Table of Contents Table of Contents
Previous Page  155 / 236 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 155 / 236 Next Page
Page Background

In questi brevi appunti di Benjamin, è possibile di sicuro ricercare l'in-

flusso di Brecht e insieme quello di un'amica lettone, Asja Lazis, un'attrice

e regista che subito dopo l a rivoluzione del '17 aveva fondato e diretto a

Orel un teatro d i

besprisorniki

(ragazzi sbandati, corrispondenti press'a

poco ai nostri

sciuscià).

Si potrebbe anche indicare in quali modi, e seguen-

do quali modelli, l e indicazioni propriamente teatrali d i Benjamin siano

satate in seguito recepite e neutralizzate: dal teatro della spontaneità, in tutte

le sue gamme, fino allo psicodramma alla Moreno. Ma l'essenziale del testo

non è qui. E ' lecito persino chiedersi se si tratta i n fondo d i un testo

teatrale, nel senso degradato, quasi specialistico, a cui la parola teatro sembra

ridotta. Fin dal primo capoverso, esso propone infatti una lettura diversa,

una diversa profondità, in cui la forma di teatro suggerita diventa rappre-

sentativa di un mutato rapporto tra adulti e bambini. Non si tratta di una

allegoria, quanto piuttosto d i una rappresentazione problematica, at tra-

verso i l teatro, del rapporto fra generazioni oggi. Di qui la sua contempora-

neità per noi.

Quello che colpisce, a prima vista, è i l rovesciamento del tradizionale

rapporto pedagogico: sono i bambini, qui, che insegnano ed «educano gli

attenti educatori », secondo una consapevole trasposizione della famosa for-

mula della terza tesi su Feuerbach di Marx, e secondo i l principio, riportato

da Benjamin i n un altro breve scritto dello stesso periodo, per *cui nel

proletariato, a differenza della borghesia, « sono gli adulti che hanno biso-

gno dei bambini, non i bambini degli adulti ». ( « Alla borghesia i propri

figli si presentano come eredi; a i diseredati come soccorritori, vendicatori,

liberatori »,

Una pedagogià comunista,

1929). Ora, la base per questo rove-

sc!amento, e

va

subito indicato, non sta in una esaltazione indiscriminata del

cnuovo» rispetto a l «vecchio», del « giovane » rispetto all'« adulto », per

cui l a nuova società sgorgherebbe dal recupero di una natura ancora non

corrotta, o non domata. Se Benjamin si mantenesse i n questa linea, non

potremm9 evitargli i l sospetto di rousseauismo astratto, di pura contrappo-

sizione di un

homme naturel

a un

homme social,

che incide su larga parte

della tematica culturale più

utilizzata,

in una certa fase iniziale, dal movi-

mento studentesco (da Reich, con V. Schmidt e A. S. Neill, fino a Marcuse).

Ma Benjamin qui parla di una « dialettica positiva » tra le esigenze di rea-

lizzazione totale della propria vita, da parte della nuova generazione, e i l

«territorio circoscritto » richiesto dall'« educazione proletaria ». I l rapporto

dialettico, per lui, non si pone dunque t ra disponibilità totale dell'infanzia

e realtà sociale, divisione sociale del lavoro come vige attualmente; si pone

invece t ra questa disponibilità dell'infanzia e l a tensione permanente che

a proletariato introduce, sulla base della sua stessa materiale, circoscritta

esistenza, nella realtà divisa in cui vive. Qui si tocca a mio parere i l punto

più problematico e, se si vuole, più profetico del discorso di Benjamin.

Oggi, nelle «metropoli» avanzate dell'occidente, uno dei momenti critici

dell'intero assetto sociale sembra essere l a riduzione d i significato, ogget-

tiva e soggettiva, dell'attività individuale d i interi strati umani considerati

una volta « privilegiati ». E ' qui che interviene, con indubbia efficacia ana-

logica, i l concetto di proletarizzazione. Anche quando l'attività svolta rima-

ne pressochè invariata ( ed è un caso raro) rispetto all'immagine tradi-

zionale che d i essa viene trasmessa, o persino quando si carica di nuove

153