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si t rat ta d i giovani produt tor i o autor i sufficientemente f urb i da legarsi quel

tanto che non l i cast r i agl i apparat i produt t i v i del le ex grandi f i rme, ma

anche abi l i a sfruttare i modi e i temi del successo attraverso una loro p i ù

diretta partecipazione e conoscenza de l gran rimescolamento statunitense.

Tra astuzia e ingenuità, sfornano f i lm d i successo f a t t i con poco, indicat ivi

comunque d i stat i d'animo e d i società.

Tra gl i u l t imi del genere, i n ordine d i furbizia sta al pr imo posto

Punto

zero

d i Richard C. Sarafian, che r icalca l e orme de i cow boys i n moto-

cicletta del la disperata f ront iera d i

Easy Rider.

L o sceneggiatore c i v i en

detto essere, sot to pseudonimo, Gui l lermo Cabrera Infante, l o smal iziato

scrittore d i

Tre t r i st i t igr i ,

teso a far soldi e carriera negli Stati. I l resto ne

consegue, co l suo accumulo ma l drogato d i convenzioni. Ce n ' è u n vero

scialo, dal vecchio e dal nuovo cinema, ivi compreso quel

Zabriskie Point

che

a sua vol ta ne era una bell'ammucchiata. Ri t roviamo anche, a l l a r infusa,

molto Hemingway, cert i squarci di Wi lder

(L'asso nella manica)

e i vari

Solo

sotto le stelle,

i l mi to di James Dean, un protagonista che si chiama Kowalski

come un celebre personaggio d i Mar lon Brando, una costruzione i n cu i l a

scommessa dal la fine subi to prevedibile, l a corsa fol le, s i interrompono per

darci cacciatori di serpenti e hippies a «vero» contatto con la natura, predica-

tori strambi, giornalisti negri ciechi e deliranti, pol iziott i efferati, fol la sadica

e goduta, e via dicendo. L'eroe decaduto (altrove i l cowboy, i l tramp, l'inadat-

tato ai nuovi tempi) è una costante del la convenzione americana, qu i trasfe-

ri ta abilmente al mezzo d i trasporto meno cantato, e spettacolarizzato all'ec-

cesso i n quelle che peral tro sono le par t i migl ior i del f i lm: l a macchina da

corsa, p i ù o meno truccata. Dunque questo Kowalski sceglie l a morte, vista

un'impossibile libertà, e vista una sorta di tragica e romantica condanna che

gli pesa sul capo. Capita a volte che mol te convenzioni messe insieme e ria-

malgamate diano qualcosa d i nuovamente val ido; ma qu i gl i sbalestramenti

sono t roppi e l'operazione tut ta equivoca: è che la convenzione uccide faci l-

mente, e i l vino vecchio nella botte nuova ma di plastica finisce per puzzare.

L'insincerità dell'insieme dimostra semmai qual i profonde radici cer t i m i t i

intrattengano anche ne l pubbl ico giovane americano, pol i t icizzato o meno.

In

Joe

d i John G . Avi ldsen l ' ab i l i tà è minore, l a reazionarietà p i ù

dichiarata, e però qualcosa da imparare c'è. S i accavallano t r e ambient i :

quello de l Greenwich e degl i hippies, con va r i o contorno d i bassi fondi ;

quello del la mi dd l e class impiegatizia; e i n f i ne i l p i ù inedi to, que l l o d i

una classe operaia nixoniana e integratissima rappresentata appunto da Joe.

Questo personaggio e i l suo ambiente, i suoi discorsi, la sua famiglia, i suoi

propositi rivelano una connotazione decisamente fascista, spinta ai suo i l imi t i

più dichiarat i . Succube del le p i ù sporche propagande e de l « senso comu-

ne » piccolo-borghese, i l suo eloquio è uno sbocciare cont inuo d i f rasi fat te

tipo notabi le d.c. f i no a l l a p i ù mostruosa del le false coscienze. D i f ron t e

al « casuale » del i t to de l borghese che uccide l 'hippie ignobi le che g l i ha

corrotto la figlia, Joe spinge i l borghese, alleato spavaldo, a una carneficina in

massa di giovani drogati, nella quale i l borghese finisce per uccidere anche sua

figlia. Questo girone di mostri — che tal i sono anche gl i hippies — non lascia

speranza, e l a strage sembra assicurata. La visione t u t t a nera del regista

potrebbe anche essere una visione lucida, o semplicemente pessimistica su

una real tà mol to complessa, se non fosse che invece egl i accumula i l nero,

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