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menti, toccano la produttività oraria e sono determinati dal meccanismo del pro-

fitto, non dalle esigenze di vita (letteralmente) dei lavoratori. In situazioni econo-

miche come l'attuale, durante le quali i capitali si concentrano in determinati

punti del ciclo (le banche, l'investimento all'estero), perché la produzione non dà

garanzie di profittò a causadelle conquiste operaie e delle lotte in corso, non ci si

puòmeravigliare se l'OdL si deteriora ed il presunto livello fisiologico diventa pa-

tologico. Ma non è un patologico separabile dal fisiologico attraverso l'uso della

scienza e della tecnologia perché ne è solo l'amplificazione: è stata concentrata

nel '76 la nocività, che normalmente ci sarebbe stata in un decennio. I l problema

èquindi di toglierla, non di diluirla di nuovo e sequesta scienza non è in grado

di risolvere il problema patologico oggi si può essere certi che non sarà in grado

neanche di liberarci dei presunti livelli fisiologici, che domani potrebbero tornare.

Il millantato credito delle scienze sulla loro possibilità di risolvere «domani»

ogni problema è crollato a Seveso. Non si controlla l'azionemutagena della dios-

sinasul patrimonio genetico del feto, non si sa come toglierla dal terreno e dalle

cosesu cui si è depositata. Ma non si poteva ammettere l'ignoranza apertamente,

perché— a parte il prestigioaccademico— questoavrebbe significato non poter-

si sottrarre all'autocritica ed a proposte che avrebbero implicato, in quanto sotto-

ponibili a critica diretta dei soggetti sociali, un nuovo assetto scientifico, dal rap-

porto genetica-ambiente a quello università-territorio. Si è cominciata quindi la

farsamacabra dei vari rimedi, delle varie assicurazioni smentite il giorno dopo da

altre trovate, da dichiarazioni opposte. I l terreno si raschia o si lava? è meglio il

sole o la pioggia? buttiamo l'olio o il sapone? Il dissolversi dell'unicità della solu-

zione ha talmente sconcertato chi si aspetta in genere dalla scienza granitiche cer-

tezze (tipo, «le bombe atomiche cinesi sono uguali a quelle sovietiche e statuni-

tensi») che ci si è dimenticati quasi delle uniche verità sicure: la diossina è veleno-

sissima(chiedere ai vietnamiti), quel compostoè prodotto da una fabbrica capita-

listica (chiedere agli operai). Che senso ha la distinzione «di metodo» tra scienza

emagia se le soluzioni per annullare il veleno hanno oscillato tra l'olio di oliva

coadiuvato dal sole e l'orina di vacca?Se Comunione e Liberazione ha potuto or-

ganizzare il ritorno alle case ed una campagna antiabortista, non è stato per la

mancanza di una coscienza scientifica di massa, ma proprio per l'assoluta impro-

ponibilità di soluzioni, che puntassero tutto sull'uso della scienza e sulla sua dif-

fusione acritica.

Anche in questo caso naturalmente i l vero nocciolo della questione sta a

monte, nel processo produttivo e nei rapporti di produzione. Perché, a parte la

ricordata impotenza delle scienze a rimediare ai propri guasti, non c'è dubbio che

lecause dell'incidente risiedono nella produzione dei diserbanti (che l'esercito sta-

tunitense chiama più propriamente defolianti) e nell'incoscienza, con cui si è ac-

cettato di monetizzare il rischio (i sindacati hanno non poche responsabilità). La

popolazione di Seveso si è vista spolverata di quella percentuale di veleno, che gli

operai dell'ICMESA avrebbero ricevuto probabilmente lavorandoci una vita, ma

questi ultimi pare avessero salari relativamente elevati. Dimostrazione più chiara

di come il rifiuto operaio di monetizzare la nocività implica necessariamente il ri-

baltamento di tutta la scienzamedica, non poteva darsi. Neanche la lotta di clas-

sesi fa coi se, ma se si fosse posto fin dall'apertura della fabbrica il problema

degli effetti della diossina, questo non avrebbe comportato il controllo da una

parte sulle percentuali prodotte (quindi sulla produttività e l'OdL) e dall'altra sui

laboratori di genetica?Ammesso e nonconcessoche si dovessero proprio produr-

re ae i «diserbanti» resi necessari dalla esigenza di tenere alta la produttività in

agricoltura.

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