani partiti operai; (I) I.a Rwista all'egregio Merlino, come a tutti i suoi redattori che firm_ano <;:o_ncf.:daessoluta libertà di manifcstal'c nelle sue colonne le propi-1e opin1on1. N. d. O. di qua, il ritrarsi dei primi dalle pubbliche agitazioni; e di qua forse il bisogno che sentiva di quando in quando l'Estrema Sinistra, od una parte di essa, di far dedizione di sè al Governo. Ma ora le cose sono mutate in meglio. I vecchi membri dell'Estrema hanno modificato le loro idee ' e mutata in tolleranza prima, poi in simpatia, la loro antica ostilità per il socialismo e per i socialisti. Molti nuovi elementi - quasi tutti socialisti questi - sono venuti a mutare la composizione dell'Estrema Sinistra parlamentare. Dall'altra parte è giusto confessare che i socialisti hanno eseguita a loro volta una conversione, che li avvicina di molto alla Democrazia. Per il passato la necessita. di affermarsi, di con. quistare un posto che - veniva loro· negato - tra partiti politici, di mettere in rilievo l'importanza della questione economica, li spingeva a combattere i democratici. Ora il posto è conquistato; ed è sorta l'altra necessità di difenderlo contro gli assalti del Governo, che per combattere il socialismo non si perita di rinnegare la sua origine e di violare quel patto costituzionale, che in fin dei conti è per esso l'unico titolo alla esistenza. È vano il dissimularlo. Il Ministe1o Rudinì non solo non offre in questo rispetto niente di meglio d~l Ministero Crispi ; ma rappresenta anzi un pegg10ramento perchè se con un Crispi al potere, i mezzi di governo di cui egli si 'serviva, potevano parere transitorii; quando questi stessi mezzi, cioè la stessa sistematica violazione di ogni libertà, sono adoperati da un uomo moderato, e per giunta galantuomo, come dicono che sia l'on. Rudinì, essi divengono il sistema ordinario di governo. Ora io so che non usa piu in Italia citare ad esempio l' Ioghilterra; perchè gl' italiani si son persuasi che essi non possiedono le qualità necessarie per avere un regime costituzionale al1' inglese. Nondimeno voglio ricordare che in Inghilterra, allorchè il governo viola un dritto statutario, non si pensa a muovere interpellanze, non si attende la deliberazione della Camera (dove si vota per disciplina di partito e quasi sempre in favore del Governo), ma si promuove un'agitazione pubblica. Se il Governo vuol impedire un Comizio in un dato luogo, lo si tiene - ecco tutto -. La polizia arresta, i magistrati condannano : ma il Comizio si ripete, fino a che il Governo ceda. I deputati si mettono alla testa dell'agitazione: perche insomma ogni situazione ha doveri corrispondenti. I deputati - almeno i deputati democratici - sono eletti (torno a quel che dicevo poc'anzi) non per pronunziare un certo numero di discorsi alla Camera, nè per sbrigare le faccende private dei loro elettori ; od almeno non per questo solamente ma anche per combattere col popolo e in mezzo

166 RIVISTA.POPOLAREDI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI al popolo contro gli arbitrii e le violenze governa. tive. Questo è il concetto che io mi fo del depu· tato democratico: concetto un po' diverso da quello che si fanno del proprio ministerio (se non m' inganno) alcuni fra gli stessi deputati democratici, i quali si considerano come una specie di intermediarii, chiamati a frenare gl' impeti popolari e a mantenere sottomessi i cittadini, ottenendo dal Governo, e recando alle moltitudini, promesse men- .daci, e contribuendo così (forse involontariamente) ad ingannarle. E qui, a costo di fuorviare, devo esprimere la mia meraviglia perchè alcuni deputati democratici - tra cui il Direttore di questa Rivista e gli stessi deputati socialisti - ricalcitrino al mandato imperativo. Dicono che sarebbero posti in condizione d' inferiorità rimpetto ai deputati borghesi. Ma pare al contrario che sarebbe1o ben superiori agli altri, perchè essi soli potrebbero dirsi veri rappresenianti del popolo. Essi avrebbero dietro di sè una vera forza, la pubblica opinione : mentre gli altri non avrebbero e non hanno con sè che qualche camarilla di capi elettori cointeressati negli utili della deputazione. L'amico Arturo Labriola ha scritto testè nella Riforma Sociale (a proposito del Congresso di Firenze) che il mandato imperativo « è in contraddizione col sistema democratico della discussione aperta delle assemblee » - lo gli fo osservare che nelle Assemblee legislative di oggi ogni deputato porta la sua convinzione bell' e fatta, o obbedisce al motto d'ordine del capo partito e spesso viene alla chiamata telegrafica- unicamente per dare il voto; le discussioni (anche quando non si facciano, come spesso avviene, alle panche vuote) sono pura accademia. E nella società avvenire. la discussione, necessaria ad appurare quale sia la vera, od al. meno la migliore, tra parecchie opinioni in conflitto, si farà tra il pubblico, nella stampa, nelle adunanze degl' interessati, nelle Associazioni ; non tra pochi individui, fatti arbitri degl' interes~i collettivi, pei quali (individui) la politica è un gioco, e la posta del giuco sono le sostanze e le libertà della nazione. La questione sta tutta nel eoncetto che altri si fa della rappresentanza. Per me il rappresentante dev'essere un mandatario, non un arbitro. D'altronde, tralasciando le disquisizioni teoriche, e affrontando la questione dal lato pratico, mi sembra strano che, mentre si è creduto con lodi e con formalità rigorose limitare l'arbitrio dei giudici, l'arbitrio dei legislatori debba poi essere senza freno. L'esperienza dovrebbe averci insegnato dove questo sistema conduce - e dove andremmo a parare, se dimani, all'avvenimento, mettiamo, del socialismo, si eleggesse un'Assemblea costituita sullo stampo dei nostri Parlamenti, o dei nostri Consigli comunali e provinciali? Noi dobbiamo appunto, fa. cendo nostro pro dell'esperienza avuta, tracciare un nuovo sistema di relazioni politiche così come di relazioni economiche, per evitare di ricadere nel pantano, da cui con tanti travagli e pericoli ci sforziamo di uscire. Certo in una società socialista, non potendo i singoli occuparsi di tutti i loro interessi, sarà mestieri deputare alcuni individui per il disbrigo di date faccende. La rappresentanza è una necessità della convivenza sociale. Ma i delegati dovranno avere un mandato limitato, condizionato, e compierlo sotto la vigilanza e il sindacato degl' interessati ; sì che la base del sistema sociale sia non già come oggi, l'arbitrio dei cosidetti rappresentanti del paese, ma la volontà popolare stessa. Il maggior vantaggio appunto del mandato imperativo (non parlo, beninteso. di un mandato imperativo, unico pre·cedente all"elezione, e immutabile, ma di un mandato, direi, continuo) è questo, che mentre esso induce il deputato a mantenersi in continua corrispondenza cl' idee co' suoi elettori, fornisce a questi l'incentivo per tenersi uniti, organizzati, seguire l'andamento delle pubbliche faccende, far udire la loro voce e valere la lom volontà ..., che è quello appunto che ci vuole. Io adunque credo che sia ora che democratici e. socialisti promuovano insieme una buona agitazione per la riconquista delle pubbliche libertà e per la repressione delle violenze governative. Al quale proposito io apro un'altra parentesi. Si è parlato in questi giorni di una nuova annistia pei reati elettorali. Già si sa, in Italia i reati elettorali devono andare impuniti. O non si scoprono; o scoperti non si denunciano ; o denunciati non si processano ; o processati non si giudicano; o giudicati si assolvono ; o condannati, '>i graziano. Ora ciò importa che la volontà del paese è falsificata, adulterata, violentata e il potere è conquistato da' violenti e da' farabutti. Ohe ci può essere di peggio? Quale reato di alto tradimento può esser pili grave ed esiziale di questo? Quale assassinio o quale furto può paragonarsi in pravità e per danno a questo massimo delitto, che consiste nel fare man bassa della sonanità, degli interessi e della dignità d'una nazione? Rubare è reato; uccidere è reato, se il derubato, se l'ucciso è un privato. Ma se io e altri ci mettiamo d'accordo e con falsità e violenze riesciamo a mandare al Governo uomini che rubano e uccidono (o comandano di uccidere), il nostro non sarà un reato, o resterà impunito! :Ma allora si burla la gente si canzona il pubblico; le elezioni sono una lustra, la verità è.... lasciamola lì la verità: non vorrei procacciare un sequestrn alla Rirista.

RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALI J.67 Io ricorderò sempre una scena della mia giovinezza. Si procedeva per la prima volta all'elezione del Consiglio di disciplina dei procuratori di Napoli. In una riunione preparatoria per la designazione dei candidati si votarono dei nomi. Durante lo scrutinio, io guardando a caso di sopra le spalle di uno degli scrutatori, mi accorsi che egli sostituiva, leggendo le schede, ai nomi ivi segnati un altro di suo particolare gradimento. Denunciai il fatto, si r:ifece lo scrutinio e fu provata la gherminella. Quel nome ha poi .trionfato ad altre votazioni. E quello di un deputato clericaleggiante, che votò prima per Crispi, vota ora per Rudinì, dimani voterebbe pel diavolo - un deputato senza coscienza politica. La repressione dei reati elettorali e la prima esigenza d'un regime libero; come· l'abito della veridicità è il primo registro d'un galantuomo. E non è necessario insistere per la repressione dei soli reati elettorali, ma di tutti i reati governativi. Un ministero che viola le libertà statutarie dovrebbe es~ere immediatamente posto in istato d'accusa. Un Governo che manda le truppe contro il popolo dovrebb'essère accusato e condannato come fautore di guerra civile. Un Governo che inganna il Parlamento e il paese con false notizie, che corrompe la stampa, che manomette le finanze, sopprime la Camera, che pubblica decreti incostituzionali, dovrebb'essere giustiziato - nel doppio senso storico e l'attuale, della parola - subito. Capisco che questa è l'utopia del regime costituzionale, e che la giustizia il popolo non ottiene ma deve farsela da sè; appunto perciò io domando che s'inizii, da democratici e da socialisti, un'agitazione popolare per i seguenti sr.opi: a) Rivendicare le libertà conculcate - il diritto di riunione, il dritto d'associazione, l'inviolabilità personale (quindi l'abolizione del domicilio coatto e dell'ammonizione) ecc. b) Negare al governo di servirsi dell'esercito contro il popolo, di armare il braccio dei nostri fratelli e dei nostri figli per rivolgerli contro di noi. e) Assicurare la responsabilità dei Ministri e dei deputati con azione popolare da sperimentarsi davanti un pubblico giurì. cl) Porre un limite alle imposte. Una seria agitazione con questo programma o altro simile rialzerebbe l'Italia dall'abiezione presente - la eleverebbe nella stima degli stranieri e, quel che è pit1, davanti a sè stessa. SA YERIO MERLINO ~ La Rivista Popolare di Politica Lettere e Scienze sociali esce il 15 e il 30 d'ogni mese, in fascicoli di 20 pagine in 4° grande. GlIitalianeill'Argentina. (i) Della numerosa colonia italiana di Buenos-Ayres dirò liberamente tutto ciò che penso, e di bene e di male, senza preoccuparmi se la lode o il biasimo possa piacere o dispiacere a taluni della collettività od anche alla collettività intiera. Sarò ad ogni modo, tutt' a fatto obbiettivo, non avendo altro scopo se non quello di offrire un quadro approssimativamente esatto delle condizioni morali e materiali in cui vive e si agita la nostra colonia, sotto l' impulso di chi la consiglia, la dirige, la rappresenta. Tutti sanno che in Italia la fama delle colonie, in generale, non è eccessivamente lusinghiera; e questa cattiva opinione è dovuta, in parte a deficienza di cognizioni esatte, in parte ad un errore di proporzione, direi quasi, ad un errore di ottica sociale. ' La deficienza delle cognizioni riguardanti le colonie americane, è grandissima ; molto più grande di ciò che uno si immagina. Nelle classi colte o dirigenti, è facile trovare dieci signori che sappiano perfettamente dove sono situati, nel continente africano, l'Oculè-Cusai, l'Amasen e l'Agamé ed altre provincie ancora più ba1•bare ed insignificanti, ed ignorino affatto Santafè, San Juan, Mendora,Santiago dell'Estero, Salta, Fujuy, dove vivono Italiani a centinaia di migliaia, lottano, lavorano, soffrono, vincono qualche volta la loro aspra battaglia e si creano un'agiatezza che nella madre patria . . . . . . . era follia sperar. Molti parlano, e quel che è peggio, scrivono dell'America senza mai avere attraversato l'Oceano, e non· fanno che ripetere giudizii buoni o cattivi, veri od errati, o straordinariamente ottimisti od esageratamente pessimisti, di terze persone. I giornali argentini - e ce ne sono di eccellenti, modernissimi, completi, ogni numero dei quali contiene il materfale di una delle più accurate nostre riviste settimanali o quindicinali - in Italia non si leggono affatto. La letteratura istessa, intorno all'argomento delle colonie italiane nell'America del Sud, lascia molto a desiderare. È scarsissima; e, ad eccezione di tre o quattro volumi, fra i quali noto quelli del Godio e dello Scalabrini, confinata pressoché tutta nei bollettini e nelle pubblicazioni ministeriali perfettamente ' clandestina. È risaputo che in America si dirigono emigranti di due specie : i liberi ed i forzati. Gli emigranti liberi sono quelli che spontaneamente si recano in quelle lontane regioni in cerca di lavoro e di fortuna, spintivi sia dalla disoccupazione, sia dallo spirito di ventura, sia daL' innata intraprendenza ed attività, a cui paiono angusti i confini della madre patria. In questa categoria di liberi non oso collocare gli emigranti del Bradile - quelli dell'emig1•azione gra- (I) Questo scritto è tolto da un capitolo di un libro sull'Argentina, che verrà pubblicato prossimamente. N. D. A.

168 RIVISTA. POPOLARE DI POl..ITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI tuita - i quali sono liberi soltanto di scegliere fra la morte di fame o di pellagra in patria, e la morte di stenti o di f.ibbri nelle fazende. Gli emigranti forzati, sono tutti gli altri che avendo qualche piccolo conto da rendere alla giustizia umana, pensano bene di mettere di mezzo una certa distesa di acqua salata, fra la loro preziosa persona ed il procuratore del re. Ora, quelli appartenenti a questa seconda categoria, .pure essendo di numero infinitamente mino1·e a,lla prima, si trovano molto più in vista, e quasi sempre obbligano i giornali ad occuparsi dei fatti loro; ciò che non accade dei tranquilli lavoratori, e commercianti, o professionisti che si dirigono verso le libere repubbliche platensi alla conquista del pane. Ne avviene quindi che il pubblico sentendo tutti i giorni di cassieri scappati in America; ladri, falsari, falliti, bollati in qualsiasi modo o maniera dai tribunali, che cercano un rifugio, o almeno l'oblio delle colpe dall'altra parte dell'Oceano, si immaginano che l'America sia popolata esclusivamente da delinquenti del generd. È un errore grossolano, benchè sia completamente vero che tutto il rifiuto della società europea si dia.. convegno laggiù in America, la quale lo accoglie alla stessa guisa che _il mare accoglie gli scolaticci di tutti i rigagnoli e le immondizie di tutte le cloache. Questo fatto che è nell'ordine della natura, e che in mare à conseguenze limitate a certi piccoli tratti di spiaggia, nelle società coloniali ha conseguenze assai più notevoli; e l'inquinamento si nota sopratutto nelle grandi città, dove per molti di questi scappati dalle galere d'Europa, l'America non è altro che un vasto cami,o di azione e di perfezionamento nella delinquenza. Per altri, tuttavia - più sventurati che colpevoli - la terra d'America è continua espiazione, e qualche volta anche riabilitazione sicura. Però, il male più grosso e più costante che i farabutti fanno alle società coloniali è questo: che nel paese dove si fermano, creano una società sui generis, sconosciuta, o quasi, in Europa ; e gettano un' ombra di diffidenza sopra tutto e sopra tutti; la qual cosa contribuisce ancora a radicare l'opinione pessimista dei più intorno alle colonie. Ricordo che il terzo o il quarto giorno del mio arrivo a Buenos-Ayres, fui introdotto nelle 4 ricchissime sale di un ritrovo - non dirò quale per ragioni facili a capirsi - e dopo essere stato presentato ai soci presenti e chiacchierato un'ora di tutte le cose che si possono dire fra persone che si veggono la prima volta, e di cui una è nuova affatto al paese - ricordo, dico, che uscendo i miei presentatori mi fecero sapere: - che il signor X... il quale mi avevano presentato colla qnalifica di dottore e cavaliere, era dottore e cavaliere come lo sono io; che il signor Y... uno dei più noti ed influenti, aveva subito, o doveva subire, non ricordo bene, una condanna di quindici o venti anni per truffa, falso ed altre simili bazzcccolc ; che il signor Z... era fallito fraudolentemente, e che quasi tutte le lettere dell'alfabeto si trova vano in condizioni identiche o consimili. - Perbacco - esclamai io, profondamente scandalizzato da così inattese rivelazioni - ed è in un ambiente simile che mi avete portato? - Che cosa vuole, in America è così ! Ora, non è niente affatto vero che sia proprio così, non è niente affatto vero che la società coloniale sia proprio questa. Non si può dire di uno che abbia il bel volto deturpato da un bubbone maligno, che la sua faccia sia costituita da un bubbone. Quel che è certo però è che il bubbone sul volto, ed il farabuttismo nelle società coloniali, si equivalgono e saltano agli occhi col!' istessa evidenza. È un fatto positivo che uomini, i quali banno nel loro passato molte pagine nere, e che nelle società europee sarebbero inesorabilmente condannati all'ostracismo, nelle colonie hanno posizioni molto in vista, trattano a tu per tu colle autorità, si arrogano spesso il diritto di parlare a nom.; della colonia intiera, si impongono ancora più spesso nelle associazioni, e fanno come si suol dire, il sole e la pioggia. Osservando bene, ossia studiando sul vivo gli uomini e le cose,. S•)no venuto facilmente nella convin1.ione che coloro i quali si danno maggior aria, ànno le maggiori pretese, danno lezioni quotidiane di patriottismo, si mostrano intolleranti di tutte le opinioni, esercitano il monopolio delle cariche, aspirano a tutti gli onori ed a tutte le distinzioni, e cercano in ogni modo di imporsi, sono in generale, i più a variatf; sono quelli appunto che avrebbero bisogno di restare maggiormente nell'ombra. Più audaci, più fermi, più agguerriti, meno scrupolosi, riescono più facilmente degli altri nei loro intenti, e si rifanno una verginità posticcia che qualche volta, nei suoi effetti, vale meglio della verginità autentica, d~lla sincerità e della illibatezza ante1·iore della vita. Di qui la sfiducia, l' inerzia, nella parte sana e vitale, la quale, pure essendo maggioranza, lascia fare e dire, se ne sta a casa o all'ufficio, occupata soltanto dei suoi traffici, delle sue fa'lcende, della sua professione, della sua famiglia_; limitandosi a ribellioni platoniche, manifestate sotto voce, come pecore quando si lagnano del lupo. Eliminata questa parte, dirò quasi rapp1•esentativa, teatrale o coreografica, che hanno nella vita pubblica delle colonie, gli avventurieri, gli intriganti, i cavalieri d'industria, i giornalisti avariati, o indelicati, o ricattatori - ce ne furono e ce ne sono anche di questi - rimane sempl'e la. massa, la grande massa, i cui componenti non fanno parlare di sè; la massa anonima che lavora, che onestamente guadagna, ama e ricorda la patria lontana senza sdilinquimenti e contorsioni troppo esagerate per essere naturali; e che nelle occasioni solenni, negli avvenimenti politici, nelle stesse sciagure nazionali, come la catastrofe africana, non cerca soltanto un pretesto per farsi avanti, conquistare un' onorificenza, un beneficio, una sinecura, od anche battere moneta sonante.

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 169 Resta la vera colonia, l'unica di cui il patrio governo dovrebbe tener conto, lavoratrice, intraprendente, ingegnosa, sempre in cerca di nuovi traffici, di nuovi scambi, di nuovi commerci, sempre pronta ad arrischiare i sudati guadagni in industrie nuove, in nuove speculazioni, inalzando case, palazzi ed edifici pubblici, estendendo gradualmente ma incessan_ temente la coltura delle terre, importando e diffondendo nuovi oggetti di consumo di utilità o di lusso, sfruttando rapidamente tutte le invenzioni del genio umano, dalle più umili alle più complesse; la colonia autentica, insomma, che é fonte inesauribile di ricchezze, elemento potentissimo di progresso civile e sociale. È di questi coloni - e non degli avventurieri e dei cavalieri d'industria che pullulano - pur troppo - nell'Argentina e in tutti gli Stati del continente americano e che rappresentano la scoria dell'emigrazione europea - è di questi coloni, di questi utili e modesti lavoratori dei campi ed aratori del mare - come direbbe secentisticamente il Carducci - che il generale Giulio Roca parlava con frasi di encomio inaugurando nel 1882 la seconda esposizione italiana a Buenos Ayres. È a questi ifaliani, colonizzatori rii istinto, cooperatori efficaci ed indispensabili dello sviluppo economico dell'Argentina, eh<> il grande S11rmiento, venticinque o ventisei anni or sono, rendeva piena ed assoluta giustizia, affermando che senza l'emigrazione italiana, l'Argentina non avrebbe progredito di un passo. Questa lusinghiera affermazione del grande statista argentino, alla cui memoria la gratitudine dei suoi connazionali intitola le maggiori ope1·e di educazione civile e di istruzione popolare, ci viene da una fonte che non può ritenersi sospetta. Ci viene da un giornalista francese - il signor Alfredo Ebelot., attuale direttore del Courrier de la Plata, l'organo più importante della colonia francese di Buenos Ayres. Al giornalista francese che magnificava naturalmente l'opera dei suoi connazionali, Sarmiento faceva osservare: - La Francia ci ha mandato gli uomini più notevoli che dal!' Europa siano venuti fra noi. Ma se noi consideriamo la massa degli immigranti, e lasciamo da pa1te le eccezioni gittate qui dalle vostre discordie civili, é agli Italiani che noi siamo debitori delle più vantaggiose trasformazioni materiali subite dalla nostra maniera antiquata di vivere. Chi ha cost,:..tto le nostre città? I muratori taliani. Chi ha iniziato il commercio di cabotaggio sui nostri fiumi? I padroni delle golette ed i marinai italiani. Chi ci ha abituati a variare coi legumi il nostro regime esclusivamente carnivoro ? Gli ortolani italiani. Parlo soltanto delle città, ma se voi vi recherete al campo, troverete dovunque gli Italiani alla testa del movimento agricolo che noi abbiamo tanto interesse di sviluppare. E non basta. Lo stesso giornalista francese - e lo noto a titolo di onore, perché la stampa francese dell'Argentina non è sempre giusta ed equanime verso l'Italia, come non lo è sempre la stampa italiana verso la Francia - lo stesso giornalista francese, così com· menta le preziose dichiarazioni di Sarmiento ( l ). « Venticinque o ventisei anni sono passati dal giorno di questa conversazione, e il fenomeno segnalato da Sarmiento non ha fatto che accentuarsi. L' immigrazione italiana ha assunto proporzioni sempre più considerevoli. Essa non ha acquistato soltanto, in tutte le manifestazioni economiche dell'Argentina, l'importanza assicurata dal numero. Questa razza laboriosa sobria, economa dodata di una intelligenza agile e viva, ha tratto dal vantaggio del numero tutto l'utile che facoltà così preziose assicurano. « Essa ha fornito quasi esclusivamente la mano d'opera ai grandi lavori pubblici; ed al seguito dei suoi operai, perseveranti e tenaci, è venuta tutta una coorte di impresari di merito, di ingegneri distinti, gli uni usciti dalle stesse file degli ope1·ai, gli altri venuti da lontano per dirigere i grandi lavori nei quali predomina l'elemento italiano. « Essa ha guadagnato, a poco a poco, una grande parte del commercio minuto, e non ha tardato molto a br,llare in prima fila nel grande commercio e nell'alta banca, facendo ivi fruttare con successo i capitali creati sul posto coll'attività e col risparmio». Ecco dunque un giudizio un poco diverso dai soliti e che ci viene da un Francese, non molto tenero del1' invasion italienne nell'America meridionale; un giudizio che è conforme al vero e che dovrebbe invogliare e governo e privati a studiare sul serio, ad appoggiare e secondare, secondo le circostanze, una colonia destinata a rappresentare in un avvenire molto prossimo una parte immensa nello sviluppo economico dell'Italia e dell'Argentina. Disgraziatamente, l'attenzione della madre patria, e tanto meno quella del giornalismo, in tutt'altre faccende a(faccendato, non si è mai fermata, o si è fermata assai debolmente sopra questo fatto sociologico ed economico di primissimo ordine; e l'opinione pubblica non ha visto finora nell'emigrazione al di là dell'Oceano, altro che l'esodo dei per.zen ti, degli spostati e dei cavalieri di r industria. Giova esaminare, uno dopo l'altro, questi tre elementi costitutivi della nostra emigrazione, ma in ultimo bisognerà fermarsi più a lungo sul quarto, che è il solo degno di interesse. SILVIO BECCHIA. (1) Vedi.- Le Courrier de la Plata - • Les italiens dans la Plata • Venerdi 27 Marzo 1896. - N. 12524. Per mancanza di spazio siamo costretti a rinviare al numero prossimo un articolo del Sooialistoicle sulla tettera di Leonida Bissolati nella quale si occupa del così detto .caso di OreDJ.ona.

170 RlVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI L'Istituto internazionale diSociologia. (Appunti e proposte). 1l Rene vVorms. Per chi non lo sa - e in Italia disgraziatamente quando si tratta di non sapere siamo sempre in molti - fino dal Luglio del 1893 esiste in Francia ' a Parigi, un istituto internazionale di Sociologia, che conta 96 membri effettivi di cui 32, per una differenza gerarchica, nel campo della scienza inconcepibile, sono soltanto associati. Esso pubblica tutti i mesi a cominciare dal Gennaio del 1893 la '' Revue internationale di Sociologie ,, sotto la sapiente direzione di René \Vorms uno dei più valorosi e alacri sociologi che oggi mai conti la Francia. L'istituto ha per scopo precipuo di raggruppare i sociologi dei diver3i paesi in vista di uno studio concorde delle diverde que~tioni sociologiche. Nessuno può mettere in dubbio l'importanza di questo scopo, la bellezza di questo ideale. Peccato che i mezzi per tradurlo in pratica sieno se non del tutto inetti certo inadeguati, essendo l'attività dell'istituto rivolta esclusivamente a proporre alcuni argomenti e a discutere in appositi congressi le tesi presentate dai singoli soci. • Ora questo in verità è troppo poc0, è quasi nulla se si vuol guarda.re ai progressi effettivi di una disciplina. Non che noi siamo nemici dei congressi scientifici siano essi nazionali o internazionali; anzi appunto per esserci convinti dell'importante funzione di questi convegni, noi con tutte le nostre povere forze li propugniamo. ~la il punto di divergenza non sta qui, sibbene nel!' interpretazione del significato che si de\ e attribuire a questi congressi. Io non credo alla loro utilità scientifica propriamente detta: tutti i vantaggi che essi possono addurre sono, secondo me, vantaggi d'indole morale. Sarebbe precisamente assurdo pretendere di più: si può capire facilmente come un'accolta di uomini per quanto dotti e geniali non possa dare in uno o più giorni ciò che soltanto si può attendere da lunghe, pazienti e spassionate ir.dagi,,i compiute nella quiete serena del proprio studio. E vano è anche sperare che la discussione che ne segue possa tornare i,roficua per la scienza: le improvvisazioni, per quant? calore e movimento oratorio esse posseggano non riescono mai o rarissimamente a portare nuova luce o ~ dare nuovo impulso ad una questione, che la maggior parte delle volte esse invece fuorviano colla musica delle frasi o cogli escamotages della parola. E se non fosse irriverente, noi vorremmo confortare questo nostro asserto, ohe forse, a taluni parrà alquanto avventato, con delle prove che non temono smentita. Se adunque nè la discussione - la maggiore parte delle volte improvvisata - non da in questo campo tutti i suoi frutti e se gli studi presentati non perdono nulla del loro valore scientifico ove vengano separatamente licenziati per le stampe, in che si riduce in ultima istanza l'opera dei congressi scientifici? Essi hanno - noi l'abbiamo detto - una fon- .. zione puramente morale, essi servono - ciò che assolutamente una semplice lettura di una rivista o di libro non può dare - colla mutua suggestione e colla corrente di simpatia comune che si sprigiona e circola in queste adunanze, ad alimentare la fiamma dell'entusiasmo per. la propria dottrina, a leo-are i singoli congressisti i!) un concorde interess:mento per la disciplina che coltivano e professano. A questo, esclusivamente a questo efsi servono, se non si vuol tener conto di un altro loro ufficio che sarebbe per ce1·to più importante se non ci fossero tanti sordi nati in giro, a tener desta cioè e a preparare l'opinione pubblica e a dare •ma tiratina d'orecchi con degli importuni quanto platonici ordini del giorno ai poteri politici che sempre dormono della grossa. A bella posta abbiamo voluto intrattenerci un poco sull'opera dei congressi in genere perchè ci stava massimamente a cuore di dimostrare come coi soli congressi - anche se annuali o più frequenti - l'istituto di sociologia non possa conseguire quegli scopi e quei vantaggi ch'esso si prefigge: esso deve mirare a qualche cosa d'altro se davvero vuole che la Sociologia faccia progressi. La prima cosa che spontanea si affaccia alla ment.i sarebbe quella di aggregare all'istituto un laboratorio di Sociologia. Già infatti \Vorms in uno dei suoi articoli (I) densi di fatti e di idee ha esposto una specie di progetto per la fondazione di questo laboratol'Ìo che verrebbe a pigliar posto a Parigi, il centro più importento al giorno d'oggi per gli studi sociologici, accanto - serbando però la propria autonomia - ai due laboratori di antropologia, al museo di storia naturale, ai gabinetti di psicologia sperimentale, di archeologia, di paleografia, ecc. ecc. Noi - non lo comporterebbe del resto il nostro assunto - non vogliamo per ora internarci in minuti dettagli sull'arredamento e sul modo di funzionare di tale laboratorio, ma è chiaro che per quanti libri, documenti grafici, atlanti geografici e tavole statistiche, fotografie e disegni delle varie popolazioni e dei loro principali prodotti e strumenti esso possegga, e per quanto unendosi agli altri gabinetti esso si integri nelle sue parti maocanti e riesca il più che è possibile completo, la sua sfera d'azione sarà pur troppo sempre limitata a Parigi o poco più in là. -Parlare di un laboratorio i,itenia:;ionale - sottolineando la parola - organizzato su questa fo<>- • b g1a d per noi inconcepibile: esso funzionerà puramente e semplicemente co'lle un laboratorio o seminario che dire si voglia come quelli che da tempo esistono nella Germania, nel Belgio, e nell'Italia. La benefica funzione di altri simili istituti non ha bisogno di essere da noi lumeggiata perchè già ha dato buoni frutti e perchè non è nessuno che non l' intuisca di primo acchito. Ma il nostro istituto se non vuole rinunciare al l'appellativo di internazion!ile deve fare di più e diversamente: oltre a tenere congressi e a fondare questo laboratorio di cui abbiamo parlato, con tutti 11) Un ìaboratoire de Sociologie - Revue internationale dc Sociologie 3· Année - N. 9·

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