Una città - anno I - n. 6 - ottobre 1991

" • " I UN LUSSO FARE A MENO DELLA POLITICA intervista a Maurizio Virali Maurizio Viroli, forlivese, trentanovenne, studioso di Gramsci, Machiavelli, Cicerone, da qualche anno vive negli Stati Uniti, dove insegna filosofia politica nella prestigiosa università di Princeton. Fin dal suo arrivo in America in stretto contatto con Michael Walzer, uno dei filosofiamericani più noti anche in Italia, Virolipartecipa attivamente al dibattito sulla politica che, attualmente, coinvolge gran parte dei filosofiamericani. Maurizio Viroli è anche un importante punto di collegamento fra i filosofi della politica italiani e quelli americani. Delle sue idee e delle sue proposte ci parla in questa intervista. Guardando alla storia della società americana si ha l'idea che quella sia una società che, tutto sommato, ha digerito i principi del liberalismo ed in cui il legame tra società politica e società civile appare stabilito. In Europa invece sempre più si assiste ad un distacco fra la società e l'ambito politico. In America si cominciano ad avvertire sintomi di una tale crisi? E in secondo luogo, come è possibile dare per acquisiti i valori del liberaJismo? Credo che nella società americana i valori del liberalismo siano ormai consolidati. Per quanto riguarda la comunità di studiosi di filosofia politica invece si assiste, almeno dalla fine degli anni '70, ad un forte movimento di critica nei confronti del liberalismo. Un movimento che ha preso il nome di "comunitarismo" e che designa filosofie tra loro abbastanza diverse, ma concordi su almeno un fatto: la teoria liberale non serve a costruire o a preservare una città dove si possa avere una vita normale. I nomi più noti sono Mclntyre, Sandel, Taylor. E' un movimento molto attivo che si esprime, oltre che nelle università, in giornali e riviste. E' una critica al liberalismo molto diversa dalla vecchia critica marxista, è una critica che si ispira ai bisogni della comunità, intesa in senso religioso, etico, morale. Per quanto riguarda il rapporto tra società civile e stato, in America è un rapporto abbastanza semplice, nel senso che la società civile è ricchissima, di stato ce n'è poco e gli americani ne vogliono sempre meno. Prendiamo il servizio sanitario nazionale, che in America non c'è. Anche gli americani potrebbero essere d'accordo sulla necessità di averlo, ma se questo significasse espansione dello stato non lo sarebbero più. La società civile, e questo è il frutto delle tradizioni liberali, vuole essere autosufficiente. Lo stato migliore è quello che si vede di meno. Però l'idea che dall'esterno ci si fa dello stato americano è quella di uno stato molto forte. chiede più tasse. Lo stato è il poliziotto, e lo rispettano e lo temono, è l'esercito, la bandiera, la Costituzione; è tutto lì e ci tengono, tant'è che bruciare la bandiera è un reato. La società civile è quindi enorme, differenziatissima, ricca, con ampie aree di solidarietà che si esprime, per esempio, nel volontariato. A Princeton esiste addiriuura un'agenzia di collocamento per volontari, ma è privata. Se questo stesso volontario dovesse pagare IO dollari di tasse in più per finanziare un ente pubblico non lo farebbe mai. E' questa una delle ragioni per cui i Repubblicani, Reagan, hanno vinto. Reagan diceva "noi siamo un common sense people". E qual' è il senso comune per un americano? E' che vuole sempre meno stato. Ma questa situazione non provoca unh accelerazione nella conflittualità che esiste, o può esistere, fra i vari gruppi? Non c'è il rischio di mettere in discussione il collante che tiene insieme tutta la società? a diventare completa. Si accontentano di essere incompleti. Sanno che non potranno mai diventare nazione come la Francia o l'ltalia. Molti filosofi comunitari invece insistono sul fatto che sarebbe necessario essere più che un coacervo di individui incompleti, di individui differenziati e sostengono che bisogna rafforzare i legami di comunità. Essi spingono i cittadini a non essere degli individui astraili, ma a sentirsi legati ad un storia particolare, ad una religione particolare. Dicono "se sei ebreo la vita affeuiva e morale è più ricca se tu sei dentro la tua comunità, se ne assimili il linguaggio, le tradizioni". Però io temo che questa sottolineatura che mettono sui valori di comunità porti acreare comunità così coese che diventano aggressive. Ma viene da pensare che non sia possibile, allo stato attuale delle cose, riuscire a ricondurre tutta la società americana ad una serie di comunità. Viene spontaneo pensare che poi ci dovrebbe essere un'ultima "comunità", che é quella di coloro che non amano una comunità particolare. Può essere che le cose siano talmente evolute che non si possono più ricondurre tutti gli individui a delle singole comunità. Bisogna stare attenti. Nella concezione comunitaria rigida l'uscire dalla comunità equivale alla morte morale, "extra ecclesia nulla salus"; i teorici classici del liberalismo, invece, fanno spesso l'ipotesi di un individuo astrailo, che non appartiene a nessuna comunità particolare. Ma sappiamo benissimo che, anche nelle società più liberali del mondo, gli individui appartengono ad una comunità, ognuno ha una sua comunità, che può essere quella etnica o la comunità culturale. La cosa importante è che nelle società liberali si è liberi di entrare e di uscire dalla comunità, di uscire da una cd entrare in un'altra. C'è una forte mobilità, che è geografica e culturale, ma anche religiosa. elle ciuà democratiche occidentali gli individui hanno acquisito degli stili di vita tali per cui è impossibile che si possano trasformare queste società in società coese; nessuno è disposto a mettere da parte le libertà liberali, anche se esse hanno dei preai alti. situazione traumatica come quella'? Il nazionalismo, secondo mc, è una passione come odio e amore. E le passioni si Lrattano in due modi: con la persuasione, con la parola, o con la forza. I nazionalisti sono spesso recalcitranti ad ascoltare e spesso ci vogliono soluzioni politiche, soluzioni militari. Per esempio, se la Comunità Europea dicesse a serbi e croati che è disposta a riconoscere la loro indipendenza, a patto che garantiscano il rispetto di certi principi di libertà anche alle minoranze interne, e fosse disposta anche ad imporre questa soluzione, si potrebbe forse evitare la guerra civile in Jugoslavia. E in Russia? I russi della repubblica federativa russa sono a loro volta un'etnia, una comunità in mezzo ad altre, quindi un'imposizione di una norma significherebbe automaticamente l'imposizione di una etnia, di una cultura. Allora qui non sarebbe più una imposizione di una norma di giustizia, di convivenza, sarebbe sicuramente un baluardo di oppressione. Bisogna distinguere l'uso della forza per imporre la giustizia, il rispetto della giustizia al recalcitrante, e l'uso della forza per imporre. lo mi ispiro al Machiavelli e non credo che in politica le parole bastino, purtroppo, sarebbe bello. Non bastano ìe parole, gli appelli; ci vogliono anche quelli, però, quando le passioni sono sfrenate, si può soltanto agire usando un'altra passione ugualmente forte, ed in questo caso la passione altrellanto forte che può scattare è la paura. Le cose che dici presuppongono un forte impegno civico e morale, sia da parte dei cittadini che da parte dei politici.Ma questo impegno, certo qui in Europa e forse anche in America, è sempre meno presente. Come filosofo della politica come pensi si possa rimediare a questo fatto? Io credo che il filosofo della politica debba essere il filosofo che sta nella città per cercare di far nascere, o di far crescere se c'è già, la coscienza civile. Che poi ci si riesca o si fallisca è un altro paio di maniche. In America è opinione comune fra i filosofi della politica che il loro compito sia quello di parlare ai ci1tadini e qualche volta la gente legge persino quel che i filosofi scrivono. Non possiamo permeuerci il lusso di fare a meno della politica. Non basta dire "la politica fa schifo, è solo corruzione, ricerca del potere e io me ne sto fuori"; questo è un lusso che ti potresti permcllere se altorno a te ci fosse un numero sufficiente di brave persone che fanno una politica seria, pulita. se la politica non la fanno le brave persone la fanno i cialtroni e i disonesti. La soluzione ai problemi della politica non sta quindi in un distacco da essa, in un rifiuto in nome della "società civile", ma nell'indicare, nel costruire un modo diverso di fare politica. Un modo che si proponga di costruire una buona ciffà sulla base dei migliori valori condivisi e degli aspeffi più ricchi della tradizione. Ma non è così: se la politica non la fanno delle brave persone la fanno i cialtroni o i disonesti. La soluzione ai problemi della politica non sta quindi in un distacco da essa, in un rifiuto in nome della "società civile", ma è nell'indicare, nel costruire, un modo diverso di fare politica. Un modo che si proponga di costruire una buona città sulla base dei migliori valori condivisi e degli aspeui più ricchi della tradizione. lo intendo questo modo di considerare la politica come necessariamente basata sulle "virtù civili, repubblicane". Basata cioè sui valori della tolleranza, della libertà personale, del rispetto dei diritti di tutti che sono emersi dalla tradizione liberale. E se il tuo paese non si comporta secondo questi criteri bisogna continuare a parlare ai cittadini cercando di far loro capire che sbagliano. Non vedo altra possibilità. Se vuoi la tua libertà individuale, se Lipreme il bene tuo e della tua famiglia e la tua città è dominata dai corrotti, dagli arroganti ti toccherà necessariamente o diventare complice o capire che devi fare qualcosa anche tu; devi sentire che ogni oppressione perpetrata minaccia anche la tua libertà. Ad esempio, Libero Grassi, a Palermo, chiedeva solo di esercitare i più banali diritti individuali dell'imprenditore, ma non l'ha potuto fare perché la cillà è corrotta. E questa è una cosa che colpisce tutti; compito del filosofo è di far comprendere queste cose ai cittadini e di indicare delle soluzioni possibili che possano essere desiderabili per tutti. In America si dice che in politica occorre "the vision", che non è un sogno astrailo, ma una immagine di come potrebbe essere in futuro la città a partire dagli elementi che già esistono e possono essere usati in modo costruttivo, contro la degenerazionedelle istituzioni. Si può criticare il modo in cui funzionano le istituzioni in Italia o in America, non basando i su dei principi astraili, masu quelli che sono i principi contenuti nella Costituzione italiana o in quella americana. Anche se abbiamo decine di migliaia di esempi di politici repellenti, quelli di cui Leon Battista Alberti diceva che "usano lo Stato, la Repubblica, come loro bottega", ci sono anche esempi concreti di politici che hanno belle e grandi "visions" e riescono, almeno in parte, a realizzarle. E' il caso di Gorbaciov, che ha una visione di come può diventare l'Unione Sovietica e ha cercato di realizzarla; o di Martin Luther ·King in America. Luther King, quando criticava I' aparthaid americano, si richiamava ai valori costituzionali e ai "padri fondatori" dicendo ali' establ ishment "voi negate dei principi sui quali dite che la società americana deve essere basata". Ecco perché la sua critica fu così efficace. Ai filosofi della politica italiani, che costruiscono delle teorie generali astratte, che parlano di "conversazioni filosofiche", io cito sempre l'esempio di Martin Luther King, che certo non era un filosofo accademico. Ma se io devo scegliere fra un filosofo accademico e una persona che parla come Luther King, io scelgo Martin Luther King. Non è impossibile che politici simili crescano nella società civile e si affermino; il fatto è che sono molto rari e non si sa quando vengano. Il caso di Martin L. IGng è esemplare. E' il caso di un uomo che si pone il problema della città giusta, che riesce a parlare alla città e in qualche modo emerge. Potrebbe essere un esempio di realizzazione pratica delle teorie politiche di Hannah Arendt, la quale teorizza che, se in qualche modo fossimo tutti filosofi, l'ambito politico riuscirebbe ad essere il momento in cui le cose vengono messe realmente in discussione, in cui ognuno potrebbe veramente essere libero ed in cui la società potrebbe rispecchiarsi rimanendone autonoma, quindi non cadendo nel pericolo dell'organicismo marxista o totalitario. Non vorrei essere con fuso con la Arendt, io lavoro per una concezione della politica per la quale valga la pena di impegnarsi, ma non ho una visione della politica così alta come quella della Arendt. Per la Arendt -che intende la politica come libera discussione tra diversi ed eguali, come l'espressione più alta della vita- la politica è l'attività in cui l'individuo realizza se stesso e con cui da un senso alla propria esistenza. lo credo che la politica, anche quella per la quale io sostengo valga la pena di impegnarsi, è un dovere estremamente costoso. E' un dovere che non dà una grande soddisfazione esistenziale, perché nella realtà "politica" significa anche avere a che fare con le passioni peggiori dell'uomo, con l'ambizione, con l'invidia. Non vedo nella politica l'attività che può dar senso alla tua vita. Dico però che non possiamo non farla; soprattutto se ci teniamo alla vita privata, a una vita privata ricca. Qui la mia differenza con la Arendt è profonda. Per la Arendt la vita privata è una forma inferiore di vita. Io non lo credo. lo credo che la vita privata, intesa come vita di relazione con la tua compagna, con i tuoi figli, nella tua professione, con gli amici, possa essere una sfera estremamente ricca. E proprio per poterla vivere bene hai bisogno di una comunità, di una città, bene ordinata e giusta. Per questo diventa necessario fare politica. Ma non vedo nella politica una attività che dia senso all'esistenza indipendentemente dai risultati. Per me è fondamentale il risultato; se attraverso una libera discussione tra diversi ed eguali noi approviamo una legge ingiusta non possiamo essere contenti. Il fatto che l'abbiamo raggiunta secondo i criteri che per la Arendl qualificano la politica, non mi consola affatto. Per me la politica è importante quando raggiunge il risultato di preservare, se già c'è, una buona città o di instaurarla, se non c'è. La Arendt si ispira ad Aristotele ed al mito della polis greca, io come punti di riferimento intellettuale ho i romani, il vecchio Cicerone e Machiavelli, che di tutti era quello che guardava di più ai risultati concreti. a cura di Paolo Bertoui, Franco Mela11dri,Gianni Sapore/li. ~ Tutta la scelta chevuoi 0Kllt:·~061 Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Vialede/l'Appennino1,63 - Forlì Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 Forte per quanto riguarda l'esercito, per quanto riguarda la politica estera; lo stato in fin dei conti è la Costituzione, la bandiera. Non esiste uno stato sociale nel senso europeo, uno stato che si prenda cura di tante cose quante sono quelle di cui si prende cura uno stato europeo. Quindi uno stato che fa poche cose, non gli si può chiedere di prendersi cura delle pensioni, della salute, dell'educazione. Come diceva Michael Walzer, al recente festival de "L'Unità" di Bologna, lo stato sociale americano è ridicolo a paragone di quello europeo. Una delle ragioni è che puoi convincere un ciuadino americano a dare dei soldi, e ne danno anche molti, al proprio gruppo -se sono ebrei li danno agli ebrei, se sono cattolici ai cattolici- ma non lo potresti mai convincere a votare perun partito che, per esempio, si batte per iIservizio sanitario nazionale e che quindi Bioi a Questo è il punto. Cos'è che tiene insieme l'America, cosa fa dell'America una nazione? Ci sono due risposte. Una dice, ed è la scuola dei pluralisti, che l'America è una nazione di nazioni, di gruppi, di etnie che non hanno tra loro legami, anzi spesso sono tra loro in connitto, tenute insieme dal sistema politico, cioè dalle leggi. Un'altra interpretazione è che l'America è una nazione come le altre, tenuta insieme da una cultura, dalla tradizione, dalla storia, da dei simboli. Secondo me l'America è una nazione incompleta, fatta di tanti gruppi, di tante etnie, di tante religioni. Chi è venuto in America non ha lasciato a casa il proprio retroterra culturale, non ha smesso di essere cinese, irlandese, italiano. Stando in America però, ,oprattuuo le ultime generazioni, hanno accettato tulli i principi politici cd economici del sistema, cambiando anche la propria cultura. Così il cinese non è più cinese come era prima, gli italoamericani non sono più italiani, sono italo-americani. Quindi direi che la verità stà in una visione più complessa. C è una nazione incompleta che, come dice Wal,:er, non ci tiene Come si spiega allora il nazionalismo che ha spazzato via il socialismo reale praticamente in tutto l'est europeo? Come può adattarsi il nazionalismo ad una logica liberale, soprattutto in una o 1an o UNA ClffA' 3

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==