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ed è questo forse i l suo unico motivo di interesse, oltre a quello della non

fortuita « fortuna » che le posizioni in esso contenute stanno avendo — quali

siano i « passaggi » che

in ogni caso

(qualunque siano i punti di partenza)

sono cruciali per giungere a

quelle

conclusioni. Sotto questo profilo, i l parti-

colare punto d i partenza da cui prende le mosse Napoleoni diventa larga-

mente irrilevante (anche se l'accettazione di questo punto di vista è cruciale

non solo per. accettare i l procedimento da lui seguito per « dimostrare » la

validità di quelle conclusioni, ma anche per riconoscere un qualche senso ad

una ricerca così impostata). L'intero suo discorso può essere così ricondotto

da un lato all'interno del « filo nero » che collega, nella storia del pensiero

economico, gli economisti « volgari » di cui parla Marx ai teorici moderni del

marginalismo (passando per Max Weber e Robbins), e dall'altro all'interno

del filone che dall'evoluzione « giustificazionista » con ascendenze hegeliane

del tardo ottocento (1) porta alle interpretazioni-deformazioni e « aggiorna-

menti » di Ma n dei « revisionisti)) della Seconda Internazionale, su su fino

alla moderna socialdemocrazia.

Tre avvertenze

Per Napoleoni c o m e per

J.

S. Mill l a scienza economica è una scienza

deduttiva. Essa ha i l compito non solo di spiegare la realtà economica, ma

anche di

giudicarla.

All'inizio di qualunque discorso economico è necessario

quindi, per Napoleoni, porre un

criterio di giudizio

« a carattere unificante

rispetto all'intero contenuto del la scienza economica » ( « Rivista Tr ime-

strale », n. 3, p. 587). Napoleoni ritiene che la definizione data da Robbins nel

1932 della scienza economica, come scienza della scarsità, possa costituire

«una possibile formulazione di quella proposizione iniziale » di cui la scienza

economica — secondo Napoleoni — ha bisogno. « Tale definizione, infatti,

mentre delimita un oggetto, fornisce un criterio di giudizio, quello cioè della

massimizzazione del grado di conseguimento d'un fine subordinatamente alla

scarsità dei mezzi impiegati ». Napoleoni ritiene che «finche non si dia una

definizione, e quindi un criterio diverso, a quello di Robbins bisogna atte-

nersi.», aggiungendo che « una nuova definizione, qualunque essa sia,

deve

possedere lo stesso requisito di universalità che è proprio di quella di Robbins,

poichè, i n mancanza d i esso, nella definizione non potrebbe essere eviden-

temente contenuto alcun criterio di giudizio » (pag. 587, corsivo aggiunto).

Come ha rilevato Paolo Santi, a cui si rinvia per un'analisi più detta-

gliata d i questo punto, e dei rapporti Weber-Robbins-Napoleoni ( « Critica

Marxista », n . 4-5, 1964, pp. 446-451): « Con Max Weber, e più tardi con

Robbins, gli economisti non marxisti credettero di aver raggiunto una conce-

zione della scienza economica che fosse fondata su proposizioni realmente

universali e che quindi, cóme ritiene anche Napoleoni [Cfr. la voce 'Scienza

economica del

Dizionario d i economia politica

da lui curato, Edizioni d i

Comunità, Milano 1956, pag. 569], sfuggisse alla 'critica rivolta da Marx all'eco-

nomia classica', 'critica che sarebbe consistita' nell'aver formulato proposi-

( 1 ) Si veda S. Timpanaro,

Engels, materialismo, «libero arbitrio

Q . P. , n. 39 nov. 1969,

ora ripubblicato in

Sal Materialismo,

Nistri-Lischi, Pisa 1971, in particolare pp. 93-97

e pp. 109-110.