

Franco Fortini
U N A R E P L I C A
Cari redattori,
aforza di essere fraintesi o calunniati dagli avversari si sarebbe dovuti
finire, credevo, ottusi alle calunnie e ai fraintendimenti degli amici. Ma l'avver-
ratio non fraintende, anzi intende benissimo e con l'acutezza dell'avversione.
Né t i calunnia mai direttamente. Si limita, la calunnia, ad organizzarla fra
tuoi amici.
Questo dico per giustificarmi d i rivolgermi a voi, per una precisazione
personale, nella forma un po' melensa della « lettera alla redazione ». In breve:
"amico Luciano Amodio ha scritto, in un suo lungo e dottissimo saggio dell'ul-
timo numero della rivista « Il Corpo »
(Fra Lenin
e
Luxemburg, Commentario
al periodo estremistico d i G. Lukacs, 1919-1921), una nota dove accenna ad
alcune mie affermazioni, contenute in
Verifica dei poteri,
in un modo da farmi
pensare, come dicono le persone beneducate, di « non essermi spiegato bene »
iN(le maleducate) che non abbia egli letto o capito.
Apagina 398 del saggio, nota 58, si dice fra l'altro: « Il segreto poi aristo-
cratico e carismatico di tale democraticismo
rsi allude alla
"istanza democra-
ticistica della rivoluzione" di cui, ma in modo non del tutto chiaro, si parla
nelle righe antecedentil
rimane rivelato inaspettatamente dalla ipotesi perse- •
guita dal cif atosaggio di Fortini Mandato degli scrittori e fine dell'antifascismo,
vale a dire il lavoro intellettuale come "mandato sociale" istituzionale (pag.
118)
graziosamente
concesso
dall'organismo politico non alla collettività dei citta-
dini ma "agli scrittori e agli artisti" comunque tale categoria astrale abbia
tratto la propria legittimità! ».
Chiunque legga ne ricava insomma
a)
che i l « democraticismo» di F. cela
un « segreto» aristocratico e carismatico e che
b)
F. ipotizza i l lavoro intellet-
tuale come mandato sociale istituzionale confetito dal partito politico, cioè
dal Partito Comunista.
Ora quanto ho sostenuto in quei saggi è i l
contrario
preciso di quanto
Amodio mi fa dire: e non soltanto nella pagina citata (vi risparmio di ripeterla
per intero) ma in tutte quelle che la accompagnano. Vi si dice che il « mandato »
agli intellettuali ha una storia, che quella storia è storia della borghesia, che
quella eredità è stata assunta (e poi necessariamente mistificata) dal comunismo
sovietico ed occidentale, che ha avuto la sua manifestazione massima nel patro-
cinio comunista degli intellettuali democratici ed umanisti nel periodo dei Fronti
Popolari e nei suoi postumi; per concludere
(Al di là del mandato sociale
suona,
nulla di meno, i l titolo della terza parte del mio scritto) che i l nostro tempo
ha
messo in crisi sia l'idea di un « mandato » del Partito agli intellettuali sia quella
di una qualsiasi « missione» corporativa degli intellettuali stessi. E ' chiaro?
Insomma quel che Amodio qualifica come mia « ipotesi », come qualcosa che io
caldeggerei nel « segreto» della mia stanzetta è qualcosa che è stato realmente
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