Una città - anno I - n. 6 - ottobre 1991

Ol'l'OBRE IN SECONDA. Sulla Russia e il comunismo due interventi, di Giorgio Calderoni e Alfredo Roseffi. E nella "diatriba" fra Balcunin ed fferzen uno strano paragone col presente. Di Franco Melandri. IN TERZA. "Un lusso fare a meno della politica". Maurizio Viroli, forlivese che insegna filosofia politica a Princeton, ci parla del problema della comunità in America, della funzione civile del filosofo, di "virtù repubblicane". IN QUARTA. "Difficile da descrivere" è l'intervista a Fabio Strada, studente universitario non vedente. Il rapporto con gli altri, fa mancanza dello sguardo nel rapporto con le ragazze, lo standard della prestanza fisica. IN QUINTA. Tre albanesi che vivono a Meldola raccontano. Del Conad di Meldola, per foro incredibile e di una situazione in Albania inimmaginabile per noi. IN SESTA. Un ex-comunista "storico", Giovanni Zaufi, tira le somme. Dice che c'è da vergognarsi di essere stati comunisti. Aver visto un nemico in ogni persona con idee diverse è imperdonabile. IN SEfflMA. "Ragionieri con fa durlindana". Di Rocco Ronchi. leghisti imbardati, croati che per crederci fanno sul serio, dappertuffo pali i. E' il kitsch che maschera fa miseria del presente. Un racconto dalla Russia del tentato golpe. Di Gianni del Monaco. IN OffAVA E NONA. "Un posto dove dio non era presente". Persecuzioni razziali e antisemitismo in Italia e in Europa. E la polemica con fa chiesa per il Carmelo di Auschwitz. Nel racconto del rabbino di Ferrara, prof. Caro. Di Roberto Balzani "storia di una lapide fortunata e di un acquario". E lettere sul numero scorso per l'intervista al partigiano Fusarofi. IN DECIMA. Per viaggi. Il girovagare per l'Africa di Rover Ragazzini, fra difficoltà d'acqua e abbondanza di coca cola. E di ritorno dall'Iran libero Casamurata ci racconta le sue impressioni, per certi versi sorprendenti. IN UNDICESIMA. "In queste fotografie. Un pezzo della mia, della nostra storia". Andrea Brigliadori ricorda Massimo Zattoni, scomparso da un anno e mezzo. I Sud Sound System, hanno suonato alla "festa" di via Dragoni. Un'intervista "disordinata" in cui si alternano e si sovrappongono come sul palco. IN DODICESIMA. Intervista a Mariella Rivafta, da missionaria laica in Ciad ali' esperienza dell'affido a Forli. Una famiglia aperta. 1a o

RUSSIA timperialisti del '68, mi sembra che davvero il cerchio si sia chiuso. Ed ora le tre considerazioni, su quelli che considero altrettanti peccati originali del comunismo, i tarli che l'hanno condotto al suo esito attuale: Qual è allora il senso della sinistra oggi, si chiede giustamente Massimo nell'ultimo numero di questo giornale. Molte cose sono già state dette e scritte sulla rivoluzione russadi questo agosto: difficile che un ulteriore commento adistanza di tempo e di migliaia di chilometri sfugga al duplice rischio della ripetitività e del ripiegamento memorial-intimistico. Correrò entrambi questi rischi, affidandomi a tre ricordi personali e a tre considerazioni di ordine generale suggeritimi da qualche recente emeno recente lettura. Per comodità, i ricordi sono ordinati cronologicamente: I) il primo, più che un ricordo è una rivisitazione del '68 giovanile, studentesco, antiautoritario dal '69 "politico" dei gruppi extraparlamentari; oggi mi sento di aggiungere che fu un grave errore imprigionare l'anima del '68 entro gli schemi dell'ortodossia comunista quando invece i contenuti del movimento erano obiettivamente affini alla riflessione di quel li che per sinteticità sono stati chiamati gli "ex-comunisti": Arthur Koestler, George Orwell, Ignazio Silone e altri. Diventammo così gli ultimi epigoni del marxismo-leninismo (e alcuni addirittura dello stalinismo) quando già da trent'anni era stato descritto "dal di dentro il dio che è fallito" (per usare le parole di un saggio di Adriano Sofri apparso nel 1988). E il germe di quel fallimento si trasmise anche ali' esperienza che aveva coinvolto una parte consistente e bella di un'intera generazione. 2) nel 1982 partecipai per l'ultima volta, come iscritto al PCI, ad un congresso di sezione: e rilanciai la proposta (formulata in quei giorni su "Repubblica" da un migliorista ante litteram come Guido Carandini) del cambiamento del nome del partito. U funzionario presente, dirigente e diligente, replicò che il PCI non era disponibile adoperazioni di maquil lage: da allora sono passati nove (o novanta?) anni, io non mi sono più iscritto ad alcun partito, quel funzionario ha cambiato lavoro, da otto mesi il PCI si chiama PDS e Carandini continua a scrivere su "Repubblica". 3) una delle ultime sere dell'agosto di quest'anno l'ho passata ad un festival del1' Unità di una vicina zona di campagna: gli obiettivi, lo confesso, erano un piatto di tagliatelle ed un po' di fresco. Gorbaciov si era appena dimesso da Segretario Generale del PCUS e aveva firmato i decreti di sospensione dell'attività del partito: mentre ancora stiamo cercando un parcheggio, l'orchestrina di liscio attacca Bandiera Rossa e le note e le strofe acquistano un sapore addirittura più ironico che malinconico. L'atmosfera del festival è quella di sempre: il PCI e il PCUS non ci sono più ma gli argomenti di conversazione ai tavoli sono altri e la preoccupazione principale (anche la nostra) è quella di trovare un posto a sedere. a) l'idea che la violenza sia levatrice della storia, quando invece olo nella tolleranza, nel rispetto della libertà, della verità, del valore rappresentato dalla persona umana le aspirazioni di pace e progresso dell'umanità possono cominciare a trovare soluzione; Una prima risposta l'ho trovata in un saggio di Paolo Flores d' Arcais intitolato per l'appunto "il concetto di sinistra", che così si conclude: "Avendo identilicato marxismo e sinistra, e avendo riconosciuto l'insostenibilità del marxismo, si può tener ferma I' identilicazione e abbandonare la sinistra. Oppure si può scegliere di restare a sinistra senza metalisiche e senza cedere alle rassicuranti razionalizzazioni del conservatorismo. Vivendo fino in fondo le ragioni di quel weberiano disincanto che vieta di scambiare valori e fatti. Albert Camus riassumeva con due termini il proprio impegno asinistra: solitaire, solidaire, responsabilità e fratellanza. Una sinistra che è ethos, ancor prima chepolitica". Non malecome base di un vero "nuovo inizio" della sinistra: soprattutto sesi pensachequestecose sono state scritte nel 1982. b) la concezione della politica come primato assoluto, quando invece le ragioni della politica possono affermarsi solo a partire dalla coscienza del suo limite; Il comunismo - ci diciamo - da noi era morto da un pezzo. Poi rivedo per caso dopo anni una conoscente, una matura donna dei campi; e dopo i doverosi scambi di notizie personali le chiedo della Russia: mi risponde che adesso ci sono rimasti solo Cina, Cuba, Corea, Vietnam, Quando realizzo che era uno slo~a~ dei cortei anc) l'illusione prometeica (estremo lascito della rivoluzione francese) di poter sottomettere la storia, di creare l'uomo nuovo, di andare incontro a sorti ineluttabilmente magnifiche e progressive: invece di tener conto della connaturata ambiguità dell'uomo e di assumere come realistica regola di condotta quello che HansJonaschiama "sano scetticismo". Giorgio Calderoni Nel libro appena uscito di Marcello Flores, "L'immagine dell'URSS", si possono leggere, tra le moltissime e di moltissimi di cui il libro è intessuto, due citazioni specialmente illuminanti. La prima, di EdmundWilson, il critico letterario statunitense, dice così: "è un grande inconveniente per la Russia essere il primo paese socialista. Gli oppositori del socialismo possono sempre attribuire al socialismo qualsiasi cosa essi trovino criticabile in Russia. I sostenitori del socialismo tradiscono se stessi nel difendere cose che per loro sono in realtà repellenti e che non devono affatto essere difese". La seconda, dell'ingegnere francese Jacques Berger, uomo di sinistra che era stato in URSS per lavoro ed aveva maturato la convinzione che tra socialismo e stalinismo non esisteva alcun rapporto, afferma che l'illusione che fosse in atto la costruzione del socialismo in Unione Sovietica "costituisce un mito. ma un mito in senso soreliano, vale a dire un'idea-forza il cui ruolo è perfettamente reale e che non si può trattare come una pura esemplice contro-verità. Ogni colpo che gli sarà inferto non potrà lasciare il proletariato che un po' più diviso e un po' meno combattivo". Siamo nel 1935-36, ma nelle osservazioni di Wilson e Berger sono messe a nudo le radici di comportamenti che abbiano conosciuto ancora molti anni dopo e anche, forse, le radici di disagi psicologici tutt'ora presenti, persino in qualcuno da cui non ce li aspetteremmo, di fronte all'exitus di Pcus e URSS. In verità, il peso della storia russa prerivoluzionaria ha stravolto il comunismo sovietico. La forma-partito leniniana, l'ideologia e la prassi del "socialismo in un paese solo", l'autocratismo da Stalin a Breznev, hanno i loro incunaboli nella storia russa. Il partito leniniano ha il suo precedente storico nell'organizzazione centralista e autoritaria - speculare alla organizzazione dello stato zarista - del populismo di sinistra in Russia negli anni settanta del secolo scorso; la costruzione del socialismo in un paese solo ha i suoi lontani antecedenti nelle correnti slavofile ottocentesche; l'autocratismo era il nodo specifico del governare nella Russia zarista. Un tale accumulo di elementi provenienti dal passato nazionale era, presso i bolscevichi, interno ad una idea della storia costruita coi materiali maggiormente caduchi elaborati dal marxismo e dallo stesso Marx, i materiali di una unilineare filosofia della storia dogmatizzati dalla Seconda Internazionale, che costituirono successivamente l'ossatura del marxismo-leninismo. Comunque, una storia comunista sovietica, nel senso - che è poi l'unico reale - di una storia di comunisti (in lotta con gli altri, poi in lotta fra loro) non è probabilmente reperibile oltre il primo decennio dopo l'Ottobre. Il resto, è tutt'altro che silenzio, ma è altro. Con la sua terribilità, orrori, grandezze, miseria, declino, implosione finale. Altro, in cui cercare anche, naturalmente, lo sviluppo di germi indicazioni indirizzi del primo decennio, ma che a quel primo decennio non è però riducibile-riconduci bi le come a un'origine che tutto già contenesse.La pretesa di condannare "l'origine" (la Rivoluzione d'Ottobre, il comunismo) in nome della "fine" (il totalitarismo in URSS, la sua caduta) identificandoli è, dunque, appunto una pretesa: idealistica e metafisica. Occorre anche rilevare che la liquidazione esultante e deprecatoria della storia dell'Unione Sovietica oggi imperversante sui mass media, è inse'nsata perchè non rende ragione della realtà stessa del mondo in cui viviamo. La sconfitta del nazifascismo e la fine del colonialismo, eventi in conseguenza dei quali il mondo ha assunto la sua figura attuale, non sono pensabili se si prescinde dall'URSS. Per quanto concerne il futuro, mi sembra di vedere che la pesanteur della storia russa grava ora, dal Caucaso al Baltico, sugli awersari del "comunismo". Non so se sapranno liberarsene. Non ho dimenticato il golpe. Solo credo che, a conti fatti, il golpe appare ridursi a mero acceleratore di un processo, un episodio finale con_protagonisti che fanno pensare più a Romolo Augustolo che a chiunque altro. Alfredo Rosetti elettrauto REFORMHAUS • marz10 malpezzi piazza dellalibertà forlì OTTIC¾ISION CENTRO APPLICAZIONE LENTI A CONTATI'O ESCLUSIVISTA LENTI A CONTATTO ACUVUE - USA E GETTA 47100 Forlì - C.so Mazzini, 144 - Tel. 0543/20033 ERBORISTERIA Dall'Agata Dr. Lorenzo Marco Villa Dr. Fitoderivati - Fitocosmesi Alimenti per sportivi Via G. Gaudenzi - Tel. 21863 - 47100 FORLI' Lorenzo Cazzoni & C. s.n.c. 47100 Forlì - Via Mariani, 6 Tel. e Fax 0543/53661 ,. Digitalizzazione reti,mappe e cartegeografiche ,. Topografia ,. Fotogrammetriaaereae terrestre -------------diatribe BAKUNIN O HERZEN? Damolto tempo, per noi abitanti dell'Europa occidentale, la Russiaed i suoi abitanti rappresentano un qualcosa di strano. Paeseimmenso, asiatico ed europeo, laRussia è stata,nell 'immaginario degli europei, sia il paese in cui pareva realizzarsi un sogno rivoluzionario basato su una nuova forma di democrazia- i soviet- ed una nuova umanità più umana,sia il luogo da cui sarebberopotuti arrivare orde di cosacchi pronti adabbeverarei loro cavalli nelle fontane di San Pietro ed in cui viveva il silenzioso ed inquietante "mugik", strenuamente legato alla Chiesa Ortodossa ed ai suoi sfarzi, attaccato alla "obscina" (l'assemblea dei capifamiglia del villaggio contadino), ma refrattario a qualsiasi forma di democrazia moderna. Una visione contradditoria della Russia e dei suoi abitanti che ha spinto spesso gli europei ad amare o odiare i russi in modo irrazionale, basandosi più sui preconcetti e sulle sensazioni razionalmente conseguente, la voglia di vinaccia ben in vista, tutto ci fa sembrare Gorbaciov un europeo, "uno di noi", di cui sembra assurdo non potersi lidare. All'opposto, la massa di capelli bianchi con un ciuffo ribelle che spessocontribuisce a rendergli la fronte ancorapiù bassa,gli occhi "a fessura" tipici degli asiatici, il viso rubizzo, la parlata irruenta e non sempre conseguenziale, il gesticolare teatrale rendono, ai nostri occhi europei, Eltsin troppo "russo" per poter simpatizzare con lui "col cuore", equestononostante i suoi indubbi meriti di leader antigolpista. Ma sequeste percezioni dei due uomini dimostrano solo che nel nostro subconscio europeo ancora forte é l'etno-eurocentrismo, é altrettanto vero che non è la prima volta che in Russiadue uomini, il cui aspetto richiama le differenzechenotiamo fraGorbaciov ed Eltsin, si trovano a polemizzaresu questioni basilari delle/ nelle trasformazioni sociali. Nella secondametà del secolo scorsoci fu unadiatriba fra due grandi rivoluzionari russi, Aleksandr Herzen e Michail Bakunin. Unapolemica che,pur svolta fra due amici che tali restarono per sempre, segnò "di pelle" che non sul ragionamento e su giudizi meditati. Anche ora, dopo i drammatici fatti di agosto, questa contradditorietà nel percepire i russi si può cogliere nel diverso modo con cui ci rapportiamo agli uomini protagonisti di quegli av- l venimenti Così, al di là delle profondamente non solo una loro idee e dei loro atteggia- interagenerazionedi rivoluziomenti concreti, Gorbaciov nari, ma anche il modo di rapsembra a molti più credibile, portarsi di questi con le trasfordegnodi fiducia,ragionevoledi mazioni sociali. Ambedue nati Ehsin, sanguigno, barricadero, nei primi anni dell'ottocento da certo capo popolo, ma, come è famiglie della piccola nobiltà, del resto nella tradizione russa, an1bedueincarcerati dall'autoproprio per questo potenziai- crazia zarista (per brevi periodi mente pericoloso e autoritario. Herzen, per lunghi anni BakuCerto non ininfluente in questa nin), entrambi legatissimi alla diversa percezione dei due uo- patriarussaeallatradizionedella mini é il loro diversissimo "obscina", per tutta la vita amaspetto. La fronte resaamplis- bedue lottarono contro ogni opsima dalla calvizie, gli occhi pressionein nome della libertà. rotondi, l'eloquio tranquillo e Per il gigantesco, irruento, russissimo nei tratti e nel carattere Bakunin " la voluttà di distruggere è nello stesso tempo una voluttà creatrice", per cui il problema costantementeali' ordine del giorno era la distruzione dei sistemi sociali esistenti; cosa sostituire ad essi sarebbe dovuto sorgere naturalmente "dal movimento edalla vita popolare". Per quanto personalmente ribelle e propugnatore della più ampia libertà individuale, tuttavia Bakunin -che in gioventù, e non ancoraanarchico, aveva consigliato al fratello di usareanche il knut (il bastone padronale) per imporre giusti costumi ai suoi contadini- non temeva di teorizzare una "dittatura collettiva", invisibile, del- !' organizzazione ri voi uzionaria. Tale dittatura avrebbe dovuto, pur senza mezzi coercitivi e poteri ufficiai i e legittimati, "aiutare il popolo ad autodeterminarsi" per la "più completa realizzazione della libertà popolare". Dall'altra parte, per il mezzo tedesco, riflessivo, cosmopolita Herzen la questione era assai diversa: "le masse... restano indifferenti alla libertà individuale, alla libertà di parola; lemasse amano l'autorità. Per uguaglianza intendono uguaglianza di oppressione". Ed inoltre "Progresso nel futuro? ... uno scopoinlinitamente lontanonon è uno scopo, è soltanto un inganno", "ogni generazione ha in sé il proprio fine; ...bisogna conciliare la vita con la logica come meglio si può, perchénon c'é un libretto già pronto". "Per noi c'è soltanto una voce, un potere: il potere della ragione e dell'intelligenza" ed è alla luce di queste considerazioni che merita di essere perseguita la libertà personale, per ciò che essa è in sé, non perché la maggioranza desideri la libertà. E, per Herzen, "soltanto le persone civili possono desiderare la libertà, perchéquesto desiderio è un portato della civiltà". In altre parole, allora ed oggi, in gioco in ogni trasformazione sociale, nella stessavita sociale quotidiana, sono sempre almeno due questioni fondamentali. Le finalità, che possono essere intese come obbiettivi sempre relativi e transitori o come scopi teleologicamente determinati e millenaristicamente "finali", devono sempre fare i conti con la libertà degli individui. Libertà che può essere vista come partedi uno '·scopo" più grande e vasto, a cui può essereall'occasionesacrificata, ocome fatto che trova in séstessoil suo fine e che, pertanto, non può essere posto in subordine anient'altro. Sono questioni che, in vario modo, sempre si ripropongono e che, nella drammatica situazione della Russiacontemporanea, impongono scelte radicali anche a Gorbaciov ed Eltsin. Essi devono scegliere se andare, come sembrano volere le masserusse,versouna"Grande Russia" basataprincipalmente sui "caratteri" del suo popolo o cercare di realizzare per la prima volta nella storia russa una società "aperta", in cui possa tranquillamentevi vereanchechi è "fuori dal branco". Franco Melandri leffera--------------- Cari amici, hodasottoporviuncasocheamio parerenon devepassareinosservato, pur nel generaleclima di ritorno al passatocheci starisucchiando più o meno lentamente (secondome, molto in fretta). Il ConsiglioComunaledelComunedi Forlì.di cui sonodipendente, haapprovatoall'unanimità la deliberan° 88 del 17 maggio 1991, diffusa solo ora non tra i dipendenti,maesclusivamentetra funzionari edirigenti (enoncomunicataai sindacati)con la quale si stabilisceil regolamento rganico generaledel personale.Credoche per elaborare tale documento il ConsiglioComunalesisiaispirato ai codici borbonici: infatti, cito testualmentealcuni casi di riduzioneo sospensionedello stipendio e di destituzione(cioè licenziamento): la riduzione dello stipendio è inflitta, tra altri casi, anche per comportamento non conforme al decoro delle Junzio11i. La sospensionedellaqualifica, equindi dello stipendio.è inflitta in vari casi tracui la denigrazione de/l'amministrazione e dei superiori (quindi potrei esseresospesaper questa lettera!) e infine la destituzione dal servizio è prevista.fra l"altro, per alfi i quali rivelino mancanza di senso dell'onore e del senso morale (conviventi. omosessuali. adulteri e libertini stianoin campana...). per alfi che siano in grave comras10 con i doveri di fede/- là del dipe11de111e, e per ecci tamemo al I' i11s11bordi11azio11e. Non male. che ne dite? Gli anni '80 nonsonopassati nvano: i ·90 sarannopeggio... Tristissimi saluti da PaolaValli. ABBONATEVI A UNA ClffA' 11 Una ciHà" è in tuHe le edicole all'inizio di ogni mese. Volete sostenerci in questo tentativo di fare un giornale, libero, indipendente, un giornale '1 delle più voci"? Abbonamento: a 1O numeri: 20000 lire. Sostenitore: 50000 lire. Siete interessati alle aHività della cooperativa 11 una ciHà"? 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" • " I UN LUSSO FARE A MENO DELLA POLITICA intervista a Maurizio Virali Maurizio Viroli, forlivese, trentanovenne, studioso di Gramsci, Machiavelli, Cicerone, da qualche anno vive negli Stati Uniti, dove insegna filosofia politica nella prestigiosa università di Princeton. Fin dal suo arrivo in America in stretto contatto con Michael Walzer, uno dei filosofiamericani più noti anche in Italia, Virolipartecipa attivamente al dibattito sulla politica che, attualmente, coinvolge gran parte dei filosofiamericani. Maurizio Viroli è anche un importante punto di collegamento fra i filosofi della politica italiani e quelli americani. Delle sue idee e delle sue proposte ci parla in questa intervista. Guardando alla storia della società americana si ha l'idea che quella sia una società che, tutto sommato, ha digerito i principi del liberalismo ed in cui il legame tra società politica e società civile appare stabilito. In Europa invece sempre più si assiste ad un distacco fra la società e l'ambito politico. In America si cominciano ad avvertire sintomi di una tale crisi? E in secondo luogo, come è possibile dare per acquisiti i valori del liberaJismo? Credo che nella società americana i valori del liberalismo siano ormai consolidati. Per quanto riguarda la comunità di studiosi di filosofia politica invece si assiste, almeno dalla fine degli anni '70, ad un forte movimento di critica nei confronti del liberalismo. Un movimento che ha preso il nome di "comunitarismo" e che designa filosofie tra loro abbastanza diverse, ma concordi su almeno un fatto: la teoria liberale non serve a costruire o a preservare una città dove si possa avere una vita normale. I nomi più noti sono Mclntyre, Sandel, Taylor. E' un movimento molto attivo che si esprime, oltre che nelle università, in giornali e riviste. E' una critica al liberalismo molto diversa dalla vecchia critica marxista, è una critica che si ispira ai bisogni della comunità, intesa in senso religioso, etico, morale. Per quanto riguarda il rapporto tra società civile e stato, in America è un rapporto abbastanza semplice, nel senso che la società civile è ricchissima, di stato ce n'è poco e gli americani ne vogliono sempre meno. Prendiamo il servizio sanitario nazionale, che in America non c'è. Anche gli americani potrebbero essere d'accordo sulla necessità di averlo, ma se questo significasse espansione dello stato non lo sarebbero più. La società civile, e questo è il frutto delle tradizioni liberali, vuole essere autosufficiente. Lo stato migliore è quello che si vede di meno. Però l'idea che dall'esterno ci si fa dello stato americano è quella di uno stato molto forte. chiede più tasse. Lo stato è il poliziotto, e lo rispettano e lo temono, è l'esercito, la bandiera, la Costituzione; è tutto lì e ci tengono, tant'è che bruciare la bandiera è un reato. La società civile è quindi enorme, differenziatissima, ricca, con ampie aree di solidarietà che si esprime, per esempio, nel volontariato. A Princeton esiste addiriuura un'agenzia di collocamento per volontari, ma è privata. Se questo stesso volontario dovesse pagare IO dollari di tasse in più per finanziare un ente pubblico non lo farebbe mai. E' questa una delle ragioni per cui i Repubblicani, Reagan, hanno vinto. Reagan diceva "noi siamo un common sense people". E qual' è il senso comune per un americano? E' che vuole sempre meno stato. Ma questa situazione non provoca unh accelerazione nella conflittualità che esiste, o può esistere, fra i vari gruppi? Non c'è il rischio di mettere in discussione il collante che tiene insieme tutta la società? a diventare completa. Si accontentano di essere incompleti. Sanno che non potranno mai diventare nazione come la Francia o l'ltalia. Molti filosofi comunitari invece insistono sul fatto che sarebbe necessario essere più che un coacervo di individui incompleti, di individui differenziati e sostengono che bisogna rafforzare i legami di comunità. Essi spingono i cittadini a non essere degli individui astraili, ma a sentirsi legati ad un storia particolare, ad una religione particolare. Dicono "se sei ebreo la vita affeuiva e morale è più ricca se tu sei dentro la tua comunità, se ne assimili il linguaggio, le tradizioni". Però io temo che questa sottolineatura che mettono sui valori di comunità porti acreare comunità così coese che diventano aggressive. Ma viene da pensare che non sia possibile, allo stato attuale delle cose, riuscire a ricondurre tutta la società americana ad una serie di comunità. Viene spontaneo pensare che poi ci dovrebbe essere un'ultima "comunità", che é quella di coloro che non amano una comunità particolare. Può essere che le cose siano talmente evolute che non si possono più ricondurre tutti gli individui a delle singole comunità. Bisogna stare attenti. Nella concezione comunitaria rigida l'uscire dalla comunità equivale alla morte morale, "extra ecclesia nulla salus"; i teorici classici del liberalismo, invece, fanno spesso l'ipotesi di un individuo astrailo, che non appartiene a nessuna comunità particolare. Ma sappiamo benissimo che, anche nelle società più liberali del mondo, gli individui appartengono ad una comunità, ognuno ha una sua comunità, che può essere quella etnica o la comunità culturale. La cosa importante è che nelle società liberali si è liberi di entrare e di uscire dalla comunità, di uscire da una cd entrare in un'altra. C'è una forte mobilità, che è geografica e culturale, ma anche religiosa. elle ciuà democratiche occidentali gli individui hanno acquisito degli stili di vita tali per cui è impossibile che si possano trasformare queste società in società coese; nessuno è disposto a mettere da parte le libertà liberali, anche se esse hanno dei preai alti. situazione traumatica come quella'? Il nazionalismo, secondo mc, è una passione come odio e amore. E le passioni si Lrattano in due modi: con la persuasione, con la parola, o con la forza. I nazionalisti sono spesso recalcitranti ad ascoltare e spesso ci vogliono soluzioni politiche, soluzioni militari. Per esempio, se la Comunità Europea dicesse a serbi e croati che è disposta a riconoscere la loro indipendenza, a patto che garantiscano il rispetto di certi principi di libertà anche alle minoranze interne, e fosse disposta anche ad imporre questa soluzione, si potrebbe forse evitare la guerra civile in Jugoslavia. E in Russia? I russi della repubblica federativa russa sono a loro volta un'etnia, una comunità in mezzo ad altre, quindi un'imposizione di una norma significherebbe automaticamente l'imposizione di una etnia, di una cultura. Allora qui non sarebbe più una imposizione di una norma di giustizia, di convivenza, sarebbe sicuramente un baluardo di oppressione. Bisogna distinguere l'uso della forza per imporre la giustizia, il rispetto della giustizia al recalcitrante, e l'uso della forza per imporre. lo mi ispiro al Machiavelli e non credo che in politica le parole bastino, purtroppo, sarebbe bello. Non bastano ìe parole, gli appelli; ci vogliono anche quelli, però, quando le passioni sono sfrenate, si può soltanto agire usando un'altra passione ugualmente forte, ed in questo caso la passione altrellanto forte che può scattare è la paura. Le cose che dici presuppongono un forte impegno civico e morale, sia da parte dei cittadini che da parte dei politici.Ma questo impegno, certo qui in Europa e forse anche in America, è sempre meno presente. Come filosofo della politica come pensi si possa rimediare a questo fatto? Io credo che il filosofo della politica debba essere il filosofo che sta nella città per cercare di far nascere, o di far crescere se c'è già, la coscienza civile. Che poi ci si riesca o si fallisca è un altro paio di maniche. In America è opinione comune fra i filosofi della politica che il loro compito sia quello di parlare ai ci1tadini e qualche volta la gente legge persino quel che i filosofi scrivono. Non possiamo permeuerci il lusso di fare a meno della politica. Non basta dire "la politica fa schifo, è solo corruzione, ricerca del potere e io me ne sto fuori"; questo è un lusso che ti potresti permcllere se altorno a te ci fosse un numero sufficiente di brave persone che fanno una politica seria, pulita. se la politica non la fanno le brave persone la fanno i cialtroni e i disonesti. La soluzione ai problemi della politica non sta quindi in un distacco da essa, in un rifiuto in nome della "società civile", ma nell'indicare, nel costruire un modo diverso di fare politica. Un modo che si proponga di costruire una buona ciffà sulla base dei migliori valori condivisi e degli aspeffi più ricchi della tradizione. Ma non è così: se la politica non la fanno delle brave persone la fanno i cialtroni o i disonesti. La soluzione ai problemi della politica non sta quindi in un distacco da essa, in un rifiuto in nome della "società civile", ma è nell'indicare, nel costruire, un modo diverso di fare politica. Un modo che si proponga di costruire una buona città sulla base dei migliori valori condivisi e degli aspeui più ricchi della tradizione. lo intendo questo modo di considerare la politica come necessariamente basata sulle "virtù civili, repubblicane". Basata cioè sui valori della tolleranza, della libertà personale, del rispetto dei diritti di tutti che sono emersi dalla tradizione liberale. E se il tuo paese non si comporta secondo questi criteri bisogna continuare a parlare ai cittadini cercando di far loro capire che sbagliano. Non vedo altra possibilità. Se vuoi la tua libertà individuale, se Lipreme il bene tuo e della tua famiglia e la tua città è dominata dai corrotti, dagli arroganti ti toccherà necessariamente o diventare complice o capire che devi fare qualcosa anche tu; devi sentire che ogni oppressione perpetrata minaccia anche la tua libertà. Ad esempio, Libero Grassi, a Palermo, chiedeva solo di esercitare i più banali diritti individuali dell'imprenditore, ma non l'ha potuto fare perché la cillà è corrotta. E questa è una cosa che colpisce tutti; compito del filosofo è di far comprendere queste cose ai cittadini e di indicare delle soluzioni possibili che possano essere desiderabili per tutti. In America si dice che in politica occorre "the vision", che non è un sogno astrailo, ma una immagine di come potrebbe essere in futuro la città a partire dagli elementi che già esistono e possono essere usati in modo costruttivo, contro la degenerazionedelle istituzioni. Si può criticare il modo in cui funzionano le istituzioni in Italia o in America, non basando i su dei principi astraili, masu quelli che sono i principi contenuti nella Costituzione italiana o in quella americana. Anche se abbiamo decine di migliaia di esempi di politici repellenti, quelli di cui Leon Battista Alberti diceva che "usano lo Stato, la Repubblica, come loro bottega", ci sono anche esempi concreti di politici che hanno belle e grandi "visions" e riescono, almeno in parte, a realizzarle. E' il caso di Gorbaciov, che ha una visione di come può diventare l'Unione Sovietica e ha cercato di realizzarla; o di Martin Luther ·King in America. Luther King, quando criticava I' aparthaid americano, si richiamava ai valori costituzionali e ai "padri fondatori" dicendo ali' establ ishment "voi negate dei principi sui quali dite che la società americana deve essere basata". Ecco perché la sua critica fu così efficace. Ai filosofi della politica italiani, che costruiscono delle teorie generali astratte, che parlano di "conversazioni filosofiche", io cito sempre l'esempio di Martin Luther King, che certo non era un filosofo accademico. Ma se io devo scegliere fra un filosofo accademico e una persona che parla come Luther King, io scelgo Martin Luther King. Non è impossibile che politici simili crescano nella società civile e si affermino; il fatto è che sono molto rari e non si sa quando vengano. Il caso di Martin L. IGng è esemplare. E' il caso di un uomo che si pone il problema della città giusta, che riesce a parlare alla città e in qualche modo emerge. Potrebbe essere un esempio di realizzazione pratica delle teorie politiche di Hannah Arendt, la quale teorizza che, se in qualche modo fossimo tutti filosofi, l'ambito politico riuscirebbe ad essere il momento in cui le cose vengono messe realmente in discussione, in cui ognuno potrebbe veramente essere libero ed in cui la società potrebbe rispecchiarsi rimanendone autonoma, quindi non cadendo nel pericolo dell'organicismo marxista o totalitario. Non vorrei essere con fuso con la Arendt, io lavoro per una concezione della politica per la quale valga la pena di impegnarsi, ma non ho una visione della politica così alta come quella della Arendt. Per la Arendt -che intende la politica come libera discussione tra diversi ed eguali, come l'espressione più alta della vita- la politica è l'attività in cui l'individuo realizza se stesso e con cui da un senso alla propria esistenza. lo credo che la politica, anche quella per la quale io sostengo valga la pena di impegnarsi, è un dovere estremamente costoso. E' un dovere che non dà una grande soddisfazione esistenziale, perché nella realtà "politica" significa anche avere a che fare con le passioni peggiori dell'uomo, con l'ambizione, con l'invidia. Non vedo nella politica l'attività che può dar senso alla tua vita. Dico però che non possiamo non farla; soprattutto se ci teniamo alla vita privata, a una vita privata ricca. Qui la mia differenza con la Arendt è profonda. Per la Arendt la vita privata è una forma inferiore di vita. Io non lo credo. lo credo che la vita privata, intesa come vita di relazione con la tua compagna, con i tuoi figli, nella tua professione, con gli amici, possa essere una sfera estremamente ricca. E proprio per poterla vivere bene hai bisogno di una comunità, di una città, bene ordinata e giusta. Per questo diventa necessario fare politica. Ma non vedo nella politica una attività che dia senso all'esistenza indipendentemente dai risultati. Per me è fondamentale il risultato; se attraverso una libera discussione tra diversi ed eguali noi approviamo una legge ingiusta non possiamo essere contenti. Il fatto che l'abbiamo raggiunta secondo i criteri che per la Arendl qualificano la politica, non mi consola affatto. Per me la politica è importante quando raggiunge il risultato di preservare, se già c'è, una buona città o di instaurarla, se non c'è. La Arendt si ispira ad Aristotele ed al mito della polis greca, io come punti di riferimento intellettuale ho i romani, il vecchio Cicerone e Machiavelli, che di tutti era quello che guardava di più ai risultati concreti. a cura di Paolo Bertoui, Franco Mela11dri,Gianni Sapore/li. ~ Tutta la scelta chevuoi 0Kllt:·~061 Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Vialede/l'Appennino1,63 - Forlì Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 Forte per quanto riguarda l'esercito, per quanto riguarda la politica estera; lo stato in fin dei conti è la Costituzione, la bandiera. Non esiste uno stato sociale nel senso europeo, uno stato che si prenda cura di tante cose quante sono quelle di cui si prende cura uno stato europeo. Quindi uno stato che fa poche cose, non gli si può chiedere di prendersi cura delle pensioni, della salute, dell'educazione. Come diceva Michael Walzer, al recente festival de "L'Unità" di Bologna, lo stato sociale americano è ridicolo a paragone di quello europeo. Una delle ragioni è che puoi convincere un ciuadino americano a dare dei soldi, e ne danno anche molti, al proprio gruppo -se sono ebrei li danno agli ebrei, se sono cattolici ai cattolici- ma non lo potresti mai convincere a votare perun partito che, per esempio, si batte per iIservizio sanitario nazionale e che quindi Bioi a Questo è il punto. Cos'è che tiene insieme l'America, cosa fa dell'America una nazione? Ci sono due risposte. Una dice, ed è la scuola dei pluralisti, che l'America è una nazione di nazioni, di gruppi, di etnie che non hanno tra loro legami, anzi spesso sono tra loro in connitto, tenute insieme dal sistema politico, cioè dalle leggi. Un'altra interpretazione è che l'America è una nazione come le altre, tenuta insieme da una cultura, dalla tradizione, dalla storia, da dei simboli. Secondo me l'America è una nazione incompleta, fatta di tanti gruppi, di tante etnie, di tante religioni. Chi è venuto in America non ha lasciato a casa il proprio retroterra culturale, non ha smesso di essere cinese, irlandese, italiano. Stando in America però, ,oprattuuo le ultime generazioni, hanno accettato tulli i principi politici cd economici del sistema, cambiando anche la propria cultura. Così il cinese non è più cinese come era prima, gli italoamericani non sono più italiani, sono italo-americani. Quindi direi che la verità stà in una visione più complessa. C è una nazione incompleta che, come dice Wal,:er, non ci tiene Come si spiega allora il nazionalismo che ha spazzato via il socialismo reale praticamente in tutto l'est europeo? Come può adattarsi il nazionalismo ad una logica liberale, soprattutto in una o 1an o UNA ClffA' 3

Fabio Strada, è affetto dalla nascita da pseudo retinite pigmentosa, o "retinite pigmentosa senza pigmento", malattia di cui ancora non si conosce la causa nè la cura. E' dotato di un "residuo visivo" più o meno stazionario dalla nascita. Conosce l'alfabeto Braille, ma usa prevalentemente la macchina dattilografica per scrivere e un apparecchio chiamato Optacon per leggere i testi normali. E' studente di scienze politiche, ha 22 anni, è redattore di questo giornale. tanto c'è il problema che accennavo sopra, di dover ricorrere agli altri in certe situazioni. Per uscire o in circostanze improvvise, devo chiedere aiuto a qualcuno. Ed è un po' imbarazzante. Non credo che sia un sentir i inferiore, ma la dipendenza crea sempre disagio, anche se gli altri sono poi felici di aiutarti. Qui poi ci può essereun altro problema, quello da parte degli altri, di una premura eccessiva che rischia di condizionare i rapporti. Non Sono così dalla na cita. Non so neanche bene che cosa ho. E' una malattia della retina, non me ne sono mai interessato molto perchè ho sempre saputo che per il momento non ci sono cure. Anche da piccolo non ho mai avuto "l'idea" di guarire, anche se ovviamente ci spero sempre, ma di questa speranza non ne faccio una ragione di vita. fin da quando ero piccolo, mi ha accompagnato. L'idea di muoversi, fare un giro in piazzaquando ti.va, effettivamente mi manca. Dover avere sempre qualcuno che ti accompagna a volte non fa piacere... In prospettiva pensi di fare qualcosa per essere più autonomo? uccede con gli amici, con cui ho confidenza, ma con gente nuova, che conosco da poco, ho sempre paura che questa premura ci sia. E la cosa ti può riuscire fastidiosa? Sì. Sarei piL1felice sapendo che simpatia, interesse cd affetto, quando mi si dimostrano, onodovuti acome sono io come personae non ad altro. Però il problema più gro o, forse, ce 1•ho con le ragazze. Ncll' incontro con una ragazza lo guardo è molto importante per comunicare e dover partire subito con le parole è più imbarazzante cd anche un po' rischioso. Questa for e è la cosa che mi dà più fastidio. E poi ho anche la paura che mi vedano come i I ragazzocon i I ··problema", molto bravo a scuola, e tutto finisce lì. Una specie di stereotipo. Non sono mai stato nemmeno in un istituto, perchè si trattava di andare lì a sei anni e lasciare la famiglia. Sinceramente non me la sono mai sentita, non o sesia stato un beneo un male... inoltre i miei genitori, non dico chesianotroppo protetti vi, però avevano piacere di seguirmi molto da vicino. Devo ammettere però che quelli che ci sono stati hanno sviluppato una grande indipendenza, e questa è una cosa positiva. 11 fatto di muoversi da soli, ad esempio, che io l'ho sempre fatto solo fino ad un certo punto, perchè c'è semprestato qualcuno che, In prospettiva, una cosa che potrei fare, è quella di addestrare un cane. Quando sarò più libero dai miei impegni, penso che mi prenderò il tempo per andare in uno di questi centri dove si impara ad andare col cane. E nei rapporti con gli altri. Quali sono i problemi? Ma ... da bambino non ho mai avuto problemi perchè sono cresciuto così e per me è stata una condizione naturale. L'unica cosa forse all'asilo, sai quando i bambini prendono in giro, puoi restarci male, ma erano cose passeggere. Forse qualche disagio posso cominciare ad avvertirlo adesso. InE non sei diflidente? No, questo no, ho sempre avuto IL PRIMO ROSSETTO E LO SGUARDO DEGLI ALTRI Di handicap non mi sono mai interessato, non ne so nulla. Non mi ha mai stimolato, in un certo senso non me ne veniva niente. Ero disposto a firmare qualsiasi petizione sulle barriere, ma perchè ci pensasse il comune. Ho avuto un amico handicappato, ma alle elementari. Era molto zoppo. Eravamo inseparabili ma poi ricordo che per una parola di troppo, ci attaccammo fuori dalla scuola, con tutti attorno. E ogni tanto mi sono chiesto se.fosse giusto affrontarsi alla pari, o se invece mi si dovesse, che so, legare una mano dietro alla schiena. Ma l'altro avrebbe mai accettato? Fatto sta che ricordo bene la sua soddisfazione orgogliosa mentre lentamente muoveva verso di me trascinando il suo enorme scarpone nero. E ricordo anche la mia vergogna, dopo, per aver accettato quel confronto impari. O forse, più probabile, perchè alla fine le avevo pressochè prese. All'incontro sull'handicap organizzato da "Una Gitta" alla "festa della solidarietà" in via Dragoni, una cosa mi ha colpito, fra le altre. Che un'universitaria molto preparata e molto impegnata sul problema, abbia raccontato, malgrado una difficoltà a parlare talmente forte da dover essere "tradotta" da un amica interprete, di quando e di come abbia deciso di mettersi il rossetto. E' stato un momento di forte tensione che per un attimo ha "accomunato". Più tardi, però, mi è venuto da chiedermi perchè solo lei, in quella sala, dovesse parlare di rossetto. Perchè, solo lei dovesse, in un certo senso, mettersi in piazza. E se per lei solo fosse stato un grande problema "mettersi il rossetto". E mi è rimasta l'impressione che, malgrado la buona volontà, anche in quel dibattito la disparità fosse rimasta inalterata. Con Fabio Strada ci siamo incontrati per il giornale. Poi, per caso quasi, ci siamo riproposti di leggere ad alta voce dei racconti. Ed abbiamo iniziato con due libretti da considerarsi veri testi di meditazione del nostro tempo. "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij e "La morte di Ivan 1/ich"di Tolstoi. Ed entrambi hanno a che fare con lo "sguardo degli altri". Nel primo si narra della devastazione interiore cui può portare il risentimento verso se stessi e verso gli altri. Nel sottosuolo si passa la vita a spiare gli altri, a tentare di precipitarli dai piedistalli su cui noi stessi li abbiamo proiettati, ci si guarda allo specchio con odio, ci si sente giudicati da tutti, anche dallo sguardo impassibile di "colui che vede tutto'', il proprio servo. Nel sottosuolo si va a caccia di capri espiatorii. E' il regno dello sguardo di traverso, dello sguardo con la coda dell'occhio, del "malocchio", appunto. Ed è dal basso del suo letto di moribondo che Ivan 1/ich,negli occhi di moglie, figlia e dottori, legge solo menzogna, ipocrisia e malcelata impazienza. E come in una scena degli addii d'altri tempi in cui si tirano bilanci ma in cui chi s· ~" r-: parte questa volta è irrimediabilmente solo, Ivan llich va a riguardarsi la propria vita. Una vita da "consigliere d'appello", passata fra il desiderio di poter squadrare degli inferiori intimiditi e quello di trovare "approvazione" nello sguardo dei superiori. Una vita "camme il faut", fallita in tutto e per tutto. Eravamo pochi amici. Edi quei pochi uno rischia l'insoddisfazione cronica per i problemi derivati da una "banale" balbuzie infantile, un altro si dice non si sia più rimediato da un cortocircuito adolescenziale fra una vocazione religiosa e una mancata educazione sessuale. E guarda caso entrambi i problemi hanno a che fare "con lo sguardo degli altri". Immaginiamoci di avere addosso lo sguardo di una intera classe e di un maestro mentre ci si incanta e qualcuno si trattiene dal ridere e più ci si sforza e più ci si incanta ... Oppure andare in giro per anni sentendosi addosso degli sguardi di stima totalmente immeritati, e colpevolizzarsi fino al punto, alla fine, di dover per forza trovare altri colpevoli, di prendersela con altri. Eppure, i difetti, grandi o piccoli che siano, poi vengono come imbozzolati, "lavorati" e non sempre, per fortuna, fanno infezione. A volte diventano parti integranti, caratteristiche della personalità e forse chissà, oltre a rendere inabili a qualcosa, possono abilitare a qualche altra. Per carità, non si pensi a cose come "handicappato è bello". Non so quanti, costretti a scegliere fra vista e gambe, si terrebbero le gambe, ma credo pochi. A maggior ragione, però, /"'immunità", la serenità di Fabio mi hanno fatto pensare. Intervistandolo, chiedendogli di questa società, forse mi aspettavo qualcosa come una critica aspra, forse anche astiosa, per un mondo in cui "l'apparire" la fa da padrone. Mi ha spiazzato. Certo la critica c'è, ma è dall'alto verso il basso. Proprio quella di cui, forse, io non sono capace. Forse l'astio era il mio, e se chiedevo dell'invidia stavo già interrogando anche me stesso. Forse volendo fare dei conti con qualcuno, mi sono ritrovato a farne con me stesso. Allora anche noi avremmo cose da dire, anche noi avremmo da raccontarci del giorno del nostro "primo rossetto". Allora l'incontro fra cosiddetti "diversi" e cosiddetti "normali" potrebbe servire, reciprocamente, a riflettere su noi stessi, sempre che non rifuggiamo la cosa come una disgrazia. Uno specchio che rimanda un'immagine difforme, a volte può dirci la verità. Allora "siamo tutti handicappati?". Non so, ma di certo, la "comunità dei sani", la comunità degli integri, dei belli, semmai realizzabile, sarebbe semplicemente molto brutta. Forse, se mai èpossibile una qualche comunità, non potrà essere che quella minore, dimessa, dei malati. E dei convalescenti. G.S. molta fiducia, anche se poi ho saputo ad esempio, che quando andavo a scuola. qualcuno fra i miei compagni ha '·scherzato" sulla mia condizione, quando io non c'ero. Questo mi è dispiaciuto, avrei preferito che l'avessero fatto quando ero presente, sarebbe stato più corretto. Però non ho nemmeno rotto i rapporti con questi, mi uccede che con le persone mi possoanche arrabbiare, però poi mi passa. on ~ono angosciato, non è mai stato un dramma. E un sentimento come l'invidia? Potrei dirti di no, ma direi una bugia. on è però un' invidia permanente, e neanche astiosa. In genere non sono invidioso come carattere. Solo che ogni tanto mi viene da chiedermi: '·però, questa cosa anch'io vorrei farla". Momenti in cui dico: "'per la miseria, non è giusto ..." Ma sono cose che pa ano presto. Ti sei mai impegnato con altri che sono nelle tue condizioni? Sono iscritto ali' Unione Ciechi. ma non ho mai partecipato alle iniziative, perchè secondo me c·era, nel passato almeno, un indirizzo molto discutibile. Rivolto solo alle . emplici gratifiche, tipo pensione etc., e non magari all'inserimento. Ci si occupa, è vero, di trovare lavoro ai ciechi, che va bene, però il solo lavoro assicurato è quello di centralinista. e allora c'è tutto que to esercito di ciechi centralinisti ... io ne conosco anche uno, però nonè ceno la sua aspirazione di vita fare il centralinista, e neanche la mia. Inoltre, sinceramente, non ho mai sentito molto l'esigenza di impegnarmi attivamente, anche se ritengo necessario l'impegno in prima persona degli handicappati organizzati fra di loro, perchè senon c'è questo. allora c'è solo paternalismo. I tuoi tempi e quelli di una società che esalta l'attività, la velocità? Percertecosesonodiversi. Per esempio per la lettura avrei bisogno di molto più tempo. E comunque non è una cosa rilassante perchè devo sempre star . eduto alla scrivania con un braccio fermo. Un altro può leggere in qualsiasi posto, io no. Così dopo lo studio mi alzo e casomai. se mi siedo in poltrona, è per ascoltare un po' di musica. Poi ho il problema che. facendo scienze politiche, dovrei leggere molti giornali. E a leggere per esempio una Repubblica dall'inizio alla fine mi ci vorrebbero dei giorni. Un titolo ci metto un minuto pcrchè essendo scritto grande devo,col mio apparecchio, fare il giro di ogni lettera. E d'altra parte saltare i titoli significherebbe non raccappezzarsi più. Comunque penso di riuscire adarrangiarmi abbastanzabene anche in questo. Rispetto ai tempi di questa società, più in generale,devo dire che mi sento abbastanza in~erito. Razionalmente. d'accordo, la critico questa società. la vita frenetica di una metropoli è alienante. ci vorrebbe una vita più sensata,con più tempo per gli affetti, per gli interessi. Ma anche se la critico, ne sono attratto. Dicevi che vai in discoteca. Intanto c·è da dire che noi andiamo in un certo tipo di discoteche, dove non ci vanno i righetti. Casomai ne parliamo dopo dell'esteriorità, al limite a mc potrebbe non interessare il fallo del ·•righetto'' pcrchè per mc non cambia nulla, però quel mettersi in mostra. badare acome la gente è vestita, eccetera. non mi piace. 011sono neanche di quelli che fanno i riti collettivi del sabato ~era, quindi forse non potrei parlare, ma mi pare che i rapporti umani in discoteca siano molto scarsi, molto spesso si sta sulle proprie. oppure c'è un fine ben preciso, il cosiddetto "'intorto". Però la funzione liberatoria del ballo la vivo parecchio. Permolti è un modo di liberarsi delle tensioni accumulate durante la settimana, forse un diversivo, forse molti vivono una vita poco soddisfacente e il sabato era funziona come sfogo, questo non risolverà niente. ma mi sembra comprensibile. Comunque questanon è la mia situazione, io mi diverto veramente a ballare, soprattutto quando la musica èquella che ascolto per conto mio e che mi piace. E ballarla è un modo di espressione e una fonte di benessere. E questa continua, assillante, esaltazione della bellezza e della prestanza fisica? Devo dire che la mia reazione epidermica è di indifferenza. La nostra società è giovanilistica, bisogna esseresempre in forma. e infatti per un anziano diventa un problema. Certo ancheper un handicappato può essereun problema, 10000 palestre, bisogna fare body building, ceno ad uno che non lo può fare, che si sente escluso può non far piacere. In generale penso che questo sia uno dei tanti aspetti di una ocictà edonistica come la nostra, dove i I metro per valutare unapersonaèbasato. u ciò che si vededall'esterno. sull'apparire cioè. equesto e terno deve essere il più gradevole e perfetto possibile. Disapprovando ciò. però, non voglio neanche cadere nell'errore opposto, di disprezzare salute e bellezza fisica, che restano cose buone. Dirci che la cosa più fastidiosa è che venga fissato uno standard il cui raggiungimento è necessarioper godere dcli" approvazione sociale. E comunque resta il fatto che questaesaltazione del la perfc1.ionc fisica nasconde la rimo1ionc di problemi che hanno tutti. come la paura della deformità. la malattia. la vecchiaia e in ultimo la morte. E questo ovviamente va a pesare sui rapporti con ··categorie"' come gli handicappati, gli an1ia11i,i malati. Rapporti spesso imbara21.antie conflittuali. da rimuovere casomai, appunto per la pauradel "'potrebbe succedere a mc"'. "succederà anche a mc"'. Oppure ci si sente tenuti ad una solidarietà un po' pietista, paternalistica, un po' sgradevole per il destinatario. Ti vedo molto sereno. Mi sento come se ti volessi far parlare male di questa società e invece ... Da che cosa ti viene tanta serenità? E' una serenità con qualche incrinatura però. A volte sento un po' di rancore. Forse contro un modello di "intraprenden- ,-:a" in tutte le cose. Una certa serenità di fondo mi deriva sicuramente dal fatto della '·nascita". Non aver, cioè, mai subito un trauma violento. Poi sono sempre vissuto fra persone che mi hanno accettato e quindi non mi ~onomai sentito a disagio. Comincio forse ora a scoprire certe ~ituazioni in cui con gli altri sentodei problemi. Ma comunque tendo sempre a pensare che dipende da noi. Certo il limite oggettivo esiste, se una persona, per esempio, non riesce a muoversi, non riesce a muoversi. Però molto spessola capacità di affrontare una cosa dipende dalla capacità interiore di una persona. Se per esempio io non riesco in qualcosa potrei anche usare l'alibi della mia condizione, però tendo a non farlo. Arrivo sempre alla conclusione che sono io che non mi sono impegnato. che è colpa mia. "Usare l'alibi'' sarebbe più comodo. però io non credo tanto ai limiti esterni. Ceno, for e come handicappato sono un privilegiato, forse parlo così per questo. Ho l'impressione che il tuo handicap tu tenda a darlo per scontato e poi a ripartire di lì. Come se tu l'avessi... non so, neutralizzato ... No, neutralizzato ti assicuro di no. Non voglio. però, dare una visione di me '·eroica"', di uno che lotta. Da una parte potrebbeancheesserepiù gratificante presentarmi come unoche deve combaucrc, ma per mc non è così e 1101l1o dico. Senti, a proposito sempre di discoteca riparliamo dello "sguardo". A mc urta abbastanzal'approccio finalizzato solo a una conquista maschilista, però non c'è dubbio che nel corteggiamento. nell ·avvicinamento iniziale, lo sguardo è fondamentale per la comunicazione. Quindi nel mioeasoo non comunichi o "'passi subito alle parole"', che si può fare, ma è faticoso e anche rischioso senza la ·'preparazione·• dello sguardo... a volte può bastare uno sguardo per capire come si è con una persona. le "'parole subito"' possono essere anche shockanti. lo poi. anche per il mio carattere. devo vincere delle rcsistcn,c interiori. E poi non solo nel l'approccio lo sguardo è importante. Anche dopo restaun polente mcvo di comunica,-:ionc. E" immediato, spontaneo. La stessacosadetta a parole può perderci molto o risultare banale, pcrchè poi le parole bisogna anchecercarle e non sempre si trovano quelle giuS!C. Ma forse per mc c·è anche un altro problema: che mentre in tutti gli altri rapporti io mi sento normale, nel rapporto fra uomo e donna forse subisco un complesso inconscio. E' una cosa che ho pensato in questi giorni e di cui non sono sicuro. Che, cioè, questa mia paura di esprimermi a parole dipenda dalla paura sì, di non esserenormale, ma agli occhi del l'altro. Che, cioè, parlando, facendomi avanti, mi possa presentare all'improvviso a una ragazza in una dimensione che lei non si aspetta. Forse ad un handicappato non gli si riconosce una dimensione normale sul piano degli affetti. Quindi, poi, la pauradiventa quella di stupire, di imbarazzare. D'altra parte non voglio ascrivere sempre tutto aquella cosa. Chissà, forse avrei avuto gli stessi problemi con gli altri anche da "normale" ... Dello "sguardo" più in generale, è vero che gli aspetti negativi dello sguardo meli sono risparmiati. Ti faccio l'esempio banale degli esami, con Federico che mi dice che sono fortunato perchè non vedo la faccia del professore mentre sono lì che parlo, e se ti fa una faccia di disapprovazione non te ne accorgi e può essere un vamaggio ... non vedi le facce dei "giudici" nella vita ... e atto, chiaramente la paura della disapprovazione esiste, a volte può essereanche superiore, ma l'inibizione è più difficile. O per esempio, quello che diceva la signora al dibattito, di quando un handicappaLO, per la strada, si accorge che la gente si volta a guardare, credo che sia doloroso. E lo sguardo che ti rimanda uno specchio? Certo, in condizione di insoddisfazione per la propria vita lo specchio ti rimanda indietro un' immagine di come tu non vuoi es ere ed è uno strumenLodi autogiudizio molto forte. Oppure il fallo di non accettarsi fisicamente. lo ovviamente tutto questo capisco cosa può esere ma sfortunatamente o fortunatamente non so, non lo sperimento. Mi ricordo che da bambino mi piaceva molto stare davanti allo specchio, l'idea di vedermi rinesso mi piaceva molto, ma forse a tutti i bambini piace. La cecità ha sempre avuto un alone strano. Come se ci fosse un rispetto speciale ... Può essereche i I luogo comune ci sia. li cieco arti ta, il cieco professore, soprattutto il cieco musicista. E infatti... nel mio caso musici ta mediocre e quindi sfalcrci subito la leggenda... qualcosa può esserci. La preclusione della vista, di una forma fondamentale di comunicazione col mondo, può da unaparte far sviluppare l'interiorità e, dall'altra. gli altri mezzi di comunicazione. Ma credo che siano gli altri a vedere forse nella cecità un handicappiù nobile. in uncerto senso.Ci si può immaginare di stare su una sedia a rotelle, molto più difficile immaginarsi senzavista. E forse è per questo che ti considerano in modo diverso. Questo è verissimo. In particolare nel caso del cieco dalla nascita, a me risulta una cosa quasi impensabile. Se io ti dico "mare" non riesco a immaginare cosa tu hai in testa. lo per esempio la percezione del la natura ce l'ho molto. stare in un giardino. ascoltare gli uccelli, star di fronte al mare, mi piace molto. cerco di immaginarmi le cose ma non i colori pcrchè non ho proprio il concetto del colore. Quando devo spiegare aqualcuno questacondizione io dico che vedo in "'bianco e nero"'. anche se poi non so se il mio bianco e nero corrisponde al "'normale"' bianco e nero. Alla fine il rapporto col mondo viene affidato all'udito e al tatto che si sviluppano particolarmente. E ali' immagina1.ionc. Ma comunque resterà sempre un a~pctto di mistero, una sensazione difficile da descrivere, tipo ··altro mondo ... cose che so che ci sono ma che non vedrò mai. a cura di Cia1111Si apore/li '

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