Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

V:;;/ ~1:·~ -¼;jf/:11 ,/ ,.-:71-#'Jtr 0 X ~4 .• :;;: :,1; ?" ,/ '7 ).',:, -;:;; %}-·} ottobre LETTEREDA SARAJEVO. "Guardando il calendario oggi ho fatto il conto: tre anni, sei mesi, e venti giorni di guerra". Così inizia la lettera di Kanita Focak: forse suo figlio Faris, che non rivedrà più il padre, rivedrà presto il mare. In seconda, insieme a quella, molto amara, sul piano di pace americano, di Ozren Kebo. IL DIRITTO ALLA DIVERSITA' è quello che forse devono ancora capire le sinistre. Di certo le destre devono capire che liberalismo significa pari opportunità e culto delle regole. Intervista a Patrizio Bianchi, in terza. IL POTERE D'ACQUISTO è /'intervista a Heinrich Grandi, uno dei fondatori della Ctm, cooperativa senza fini di lucro che, praticando un commercio equo e solidale direttamente con produttori del Terzo Mondo, è ormai una realtà economica sul nostro mercato. In quarta e quinta. Viaggiare SOTTO IL CAMION è il modo scelto da Altin Musta, diciottenne albanese, per sbarcare in Italia e risalirla fino alla riviera adriatica. La vita di prima e quella sognata attraverso i 22 canali delle Tv italiane. In sesta e settima. RICORDANDO GRAZIA CHERCHI. // periodo dei Quaderni piacentini, con gli incontri, le amicizie, le lotte, la fatica materiale di una rivista autogestita. La dedizione alla "causa degli altri", restando se stessa, la generosità, il rigore nel fare anche lavori giornalistici anonimi, la sua capacità di un 'amicizia volta al fare. Il modo in cui ha affrontato la malattia e la morte. In interviste e interventi, i ricordi di Piergiorgio Bellocchio, Oreste Pivetta, Laila Romano, padre Comi/lo de Piaz e Adriano Sofri. In ottava, nona, decima e undicesima. IL PIANETA DEL DOLORE. Continuiamo la nostra inchiesta sul dolore e sulle terapie possibili. In questo numero William Raffaeli, de/l'Ospedale Infermi di Rimini ci spiega che ridurre il dolore, per difendere la dignità della persona, è la terza via fra accanimento terapeutico e eutanasia. La battaglia per ridurre le disabilità sarà quella del futuro. In dodicesima e tredicesima. LA SPAGNA E LA SIBERIA: /e idee di Kropotkin, che concepivano l'anarchismo come un ritorno a una natura basata, differentemente da quello che aveva pensato Darwin, sul mutuo appoggio, arrivarono fin nella Spagna del '36. Ce ne parla Franco Melandri. In quattordicesima e quindicesima. L'ASILO NIDO: ne/l'intervista a Anna Moreno, ingegnere all'Enea e madre di quattro figli, il problema di come conciliare professione e maternità. In ultima. E in copertina: 15 luglio 95, Vétan, Grazia Cherchi con Laila Romano. Bianco

• un mese I U ann Sarajevo, settembre 95. Guardando il calendario oggi ho fatto il conto: tre anni, sei mesi, e venti giorni di guerra. E' una giornata di sole, sembra un giorno di pace, una di quelle domeniche di tanto tempo fa con l'aria piena del profumo delle cose da mangiare. Ma oggi, per preparare il pranzo e il dolce, devo accendere un fuoco, come i primitivi, e questo mi ricorda che sono ancora detenuta nella grande prigione chiamata Sarajevo. C'è però una differenza fra un vero detenuto e me: lui sa perché è lì, qual è la sua pena, quando uscirà. lo no. Ma a costo di apparire pazza, io preferisco rimanere. Solo qui posso sentirmi a casa. In qualunque altro luogo sarei un'ospite o una profuga e quel tipo di vita mi terrorizza come l'impossibilità di non tornare a casa mia. In tutto questo tempo la mia casa è stata la mia vita, il mio nido, il luogo dove rifugiarmi. Anche prima della guerra era così. Ogni muro porta le tracce dei momenti felici e di quelli orribili della mia vita. Anche il buco provocato dalla pallottola che ha ucciso mio marito è ancora lì: non è stato riparato, ma solo coperto con lo specchio della nonna. Sono passati tre anni e mezzo dalla morte di mio marito. Non vado spesso al cimitero, ma ogni volta che mi affaccio alla finestra vedo la collina dove è sepolto. Qui, in casa, forse c'è ancora il suo fantasma. Cerco di vivere normalmente, non ho il tempo di piangere, però ogni volta che preparo da mangiare o sistemo qualcosa in casa penso a lui, penso se gli piacerebbe ... Nostro figlio assomiglia sempre di più a lui. Ha sei anni e mezzo e si sente già responsabile verso di me e verso la casa. Ieri è tornato, dopo aver giocato con i suoi amici, e mi ha portato una nuova "ricetta" per fare il bucato. Quando gli ho chiesto come fa a sapere queste cose, mi ha risposto che le ha ascoltate dalle donne che stavano tornando dall'aver lavato i panni. Mi porta ogni pezzo di legno che trova e che può servire per il fuoco. Gli manca tantissimo suo padre e cerca di trovarne un altro. Povero figlio, non può capire che nessuno potrà mai più essere suo padre. Perché possa nascere un rapporto simile ci vorrà tanto amore e comprensione, ma non credo che succederà. Temo che soffrirà ancor più di quanto non gli succeda ora. Mi ha chiesto tante volte perché suo padre è morto e perché questa è stata la volontà di Dio. Domande senza risposta. Adesso passa un sacco di tempo col nonno, mio padre. Ha tanto bisogno della compagnia di un uomo, del suo lavoro, dei suoi discorsi. Insieme costruiscono oggetti e riparano giocattoli. Mio padre trova nel nipote il senso della propria vita attuale. Quando morì mio marito, perse trenta chili e temetti che sarebbe morto dal dispiacere. Aveva dato tutta la sua vita per il lavoro: era un colonnello, comandante dell'Istituto militare geografico. Un giorno mi ha confessato di essere terribilmente dispiaciuto che le mappe e le carte prodotte dal suo istituto fossero così ben fatte, perché ora sono in mano al nemico e grazie ad esse i cetnici possono bombardare con precisione qualunque cosa. I luoghi dove amava andare a caccia sono nelle montagne controllate dai cetnici, i suoi splendidi fucili sono stati consegnati al nostro esercito per difenderci nei primi mesi dell'aggressione, quando non c'erano armi. L'esercito federale, che lui aveva servito per tutta la vita, aveva cominciato a sparare contro di noi. Prima della guerra aveva abbastanza soldi per concedersi insieme a mia mamma una vita bella e confortevole. Aveva tutto in banca, perché aveva una fiducia cieca nello Stato e nel governo jugoslavi. Naturalmente ha perso tutto. Ora il governo di Bosnia non ha i soldi per pagare le pensioni e riceviamo qualche aiuto da parenti che vivono in Croazia. Mio padre non si sente a suo agio, non gli piace vivere alle spalle di altri e si domanda cosa succederà quando si stancheranno di noi e dei nostri problemi. Mi sento responsabile nei confronti dei miei genitori come se fossero loro miei figli e non io la loro. Faccio ogni lavoro per aiutare la mia famiglia. Non ho mai avuto paura di lavorare, ma ora mi sento stanca di tutto. Questi ultimi tre mesi mi hanno quasi distrutto i nervi. Quando hanno ricominciato a bombardare la città ogni giorno, ho inaspettatamente avuto paura come mai prima. L'allarme suonava più volte al giorno per avvertire la popolazione di stare attenta. Quel rumore di sirene era terribile... Faris era più impaurito dalle sirene che dalle detonazioni. Ogni giorno le granate esplodevano sempre più vicino alla casa, era sempre più pericoloso. Ho tentato di dormire in cantina, ma era troppo freddo e umido. Siamo tornati nella nostra camera, sui materassi stesi a terra e ho pregato ogni sera che Dio ci salvasse. Mi addormentavo con la paura e mi svegliavo con la paura, però ero felice che per un'altra notte la nostra casa fosse stata risparmiata e mio figlio fosse ancora qui con me e nessuno fosse stato colpito. Un giorno fu orribile. Stavo preparando la cena in cucina quando cadde una granata di fronte alla nostra casa. Tutte le finestre andarono in pezzi, il fumo e la polvere invasero ogni cosa, Faris cominciò a piangere e mentre tentavo di portarlo in un luogo più sicuro cadde un'altra granata proprio dietro la casa. Mi sembrava di impazzire. Pochi giorni dopo, avevo appena pulito ogni cosa in casa, due granate furono sparate in direzione della nostra porta d'ingresso, ma la riva del fiume ci ha salvato. In vita mia non ho mai avuto tanta paura. Ho cominciato a perdere la speranza e l'ottimismo. Poi è iniziato un periodo di relativa pace, anche se ogni giorno qualcuno veniva ucciso dai cecchini o da una granata. Un giorno mia madre, una donna davvero sensibile, non è riuscita ad alzarsi dal letto. Era come morta, tutti i suoi riflessi erano paralizzati. Andai a trovarla con una mia amica neurologa che la visitò: non era un attacco cerebrale, né c'erano sintomi anormali, tranne che mia madre non si muoveva. Se non l'avesse visto con i suoi occhi, disse, non ci avrebbe creduto. Mia madre passò alcuni giorni in queste condizioni e poi all'improvviso si alzò dal letto e riprese la sua vita di prima. Il dottore disse che i suoi nervi non avevano resistito allo shock dei continui bombardamenti e alla paura per la famiglia, in particolare per il nipotino. Nonostante tutto ciò ho continuato con le mie lezioni di italiano e sono andata a cantare nel coro due o tre volte alla settimana. Proprio tornando a casa dalla mia lezione di italiano, in un meraviglioso giorno di sole, ho incontrato il figlio della nostra cara poetessa Dara Sekulic, che aveva vissuto molti anni col pittore Ibrahim Ljubovich. Ho parlato un po' con Neno a proposito della morte di Ibrahim, che lui amava come un padre e poi mi sono avviata al mercato per cercare un po' di verdura. Non so perché, ma all'improvviso ho cambiato idea e sono andata dritta a casa. Del resto non ho molti soldi e devo sempre pensarci bene prima di spenderne, forse è stata questa la ragione che mi ha spinta a tornare a casa senza passare dal mercato. Ero appena arrivata che si è udita una tremenda esplosione. Non capivo, ma la gente che correva per la strada mi diceva che avevano colpito in pieno il mercato e che c'erano tanti morti e feriti. Sono scoppiata a piangere, ero viva ma mi sentivo come se qualcuno mi avesse tagliato le gambe. Dentro di me sentivo finite tutte le speranze. Ho chiamato i miei genitori per rassicurarli eper sapere se mia sorella era a casa. I miei amici dall'Italia mi hanno chiamato immediatamente per sapere se ero viva e in quel momento sapere che qualcuno si preoccupava di me è stato più che importante ... Poi s'è saputo che l'Onu aveva deciso di bombardare le postazioni dei cetnici, ma non credevo che l'avrebbero fatto. Siamo stati traditi così tante volte in questa guerra ... abbiamo sperato così tante volte che qualcuno ci avrebbe aiutato che ormai non ci aspettiamo più niente. Ma quella notte sono stata svegliata da una strana sensazione e da strani rumori. Erano rumori di aerei e bombe, ma stavolta non erano per noi. Ho capito cosa stava succedendo e me ne sono tornata a dormire. Al mattino ho tentato di spiegare a Faris cosa stava accadendo, e lui mi ha detto che era morto di paura perché credeva che stessero bombardando la nostra città e che per noi fosse finita. Quando ha realizzato ciò che gli stavo dicendo, gli occhi gli si sono illuminati e un sorriso gli ha riempito la bocca: "Finalmente, e che bombardino pure la nostra casa in montagna per cacciare i cetnici! Quando sarò grande ne costruirò un'altra!" Non ho piacere che muoia nessuno e la stessa cosa pensa mio figlio, vogliamo solo che finisca questa guerra e sento che questa volta ci siamo. Anche se siamo ancora intrappolati in una città senz'acqua, gas e luce. Solo i prezzi del mercato sono un po' più bassi di prima. Ma la gente, la maggior parte almeno, continua a non avere i soldi per comperare. Faris sogna la fine della guerra e non vede l'ora di poter andare al mare e incontrare suo cuginetto Ivo. Quando l'inverno era verso la fine, ho sperato in una bella primavera. Non abbiamo avuto né la primavera né l'estate. Anche il caro Dio ci ha mandato ogni giorno la pioggia, forse per lavare il sangue. Non abbiamo avuto neanche un giorno per fare una passeggiata, ma forse dopo l'autunno verrà un be/l'inverno pieno di pace. Kanita Focak o SARAJEVO, SEffEMBRE 95 Fra i graffiti di guerra sui muri di Sarajevo si legge: "L'Europa è stata bocciata, e noi prendiamo l'insufficienza". Questa sottile battuta, che concentra così bene in una frase il rapporto della comunità europea con la tragedia bosniaca e sarajevese. oggi non basta a spiegare il rapporto fra gli Stati Uniti e la nostra situazione. L·Europa ha assistito passivamente alla sofferenza della Bosnia, aiutando in questo modo l'aggres~ione serba. Ma gli Stati Uniti qra hanno intenzione di legalizzare, con il loro piano di pace, tutto ciò che i serbi hanno commesso e passare all'archivio il problema Bosnia. I veri vincitori in questo piano di pace per la Bosnia che si è appena cominciato a costruire sono Clinton. Milosevic, Karadzic. Il presidente americano entra nella battaglia elettorale per le presidenziali americane senza quella pesante zavorra appesa al collo. Invece di essere i suoi avversari a rinfacciargli la Bosnia. ora sarà lui a sventolarla contro di loro come un grande successo della sua amministrazione. Il presidente serbo. dopo i negoziati di Ginevra, ha occupato per quarantacinque minuti la tv di Belgrado. ricevendo complimenti per l"affare ben concluso da tutti. dall'associazione dei pensionati di Jagodina fino ali"associazione dei disoccupati di Smedcrevo. Sta portando a compimento questa finta evoluzione da criminale di guerra a beato costruttore di pace. Karadzic ha visto nientemeno che gli Stati Uniti hanno riconosciuto il suo legittimo mostro. la repubblica serba di Bosnia. E adesso, davanti a tutti -davanti alla comunità internazionale, davanti ai serbi. davanti ai suoi stessi figli- può dire: "avevo un motivo per essere un criminale di guerra1"'Adesso tutti i massacri, gli esodi. gli stupri. i campi di concentramento sono giustificati. Questi sono i vincitori. Gli sconfitti sono ammassati dentro il cerchio serbo. L'intera Bosnia Erzegovina è ridotta ad una zona protetta. ristretta fra Serbia e Croazia. Una zona a cui la comunità internazionale non lascia molte strade per il futuro: o si scioglierà nella Croazia, scomparendo in un modo un po· più civile di come le stava accadendo. o si arrenderà ai suoi vicini per essere brutalmente smcmbrata. ASarajevo sono echeggiati i risultati dei negoziati di Ginevra e dolore e amarezza sono i due sentimenti dominanti. Tre anni di tragedia hanno lasciato tracce profonde nella popolazione: è difficile da sopportare l'idea di vivere vicino allo stato di Karadzic. Probabilmente quest'ondata di emozioni non consente ancora a tutti di vedere bene cos'altro porta con sé questo piano di pace. La più grande trappola è lo stato. nel senso di sistemazione, di Sarajevo. Di questo ancora nessuno parla. ma gli osservatori più attenti noteranno che il piano americano prevede r apertura di un corridoio per Sarajevo. Qui sta la trappola più grossa. perché l'apertura di un corridoio altro non significa che la città rimarrà com'è adesso -divisa. con Trebevic. Grbavica, Yrace. una parte di Dobrinja. llidza occupate dal nemico. Il corridoio andrà verso Yisoko passando da Rajlovac ed Ilijas. L· insostenibilità di una tale proposta non risiede nel fatto che un viaggiatore che parta per il sud. per Mostar. debba andare per trenta km a nord. poi una decina verso ovest a Kiseljak e infine verso sud. L"insostenibilitàè dovuta al fatto che le postazioni serbe rimangono dov·erano fino adoggi. Questo significa in pratica che il confine della Serbia è al fiume Miljacka. al ponte di Bratstvo Jedinstvo. che i cecchini serbi rimangono ancora sui grattacieli di Grbavica. nel cimitero ebraico. sui pendii di Trcbevic. In questo modo le uccisioni non cesseranno mai. Ogni volta che un macho serbo di Pale sarà sconfitto nel suo sport preferito -il lancio della pietra come sfida fra coetanei- verrà a Grbavica a sfogarsi nel tiro a segno su qualche bambino. Hanno fatto così fino ad oggi e il piano americano lascia loro la po. sibilità di continuare così per i prossimi 400 anni. Clinton ha così tanta fretta di chiudere il caso Bosnia che non gli interes- . a la qualità dciraccordo. ma solo la velocità con la quale sarà concluso. E in questa fretta c·è anche la piccola chance per la Bosnia. In questi tre anni e mezzo di guerra il mondo ha dimostrato. per nostra sfortuna, un grande rispetto per il metodo serbo di comportamento politico: mantenere le proprie posizioni senza cedere mai un miilimetro. Ogni volta che i serbi si sono comportati così l'Europa s'è piegata e loro hanno ottenuto tutto quello che volevano. La vera intenzione iniziale americana era di concedere alla repubblica serba la possibilità di federarsi in qualche modo alla Serbia. Quando i dirigenti bosniaci hanno respinto con decisione questa possibilità, l'idea è stata abbandonata. Per consolare i serbi allora gli è stata promessa Gorazde, in cambio di Sarajevo. Quando lzetbegovic ha dichiarato che se sarà necessario combatteremo per altri 15 anni, ma Gorazde non sarà mai venduta, anche quest· ideaè statacancellata da11·agenda. Adesso gli Usa non hanno più niente da offrire ai serbi in cambio dei quartieri occupati di Sarajevo e il destino della città è pieno di interrogativi. Per questo Izetbegovic dovrà ripetere per la terza volta il modello serbo di comportamento e nel modo più convincente: non daremo Sarajevo neanche se dovessimo combattere per altri trent"anni! A questo punto rimane da porsi una domanda: cosa c·è dietro i bombardamenti della Nato sulle postazioni serbe? A Sarajevo è sempre più diffusa la convinzione che si tratti di un compromesso: i bosniaci hanno chiesto di togliere l"embargo sulle armi. questo non è stato concesso, ma in cambio hanno ridotto la potenza sul terreno dei serbi. Così ora i bosniaci. peggio armati. ma più numerosi e meglio motivati saranno ingrado di combattere per il piano americano. Perché la proporzione 51 a 49 non è cosa da ottenere col negoziato. ma sul campo. L'armata bosniaca dovrà guadagnarsela combattendo. E infatti sta succedendo una cosa interessante: i nostri soldati ci dicono che i serbi stanno coprendo le trincee intorno a Sarajevo perché non sono più in grado di respingere le nostre offensive essendo ora senza l'artiglieria pesante. Edi notte, inquelle conversazioni che da sempre avvengono da trincea a trincea, i serbi gridano ai bosniaci:""Balije. non attaccateci, non dobbiamo morire né noi né voi. Tutto questo sarà comunque vostro fra venti giorni.'" Noi stiamo aspettando. O::,renKebo

Mercato non vuol dire assenza di regole, ma opportunità uguali per tutti. Il monopolista non è inefficiente, è nemico della democrazia. L'indissolubilità di molteplicità economica e politica. L'efficienza di un mercato è data dalla complementarietà. Quando le privatizzazioni dei servizi possono funzionare. L'esempio della Thatcher. La sinistra non è abituata a pensare che uguaglianza significa diversità. Intervista a Patrizio Bianchi. rio. Questa è una discriminante rilevante: la quantità di beni pubblici che noi scegliamo di tutelare e il come, determina il tipo di società che noi vogliamo e che immaginiamo. Se pensiamo alla rilevanza in termini economici anche personali di una scelta di tipo americano sulla sanità, capite che è uno stimolo straordinario a lavorare anche la notte pur di garantire la sicurezza della propria famiglia: tutto ciò è estremamente coerente con le teorie della destra. Dall'altra parte si dice: "no, non possiamo vincolare i diritti di uno che deve venire al mondo con le capacità di spesa di quelli che già ci sono". Si tratta di due concetti entrambi ragionevoli, ma alternativi. Parliamo di stato sociale. Oltre il privato e il pubblico, si può immaginare un terzo soggetto? Noi dobbiamo trovare a livello locale o nazionale una normativa che permetta la nascita di associazioni temporanee per poter gestire situazioni specifiche. Patrizio Bianchi è professore ordinario di Economia e Finanze della Cee presso l'Università di Bologna. E' presidente di Nomisma. Esiste un rapporto coerente tra la tendenza delle strutture economiche alla concentrazione, a diventare sempre più grandi, assumendo posizioni dominanti nel mercato, e la necessità di garantire la libera concorrenza, quindi la pluralità dei soggetti? Innanzitutto non è vero che dimensione si colleghi ad efficienza. Ci sono tantissimi studi sugli Stati Uniti della prima metà del secolo che dimostrano come le imprese crescano ma non per diventare più efficienti. Il più delle volte crescono per riempire un buco, cioè per fare in modo che non rimanga più nessuno spazio per nuove entrate. D'altra parte in tutta la storia, dal Seicento in avanti, si evidenziano due tendenze fra loro contraddittorie, ma anche necessarie una all'altra: da una parte si consolida una società di mercato in cui uno può intraprendere delle iniziative partendo dalle proprie capacità e non dalla propria posizione sociale. (Il concetto di mercato è proprio questo: una struttura sociale in cui prescindendo da chi sia il proprio padre o il proprio nonno, quindi dal posizionamento sociale, si ha il diritto di potersi affermare. Perciò la concorrenza è libera: perché è libera dai vincoli feudali). D'altra parte, proprio mentre veniva meno la regola feudale, si poneva fortissimo il problema di una regola di mercato. Fin dai suoi albori, cioè, era chiaro che il mercato non era assenza di regole, ma si fondava, e si fonda, sul principio che tutti siano nelle condizioni di poter affermare le proprie capacità. Quando qualcuno, in virtù della propria posizione, della propria dimensione blocca gli altri, blocca il mercato e ristabilisce una condizione "feudale". Negli Stati Uniti, primo paese a emanarla, nel 1890, la legge antitrust fu promulgata per fermare Rockfeller che di fatto stava concentrando tutta l'estrazione di petrolio nelle sue mani. Questo era considerato negativo perché, appunto, minava l'idea di una società basata sulla libertà dei singoli, abbassando, anche, l'efficienza stessa del mercato. Ma secondo me, rispetto anche ai dibattiti in corso, va ribadito che le regole del mercato, prima di essere importanti in materia di efficienza economica, sono importanti in materia di efficienza democratica: il concetto di mercato è che il singolo ha diritto di esprimere le proprie capacità per cui ogni volta che un altro con la propria azione lo vincola, fa venire meno un principio di democrazia. Per questo l'idea di molteplicità economica e l'idea di molteplicità politica sono così intrecciate: non ci può essere contrapposizione fra molteplicità economica e diritto di impresa e democrazia. Se viene meno una viene meno l'altra. Allora nel dibattito attuale, io non ho nessun dubbio che c'è sicuramente un problema di molteplicità e, quindi, tanto più un settore è cruciale per la molteplicità tanto più deve essere regolato. Lo ripeto: questo è chiarissimo non da ora ma dal Seicento in poi. Tutte le volte che al potere dello Stato si è sostituito il potere monopolista si è trattato di un fatto autoritario, lontano dal mercato e dalla democrazia. Chiunque vada alle radici del pensiero liberale, non liberista, scopre che da quando questo si afferma, alla fine del Settecento, esso si basa su un principio tutto politico, presente nelle parole chiave della Rivoluzione francese: la libertà è un fatto individuale ma la libertà funziona se tutti l'hanno e se un criterio di fraternità ne legittima l'azione individuale. Quindi non è il mercato che detta le proprie regole? No, iImercato non è un'entità astratta, il mercato è l'insieme dei soggetti che devono interagire in maniera libera. E i soggetti sono sostanzialmente delle persone, delle imprese, che interagendo tra loro definiscono sì, delle regole, dopodiché, però, le regole vanno fissate in modo da tutelare tutti, sia chi è presente nel mercato sia coloro che non sono presenti in quel momento. Faccio un esempio: se noi facessimo una regola per cui stabiliamo che hanno dei diritti soltanto i qui presenti, questa non sarebbe una regola di mercato, sarebbe semplicemente un accordo di cartello. Perché la Mammì non funziona? Perché in quel momento non hanno fatto una regola per le televisioni, hanno semplicemente ratificato l'esistente. Ma così non si fissano le regole, perché il diritto è tale a prescindere da chi in quel momento lo esercita. Questo è un principio alla base della democrazia, alla base del concetto stesso di diritto positivo. Per questo il ragionare di mercato è così importante oggi, perché vuol dire ragionare di democrazia. Ma c'è tutta una corrente di pensiero liberista, riemersa negli ultimi vent'anni, che pensa che il mercato abbia in sé un meccanismo autoregolatore ... Io ho forti dubbi su una interpretazione del liberismo che sostanzialmente immagina che non ci debbano essere né regole né ruoli di legittimazione politica. All'origine di questo discorso, c'è il concetto di Adam Smith della "mano invisibile": ognuno agendo per se stesso agisce per il meglio di tutti. Ebbene, i neoliberisti di oggi omettono di ricordare che lo stesso Smith pone contemporaneamente tali e tante limitazioni affinché questo meccanismo funzioni che riesce molto difficile paragonare le sue tesi alle loro. Smith fa un discorso ferocissimo contro il monopolio. E' in Smith il concetto secondo cui ognuno, libero di agire per il proprio interesse e combinandosi con l'azione degli altri, determina un'azione collettiva che alla fine è la più virtuosa, però è altrettanto suo il concetto che alcune funzioni debbano essere pubbliche, come l'ordine pubblico, la giustizia e tutto ciò che serve per poter partecipare all'azione collettiva. Quindi capacità e diritto sono inscindibili? Secondo Smith il mercato per funzionare ha bisogno di molteplicità, la molteplicità di partecipazione e la partecipazione implica necessariamente diritto e capacità. Laddove non c'è diritto o non c'è capacità non c'è mercato. Il problema di molti paesi in via di sviluppo non è quello di ridurre il loro costo del lavoro per attrarre capitali, ma di creare condizioni per sviluppare internamente le proprie capacità. Ma questo dovrebbe essere evidente: può esserci il diritto formale di fare qualche cosa, che però non viene esercitato per assenza di capacità o anche di interesse a farlo. Smith sottolineava come la scuola fosse un bene pubblico e dovesse essere gestita dallo Stato proprio per questo motivo. Naturalmente, nell'altro caso, quello in cui la gente ha delle capacità ma non ha diritti, c'è una crisi dal punto di vista politico: il sistema politico non è più in grado di sostenere il frutto economico. Ho l'impressione che lei veda i problemi più dal lato politico, mentre i liberisti vedono nel politico, in particolare nello Stato, il problema principale ... Trovo totalmente pretestuoso questo ritorno liberista perché tutti coloro che dicono di essere liberali o liberisti -io personalmente non sono né liberale né liberista- dimenticano o vogliono dimenticare la straordinaria complessità del ragionamento liberale. Anche il principio dell'individualismo, che è alla base del pensiero liberale, non vuol dire che non c'è lo Stato, ma vuol dire che c'è uno Stato che mette in condizione i singoli di poter agire liberamente. Ma da qui a pensare che ciò implichi la distruzione dello Stato, delle regole, ce ne passa. In realtà questa operazione ha sempre covato, dentro di sé. i germi del!' autoritarismo: chi in quel momento controllava la situazione voleva negare la Iibertà agi i altri. Oggi in Italia nessuno ha dubbi che ci sia bisogno di riaffermare l'idea -ma si era mai sviluppata?- di una società di mercato, ossia di una condizione in cui i singoli possono Abbonamento ordinario a 10 numeri di UNA CITTA': 40000 lire. Abbonamento sostenitore: 100.000 lire. Abbonamento estero: 60000 lire. avere diritto ad esprimere le proprie capacità e che, per fare questo, sia necessario fare una profonda riflessione sul ruolo dello Stato. Ma che questo si possa fare appaltando lo Stato ad un gruppo di monopolisti autoritari, lo trovo assolutamente inaccettabile. Fosse pure una soluzione di efficienza, e io non lo credo, la penso come Smith: il monopolista è deleterio non perché inefficiente, ma perché è un autentico nemico della democrazia. Il criterio dell'efficienza tuttavia viene sbandierato alquanto e già questo è preoccupante ... In ogni caso dell'efficienza del monopolista, per il solo fatto che non si confronta con altri ad armi pari, non abbiamo la controprova. La presunzione di efficienza è inaccettabile. Ma non mi stancherò di ripetere questo principio liberale, insegnatoci da Adam Smith che non era un comunista: se anche l'efficienza fosse dimostrata, comunque sarebbe inaccettabile perché blocca l'entrata di altri, e, bloccando l'entrata di altri, sostituendosi ad un regime di interazione, detta una regola di tipo autoritario. Detto questo, non c'è dubbio che tornare a ragionare sullo Stato è il problema di fondo. Noi abbiamo ereditato dal passato una struttura amministrativa centrale di derivazione napoleonica per un verso e prussiana per l'altro, ossia un apparato amministrativo gestito in termini militari, con una fortissima ripartizione di compiti, che aveva la funzione di sostituirsi ai comportamenti individuali nella supposizione che gli individui non fossero in grado di raggiungere comportamenti socialmente sostenibili. Ora, il concetto di Stato nazionale è da tempo in crisi. Da una parte perché in un'economia aperta, in una società aperta esistono sempre e solo sovranità limitate: c'è la Comunità Europea, ci sono gli altri paesi, c'è la borsa di Londra. I comportamenti dello Stato, per quanto importanti, sono limitati perché a livello sovranazionale ci sono fatti che sfuggono. Si pensi a come l'andamento della lira costringa il governo a fare delle scelte di tipo reattivo. Dall'altra parte, le spinte centrifughe non sono più azionate dagli sconfitti che vogliono sfuggire alla omogeneizzazione nazionale. Tradizionalmente, infatti, i movimenti indipendentisti erano fatti di poveri, di marginali. Il fatto più rilevante degli ultimi anni è che gli indipendentisti odierni sono i catalani, i fiamminghi, i lombardi ... Insomma sono i più ricchi a non voler più pagare per la situazione. Questo dimostra che un meccanismo basato solo su un federalismo compensativo, non funziona più. Tutta la le11eratura di ingegneria amministrativa del traCc. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., via L Ariosto 27, 47100 Forlì. Oppure tramite bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 intestato alla Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale. Una copia: 5000 lire. A richiesta copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. sferimento incrociato di risorse non funziona più. L'economia si è internazionalizzata, ci sono reazioni regionaliste, quale diventa un teatro adeguato per la politica, più che mai necessaria in una situazione mondiale come quella di oggi? Questo è il vero problema. Tutto il dibattito che oggi viene fatto, e che in gergo si chiama bottom-up, cioè le politiche dal basso, nasce proprio da qui: qual è il livello di legittimazione minimo per cui è possibile ripartire per fare politica? Perché in tutti i paesi del mondo c'è stata questa esplosione di regionalismo? Tanto più il livello nazionale diventa sempre più incapace di comporre i conflitti tanto più si ha bisogno di ripartire dal basso. E il partire dal basso diventa pericoloso perché rischia di essere il conflitto di tutti contro tutti, ma diventa nello stesso tempo straordinariamente utile e, nella sinistra, assolutamente necessario, perché obbliga a ragionare non più in termini di omogeneità, di uguaglianza per omogeneità, ma in termini di uguaglianza per complementarietà di diversi. La sinistra, infatti, non è abituata a ragionare sul fatto che I' uguaglianza non implica che siamo tutti uguali, ma che ognuno è diverso, e ha il diritto di essere diverso. Proprio in ragione di tale diversità si può lavorare assieme, perché si è complementari. Quando si parla di mercato se ne parla sempre come se tutti fossero contro tutti, invece l'efficienza del mercato dipende proprio dalla possibilità di essere diversi e quindi complementari. La specializzazione richiede complementarietà: io faccio un lavoro perché sono sicuro che lui ne farà un altro, diverso ma complementare al mio: Occorre rispiegare cosa vuol dire libertà oggi, cosa vuol dire ugµaglianza oggi, cosa vuol dire fraternità oggi, tentando di capire quali sono i diritti dei singoli. Questo implica, ad esempio, una fortissima riflessione sul ruolo del1'amministrazione locale, dei governi regionali, del governo nazionale. E implica una rinnovata attenzione ai beni pubblici, quelli, cioè, che i cittadini possono avere in base al principio di non esclusione. E direi che è su questo che poi oggi si fa la differenza fra destra e sinistra, chiunque sia al governo. Per esempio, non è detto che tutta la sanità sia un bene pubblico, ci sono attività che possono essere benissimo private. La difesa della maternità è un bene pubblico, ma noi possiamo stabilire che non lo sia, per esempio negli Stati Uniti non lo è; possiamo stabilire che anziché fare uno stadio, facciamo una clinica per far partorire tutti coloro che sono cittadini, oppure che sono solo "presenti" sul territoPer esempio a livello locale i comuni non avranno più nessuna possibilità di gestire alcuni servizi alla cittadinanza come i giardini pubblici e, forse, gli asili. Le alternative sono diverse: una è la privatizzazione, cioè trovare qualcuno che li gestisca; un'altra è trovare meccanismi per cui coloro che ne usufruiscono compartecipino alla gestione. Nel caso dell'asilo, possiamo anche immaginare che l'asilo divenga una sorta di s.p.a. di cui posso comprare un'azione: se ho un figi io, compro una quota, sto nel C.d.A. per gestire l'asilo e poi mi rivendo la quota. Questo può anche funzionare, ma il limite è che può funzionare in un posto dove la struttura sociale è già talmente forte da poter fare anche a meno di una soluzione simile: se a Ferrara, per esempio, il mio asilo, anziché farmelo gestire dal Comune, lo gestisco in prima persona tramite un comitato, va bene. Ma dove la società è talmente debole che non è in grado di autorganizzarsi, come faccio? ., Una tale soluzione funzionerebbe, cioè, in società nelle quali esiste una forte identità, con un forte senso di sé, con una forte capacità di autorganizzarsi: in Emilia, nelle Marche, nella Toscana, ma già in Lombardia per esempio è più difficile, non dico in Calabria. Quindi il problema è come fare a mettere tutti in condizione di arrivare al punto di autorganizzarsi? Qui, effettivamente, il binomio sinistra-innovatrice, destra-conservatrice non regge più. Pensiamo all'Inghilterra dove la Thatcher è stata fortemente innovatrice, non si è limitata a conservare, ha fortemente inciso sulla struttura sociale: per esempio il meccanismo di fortissima destata1izzazione dell'economia è stato portato avanti con una quantità di regole molto rigide sul comportamento dei singoli. A conferma che tutto il processo di deregolamentazione lo fai riregolamentando, senza abbandonare al primo che arriva la legittimazione dell'azione pubblica. Il caso più eclatante è il dibattito sulle televisioni, sono 15 anni che il Parlamento inglese legifera in materia di televisioni in una maniera talmente restrittiva da far invidia in Italia a Rifondazione comunista ... Non puoi volere molteplicità e di fatto attribuire un potere di monopolio. Deregolamentazione non è abbandono della legge, ma è formulare l'azione ed il ruolo della legge in maniera diversa. E questo, sì, dovrebbe vedere la sinistra come l'interprete principale del cambiamento. - La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti. Franco Melandri. Gianni Saporetti. Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Masselli, Franco Melandri, Morena Mordenti. Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Hannocollaborato: Edoardo Albina ti. Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giovanna Anceschi, Giorgio Bacchin, Carlo Bellini. Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci, Vincenzo Bugliani, Dolores David. Kanita Focak, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Gianluca Manzi, Carla Melazzini, Gabi Micie. Lejla Music, Ozren Kebo, Oreste Pivetta, Linda Prati, Carlo Poletti, Stefano Ricci, Rocco Ronchi, don Sergio Sala, Sulamit Schneider. Adriano Sofri. Interviste: A Patrizio Bianchi. Paolo Bertozzi. A Nicoletta Arena e Heinrich Grandi. Gianni Saporetti. A Altin Musta: Carlo e Marco Bellini. A Piergiorgio Bellocchio: Gianni Saporetti. A Lai/a Romano:Gianni Saporetti. A William Raffaeli:Gianni Saporetti. A FrancoMelandri: Rosanna Ambrogelli. A Anna Moreno: Carla Melazzini. Disegni di Stefano Ricci. Foto di Fausto Fabbri. In copertina, a pag. 9 e 10·11, di Vincenzo Cottinelli. A pag.14 e 15, tratte da Espagne 1936. images de la révolutlon soclal(Les Editions de l'Entr'aide). Grafica: 'Casa Walden·. Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 2 ottobre '95. UNA CITTA'

da Bolzano Il commercio equo e solidale, basato sul rapporto diretto, continuativo, e alternativo, con produttori del Terzo Mondo, è una realtà sui mercati europei. La pratica di un prezzo al produttore che permetta l'autogestione e l'investimento in scuola e sanità. Un giro d'affari aumentato di 40 volte in sei anni. La storia ormai dimenticata dei prodotti. La possibilità di uscire dalla nicchia di mercato alternativa. Intervista a Heinrich Grandi. Heinrich Grandi è presidente della Ctm, Cooperazione Terzo Mondo, impegnata nel commercio equo e solidale. Partecipa all'i11tervista, Nicoleua Arena, del sei/ore informazioni Ctm. Potete spiegarci innanzitutt<;>cosa fate come cooperativa? · Heinrich. Siamo una cooperativa senza fini di lucro che importa prodotti dal sud del mondo per rivenderli qui, con il fine solidaristico di sostenere progetti di autosviluppo nel sud del mondo. Il nostro non è un intervento di aiuto, non è un intervento di emergenza; anche quelli, beninteso, hanno la loro dignità, ma noi facciamo un'altra cosa. Noi, attraverso un'operazione commerciale (comprare e vendere prodotti), cerchiamo di sostenere lo sviluppo integrato di piccole comunità, di comunità di base. Cerchiamo, fin dove è possibile, di arrivare ai gradini più bassi della piramide. Non agli "ultimi" forse, perché abbiamo bisogno di un prodotto per entrare in relazione e spesso gli "ultimi" non producono nulla per tutta una serie di motivi. Ma possiamo dire di arrivare a quelli che, nel sud del mondo, sono ai penultimi gradini della piramide sociale. Nel nostro commercio ci atteniamo quindi ad alcuni obiettivi dettati dal fine solidaristico che ci ispira. Prima di tutto, lavorare con partner commerciali che, possibilmente, siano gruppi organizzati, comunità, cooperative, associazioni. Produttori, cioè, che si organizzano per cercare di prendere in mano il loro destino e di lavorare perii bene comune, senza lucrare uno sull'altro, ponendosi invece l'obiettivo di reinvestire i profitti per interventi strutturali. Questo almeno nell'aspirazione, e anche se abbiamo smesso da tempo di illuderci che nel Terzo Mondo tutti quanti siano buoni, dobbiamo dire che troviamo molti gruppi che vogliono andare in quel senso. D'altra parte, che anche i nostri partners non abbiano fini di lucro per noi è importante perché non avrebbe molto senso impegnarsi per creare qualche isola felice in mezzo a un mare di miseria. Il secondo aspetto è che queste organizzazioni autogestiscano il loro sviluppo. Siccome loro stessi hanno tradizioni. hanno esperienze, sanno cosa serve, devono assumersi le loro responsabilità nella progettazione stessa. Quali sono le modalità che usate per rendere concreto e operativo un tale fine solidaristico? Heinrich. La nostra modalità principale è quel la del rapporto diretto, scavalcando tutte le fasi della catena commerciale, della catena del prodotto: i giochi di borsa, le intermediazioni fra esportatori ed importatori. Questo ci permette di determinare un prezzo che garantisce al produttore sia il minimo per sopravvivere sia quel qualcosa in più per investimenti a medio e lungo termine, e a noi, nello stesso tempo, di non allontanarci dal mercato. Un'altra modalitàcheci diamo, inevitabile per noi, è quella di costruire un rapporto il più possibile continuativo, che non può essere determinato da convenienza: "compro da te perché oggi mi conviene, ma se domani mi conviene andrò da un altro". Noi col produttore facciamo un patto a medio o lungo termine, cerchiamo di fare piani insieme, loro programmando la produzione e noi tentando di programmare il mercato. i bicchieri di vetro riciclato della coca cola Infine, c'è un ultimo aspetto che è quello che noi chiamiamo del "prefinanziamento". Nel commercio il momento del pagamento è un momento chiave: quando paghi, come paghi. Noi paghiamo in anticipo, al momento dell'ordine, fino al 50% della merce ordinata, perché i produttori a cui ci rivolgiamo non hanno risorse proprie e non hanno accesso a crediti. Lo sappiamo, l'indebitamento, il credito sono uno dei grandi problemi del sud del mondo. Fior di scienziati ne dibattono ma tutti sono concordi nel prevedere che il problema prima o poi scoppierà. Perché il Brasile taglia la foresta amazzonica? Non avendo risorse per ripagare il debito usa il legno pregiato per avere i soldi per pagare gli interessi. E' un circolo vizioso diabolico. Noi sicuramente non risolveremo il problema della foresta amazzonica. ma nel nostro piccolo cerchiamo di andare in controtendenza, di tracciare concretamente delle vie di uscita. Ora voi dovete anche rivendere qui i prodotti. Se il rapporto diretto, saltando le mediazioni, vi aiuta, il vincolo del rapporto continuativo con lo stesso produttore mi sembra che vi possa creare dei grandi problemi. Come fate? Nicolella. Non c'è dubbio. Quando il the o un certo tipo di artigianato per qualche motivo finisce. noi non andiamo nella piantagione accanLa sicure11a di una pensione integrativa. " . . Permaggiolrni fonnazlornivlolgltallle AgenziUenlpol ® lo, e così nel nostro negozio il the verrà a mancare e la gente si lamenterà. Al I ora dobbiamo essere capaci di spiegare che questo non è un negozio dove si può trovare sempre tutto, perché noi conosciamo chi produce e i problemi che può avere avuto-un'inondazione o qualche altro impedimento- per cui il the può arrivare in ritardo o addirittura non arrivare affatto ... Ma non è facile, lo ammetto, spiegare questo, perché i I rapporto che abbiamo con il prodotto è ormai completamente alienato. Siamo come i bambini che pensano che il latte esca fuori dal cartone in tetra-pak. Che le comode ed economiche es padri li es, che portiamo, arrivano dalla Cina, sono pagate tot alle donne che le producono, non lo sappiamo più e forse non ci interessa più saperlo. Ma forse è anche possibile che sapendo chi produce questo the, come vive, quanto ci ricava, cosa ha voluto dire per lui l'inondazione di quest'anno, improvvisamente tutto riacquisti un volto, una storia. Comprare quel caffè significa sapere che hanno ripreso ora a fare le coltivazioni dove prima non potevano, perché era stato dato il napalm sulle foreste. Che là è ricominciata la vita. Heinrich. Non c'è dubbio che questo, della storia del prodotto, sia un problema anche'drammatico. Dalla pianta alla tazzina, com· è la catena? Tu sai quanto paghi il caffé nel bar, tutto i I resto non lo conosci. Chi è che nel mondo economico ti dice tutte queste cose? Sembra quasi che il caffè venga da qualche parte in Italia, chi sa più che il caffè arriva dalla Colombia. dal Nicaragua, dal Messico, dal Brasile? Dal Brasile forse sì, perché ora ci sono le ballerine di Baudo ma che il caffè può cambiare la vita delle persone lo sappiamo? Sappiamo che se il raccolto dell'altipiano della Colombia è andato bene si fanno i matrimoni, se è andato male i matrimoni saranno pochi perché non ci sono i soldi per farli? Il nostro intento allora è che il prodotto in sé divenga portatore di informazione: questo che vedi su questo tavolo è un bicchiere e potrebbe essere finita lì. ma questo bicchiere potrebbe raccontarci una storia. perché è fatto da una cooperativa nell'altipiano guatemalteco con vetro riciclato dal le bottiglie di Coca Cola. Noi proviamo a dare questa concretezza al prodotto e a tracciare del le alternative. del le vie possibili. Il nostro non è un discorso pietistico: l'altipiano guatemalteco è un disastro, c'è la repressione, c'è la fame.c'è il sottosviluppo, la proprietà è in mano a pochi e la maggioranza della popolazione, avendo solo pezzettini di terra che non permettono di sopravvivere, fugge in città. Tutto questo va detto perché è vero, però noi vorremmo andare un po' più in là: è possibile fare qualcosa, si può cambiare qualcosa? Per chi fa questi bicchieri è cambiato qualcosa? E' questo che vorremmo cercare di trasmettere. Ma allora voi, concretamente, come determinate il prezzo? Heinrich. Cosa vuol dire prezzo, cosa determina il prezzo? Per un consumatore il prezzo da cos'è determinato? In base a che cosa si dice che un prodotto è caro? La qualità sicuramente è un fattore. Per esempio, parlando di abbigliamento, se io vado in un negozio dove trovo un vasto assortimento allora sono soddisfatto perché posso scegliere e quindi posso anche pagare qualcosa in più; se però vado in un negozio e trovo solo cinque camicie, allora o lì la camicia costa poco oppure non entro neanche. Un altro caso ancora è se di camicie ne trovo solo un tipo, che però non trovo da nessun'altra parte. Se quella camicia ha delle caratteristiche di unicità, allora sarò disposto a pagarla anche caramente. In realtà la determinazione del prezzo di mercato di un oggetto è veramente un processo complicato, difficile da decifrare. Il nostro prezzo non è determinato tanto dal mercato quanto dal lato produttivo. Una volta valutato quanto costano le materie prime, quanto costa il lavoro pagato dignitosamente, quanto serve per avere un minimQ in più per investimenti a medio e lungo termine nelle comunità locali al fine di un miglioramento sociale, educativo. sanitario. eccetera, valutato tutto questo, si prova a determinare un prezzo e questo è il prezzo che noi paghiamo. Siamo, è ovvio, in una logica completamente diversa da quella che anima il mercato vigente. anche se poi nei fatti dobbiamo essere realisti: non possiamo pagare questo bicchiere un·enormità, perché bisogna riuscire a stare sul mercato. Nicoleua. Noi, per esempio, battiamo molto sul fatto che abbiamo prezzi trasparenti e che nessun altro li ha. Tutte le volte che dicono: ··vorrei fare un paragone tra il vostro prezzo trasparente e quello del la Lavazza ...'·. Bravo, provaci. Il loro prezzo non te lo spiegherà mai nessuno. Noi siamo gli unici che possiamo dire com'è composto il nostro prezzo. proposte di bagno e di riscaldamento FORL/' CESENA RAVENNA PESARO Via Faentina 5 Ma ci riuscite poi a stare sul mercato? Hei11rich. Ci si riesce e non ci si riesce. I prezzi sul mercato di alcuni nostri prodotti, se paragonati per qualità e anche per distribuzione, sono più che competitivi. E' il caso, attualmente, del caffè. Se noi prendiamo il caffè di qualità alta, I00% arabica, i nostri prezzi sono minori di quelli dei leader del mercato. Se invece parliamo di altri prodotti, ad esempio dello zucchero integrale di carina, siamo decisamente fuori mercato. Ma perché? Anche lì ci sono dei motivi. Prima di tutto il nostro non è zucchero bianco ma è zucchero di canna, che ha qualità diverse: per esempio non è al I 00% saccarosio ma ha tutto un residuo di minerali, di fruttosio, di glucosio, di componenti organolettiche che lo zucchero bianco non ha più. Questo è un primo motivo. Il secondo, più politico, è il protezionismo del mercato europeo: l'Europa è il più grande produttore di zucchero a livello mondiale e da una parte sovvenziona la produzione, dall'altra fa pagare lo scotto di entrata per chi vuole entrare. Allora chi importa zucchero dai grandi paesi produttori, Brasile, Filippine, Cuba, paga un dazio di entrata molto alto: 800 lire circa al chilo. Già questo ti fa andare subito fuori mercato. vendere qualcosa è pur sempre una professione Nicoleua. Ci hanno applicato questo tipo di dazio sullo zucchero delle marmellate di mango del Burkina Faso. Non dico altro. Fino a prova contraria noi il mango non lo produciamo ancora. Come è nata e come funziona la vostra rete distributiva? Hei11rich. All'inizio. quando non c'era niente, non c'era mercato, abbiamo cercato di creare un ambiente favorevole attraverso conferenze con associazioni vicine, incontri in parrocchia. dibattiti pubblici. Ha contato moltissimo il passa parola. Adesso stiamo usando anche mezzi diversi: media, giornali. televisione. Nicoletta. I primi cinque anni loro erano sempre in giro per l'Italia a incontrare gruppini, gruppetti. gruppuscoli. Poi la rete è cresciuta e a un certo momento abbiamo verificato che certi compiti potevano essere delegati a persone che. stando sul posto. potevano meglio di noi far crescere le cose. Allora il nostro ruolo è diventato quello di coordinamento. Heinrich. E' vero, noi, i soci fondatori, giravamo continuamente, facendo gli incontri più svariaci, più incredibili, nei posti più sperduti. lo ho visto delle cose nel sud d' Italia interessantissime, che hanno cambiato I' immagi ne che avevo del sud. Posti molto interessanti, molto stimolanti, dove questa idea di commercio equo si collegava con il problema del sud d'Italia. Per fare un esempio: a Reggio Calabria, con tutti i suoi problemi di disoccupazione, di delinquenza strutturale, economica, è nata una bottega che si chiama Sud-sud: il sud d'Italia che collabora con il sud del mondo. Nicole11a. La bottega di Reggio nasce già da un'esperienza di cooperazione internazionale. Poi ci sono botteghe nate da circoli parrocchiali, altre da gruppi di amici stanchi della politica, altre dal mondo del volontariato. Heinrich. Come nascono queste botteghe? Noi promuoviamo l'idea, stimoliamo, diamo anche aiuto, consulenza tecnica, gestionale, di tutti i tipi. Però per noi il punto importante è che a livello locale sia il gruppo a responsabilizzarsi e progettare. Non è come le catene distributive che dicono: "io oggi apro un negozio lì, lo faccio nel centro". Invece noi lanciamo l'idea, poi dopo è lì che deve nascere e partire qualcosa. Dopo un anno, due anni, se sono riusciti a tirare avanti bene, se hanno creato un gruppo di clienti affezionati, potranno anche assumere una persona a metà tempo o a tempo pieno e dovranno ringraziare solo se stessi. La Ctm in tutto questo chiaramente spinge, supporta, dà le dritte perché ha esperienza, ma il merito principale del successo va al gruppo locale che poi ne va orgoglioso e "se lo rivende" anche. Loro stessi diventano dei nuovi operatori, dei promotori. Ora, poi, noi ci occupiamo soprattutto di formazione: le persone con cui abbiamo a che fare arrivano o dalla parrocchia, o dall'impegno politico, o dall'associazionismo, ma non da esperienze commerciali. Noi, alla fine, dobbiamo vendere prodotti, che è prima di tutto una professione. Allora cerchiamo di trasmettere anche professionalità. Anche nel caso delle botteghe abbiamo scelto il modello cooperativo: chi vende i nostri prodotti deve essere una cooperativa o un'associazione, su un modello di riferimento non profit. Oggi si parla molto del ruolo economico del terzo settore. noi facciamo parte del terzo settore. La nostra è una rete distributiva che è partecipativa. Non c'è la Ctm, la centrale di importazione, e poi il negozio che rivende e basta. ma il negozio che rivende fa parte del centro d'importazione. Questi gruppi locali costituiscono i soci della cooperativa, e questo è un anello molto importante. La cooperativa Ctm, senza fini di lucro, è costituita dai soci lavoratori -chi lavora qua dentro può essere socio della cooperativa- e poi, soprattutto. dalle botteghe sparse in tutta Italia. Siamo arrivati a 85-90 soci. Bisogna anche tenere presente che un socio può essere una persona giuridica. Per esempio a Foligno, è socia la cooperativa Altro commercio, che ha ben quattro punti vendita. A Treviso, è socia la cooperativa Pace e sviluppo, che ha tre punti vendita. Cerchiamo anche a livello locale di fare una politica di aggregazione. Il rischio. lo conosciamo bene. è che chi era in panocchia rimane in parrocchia, chi stava nel movimento politico rimane nel movimento politico. Il nostro tenVia Golfarelli 64-66 Via Quinto Bucci 62 Tel. 0543 - 796666 Tel. 0547 - 383738 Fax 0543 - 725099 Fax 0547 - 631934 Tel. 0544 - 460732 Fax 0544 • 462337 Via Barilari 16 Tel. e Fax 0721 - 52282 Perloroil migliorfuturopossibile

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