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U n discorso formale su di un film come LA GUERRA E' FINITA non è
molto facile. C'è in primo luogo il rischio di deformare la realtà stessa
dell'opera, di travisarne i modi e non intenderne i significati. Niente di
più logico infatti, di fronte ad un film di questo tipo, che impostare l'ana-
lisi sui problemi concreti rappresentati, tentandone una disamina appro-
fondita. I l personaggio del militante permanente con le sue caratteri-
stiche psicologiche ed i rapporti che intrattiene con i compagni del
partito, le due donne, gli incontri occasionali, le alternative di linee
politiche diverse, sottoposte ad una discussione articolata come rara-
mente si è visto in un film, costituiscono evidentemente l'orizzonte con-
creto su cui è fondata l'opera. Ma un discorso che non tenesse conto
del carattere di materiali di impiego di questi elementi, tenderebbe
senza dubbio a fornire del film un'immagine inesatta, troppo superficiale,
contenutistica, e non sarebbe forse in grado di cogliere la dimensione
essenziale dell'opera ed i l suo riverberarsi in filigrana all'interno di
ogni scena. La struttura è si l'interrelazione degli elementi, la somma
organica delle componenti in un insieme unitario, ma è anche la realtà
inespressa che si cela dentro i l narrato, l'orizzonte tonale, i l senso
ultimo dell'opera: è in fondo quella cosa senza la cui comprensione non
si dà la percezione piena e spiegazione di tutte le singolarità che costi-
tuiscono il film. Si tratta insomma di definire da un lato la forma di un
discorso che è obiettivamente, in una certa misura, politico, e dall'altro,
di individuare più in profondità quell'altrove (I '« ailleurs » di Barthes)
verso cui tendono costitutivamente tutte le opere riuscite.
Che dal punto di vista strettamente formale « La guerra è finita » non
sia un'opera di ricerca quanto piuttosto l'organizzazione e l'assestamento
d, modi già in precedenza sperimentati, è evidentemente indiscutibile.
ei !DilatecaGino Bianco