

blu, Ul t imo t ramonto sul la ter ra de i MacMasters, La not te dell'agguato d i
Mulligan...;
3) i l precursore I professionisti, I l mucchio selvaggio, E l Verdugo...
In tut t i e tre i casi, si tratta nei registi migl iori di un approfondimento delle
origini di una civiltà, di una demistificazione della leggenda o di un recupero
della sua parte migl iore e sinora sottaciuta, d i una ricollocazione storica per
strade diverse d i una stessa vicenda, in cui si ricerca nei più — hollywoodia-
namente e tradizionalmente — l'eco di un modo « libero » di vivere e di agire
messo in crisi dall'avanzare della civiltà, ma anche e sopratutto, off-hollywood,
i segni d i una continuità d i violenza e d i crisi, i n un « grande spazio » meno
libero ma p i ù reale, del l ' instabi l i tà d i una c i v i l t à che, com'ebbe a d i r e
Tocqueville e come cert i registi sembrano riconoscere, è passata senza transi-
zione dalla preistoria alla decadenza. Le tracce dell'eroismo alla Vidor, dell'hu-
mour fami l iare e positivo alla Ford, dell'azione alla Hawks e alla Mann, si di-
sperdono in nuovi sentieri, meno selvaggi, ma certo più concreti e verificabili,
e anche meno facilmente battibi l i. I n essi l'eroe è sempre più un anti-eroe alle
prese con una perenne spaccatura d i coscienza, con un problema d i ri f les-
sione e d i scelta, d i non-passività nei cartoni del mi to consacrato dall'espan-
sione capitalistica del le « nuove front iere ». E l a sua azione è sempre meno
individualistica, obbligatoriamente condizionata, impossibile nei vecchi sche-
mi d i « brigante galantuomo » o d i « sceriffo pul i to », e anche sempre meno
costruttiva, meno pacificamente adeguata a i va l or i de l l a comuni tà. Neg l i
autori p i ù coscienti del la. dilacerazione americana ( i n questo senso Douglas
e Boetticher, Siegel e Mann son r imast i i n pieno uomini del sistema, vidor-
fordiani) l 'eroe s i t rova confrontato ag l i stessi problemi del l ' individuo i n
rivolta di oggi, chiamato a reagire alla strut tura della violenza con una forma
adeguata, a r ischio del la morte.
Dove si colloca i n questo contesto I l
Piccolo grande uomo?
A cavallo t ra
la pr ima e la seconda delle tendenze. Pellirosse o messicani sono sempre d i
più l ' immagine degli oppressi della civi l tà bianca i n gi ro per i l mondo e per
i l secolo. I l pronipote di Randolph Scott, Gary Cooper e Er ro l Flynn, r i f iuta
l'identificazione col nonno, e cerca invece quella con l 'uomo da loro oppresso,
con i l pr imi t ivo abitante, col legi tt imo possessore del suolo, membro d i una
civiltà magar i p i ù dura, ma comunque p i ù « naturale », p i ù giusta anche
nella lot ta per la sopravvivenza. Contrariamente ai professionisti, al mucchio
selvaggio, e all'uomo chiamato cavallo, Li t t le Big Man « passa » dal l 'altra parte
solo alla fine e ironicamente, e, contrariamente agli eroi o ai poveri indiani da
Bronco Apache a Wi l l ie Boy, non è « l 'altra parte ». Sradicato t ra conquista-
tori ed oppressi, partecipa del le due cul ture senza avere l a statura morale
dell'eroe. Si arrangia, e la storia gl i cade addosso indicandogli l ' impossibi l ità
della doppia personalità, de l tenere i piedi i n due staffe. Ma questa sua
incertezza è necessaria al l ' i t inerar io ironico, e a t r a t t i tragico, sempre p i ù
tragico, lungo i l quale i l regista l o conduce con apparente sbadataggine.
Prendendo un Dust in Hof fman a mezza v i a t r a i l compagno de l
Midnight
Cowboy
e i l
Laureato,
Penn prende una maschera già affermata, i l giovane
americano middle-class più o meno ebreo e bruttazzo ma anche i l suo risvolto
napoletanizzante e sottoproletario newyorkese, e l o met te i n una situazione
difficile. Si arrangi, dunque, nel contesto della storia americana macina-umili,
senza part icolari dot i che quelle d i un attaccamento al la vi ta e, via via, della
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