Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

problemi di confine B • ve vano prevedere un centro di terapia antalgica autonoma in ogni ospedale provinciale. Nei fatti ne hanno aperti due e, adesso, quello di Padova. dove è andato via il primario. non si sa che fine farà. Questi centri, cioè, sono stati vissuti sempre come centri a bassa redditività, che portavano via personale. utile magari da altre parti: gli anestesisti, per esempio. che devono sempre ritornare in sala operatoria. La terapia del dolore, dispersa fra anestesia e le altre discipline, non ha uno statuto che le permetta di crescere, nella ricerca e sul territorio. La piaga sociale di dolori che rovinano la vita e la cui cura, a basso impatto tecnologico, rischia di non interessare. La scoperta delle morfine endogene. Fra accanimento terapeutico e eutanasia la terza via della dignità. Ridurre la disabilità sarà la battaglia del futuro. Intervista a William Raffaeli. Credo però che questo tipodi indifferenza sia pericolosissima, tanto più oggi che assistiamo alla cronicizzazione di tante malattie. Più la patologia è cronica e più vale la qualità della terapia. Bisogna cominciare a capire che la qualità degli ospedali e della sanità deve cambiare, che una parte della sanità non può più essere solo di guarigione. Le terapie del dolore vanno appunto nel senso della riduzione della disabilità, non della guarigione. William Raffaeli è responsabile del modulo di Fisiopatologia clinica del dolore presso l'ospedale Infermi di Rimini. Qual è lo stato attuale delle terapie del dolore a livello nazionale? Da decine di anni ormai colti viamo la speranza di far nascere in maniera capillare le terapie del dolore, ma abbiamo grandi difficoltà perché sono branche povere di una cultura precedente, e di codici istituzionali entro cui far valere la propria dignità. Manca ancora una legislazione che pennetta di dire se e quando devono nascere, dove devono essere allocate, ogni quanti abitanti. E questo perché? Perché la terapia del dolore, non essendo nata come branca disciplinare, ma spontaneamente da alcuni soggetti che se ne erano interessati, l'avevano approfondita e avevano iniziato a sviluppare tecniche più o meno opportune, s'è diffusa un po' a macchia d'olio fra tutte le specialistiche mediche, partendo dal concetto che il dolore non può appartenere a un'unica disciplina, ma abbisogna di un insieme di specialisti. Questo, però, ha fatto sì che la disciplina rimanesse ai margini delle varie branche e ne ha ostacolato lo sviluppo. L'anestesia ha tentato di far valere la sua patria potestà in primo luogo perché, effettivamente, le terapie del dolore nascono in ambito di anestesisti. Ai tempi della guerra di Corea un certo Bonica, italo-americano, creò una catena di cliniche perché molti pazienti soffrivano di dolori cronici benigni conseguenti all'amputazione di arti e a ferite di guerra. In secondo luogo perché è in ambito anestesiologico che si è creata la possibilità di mettere in campo un insieme di procedure. Purtroppo l'anestesia ha messo la terapia del dolore al IV0 anno della propria specialistica e lì, secondo me, l'ha abbandonata, senza preoccuparsi se in ogni ospedale provinciale vi sia un servizio di terapia per il dolore, se non al pari dei servizi di anestesia e rianimazione. almeno in una dimensione sperimentale. Quindi la cosa è rimasta nelle mani di singoli medici, e la ricerca ne ha sofferto? Le terapie per il dolore hanno avuto un andamento ciclico. Negli anni Sessanta c · è stata un'esplosione in virtù di tecniche che hanno dato grandi speranze e pochi risultati. Erano anche anni caratterizzati dalr ignoranza: molte sintomatologie dolorose erano state relegate nell'ambito del dolore cronico e nel1' incapacità di curarne le cause ognuno finiva per metterci le mani senza, però, tirarne fuori granché. Si tentavano manovre cruente e miracolose -tagliare un pezzo di nervo qui, tagliare un pezzo di cervello là- che, però, esaurivano il loro effetto nell'arco di un giorno perché, poi, i dolori cominciavano da altre parti, specialmente nei neoplastici, dove il dolore è polimorfo e cambia continuamente sede, e nelle malattie in progressione. Pensiamo, per esempio, a Morica, che poi fu cpinvolto a Roma al "Regina Elena" nello scandalo dei letti d'oro, ma che fu un grande pioniere in questo settore: aveva inventato tecniche di distruzione della parte ipotalamo-ipofisaria per lenire i dolori da cancro. Dopo questi tentativi si è passato a un uso, diciamo, più da amanuensi casalinghi: usare bene il farmaco, ridare un po' di attenzione alla psiche, proporre metodiche che stimolassero in ogni luogo un minimo di attenzione al problema. L' approccio diventava localistico. E questo era giusto perché, tranne rarissimi casi, il dolore non è una patologia che si può guarire per sempre, magari andando in Svizzera. La sofferenza è diffusa e per dare un servizio efficace, bisogna operare un ascolto efficace, seguendo i pazienti nel tempo, proiettando gli sviluppi della malattia sulle altre invalidità del paziente. il flagello sociale del fuoco di sant'Antonio Teniamo presente, e lo sappiamo dagli anni Settanta, che le patologie da dolore rachideo sono una d~lle cause di maggiore invalidità della popolazione, con un costo sociale, in termini di economia sanitaria, altissimo. Il cosiddetto "fuoco di Sant' Antonio", malattia che se non viene presa in tempo sviluppa nevralgie post-erpetiche devastanti che rovinano letteralmente la vita e possono spingere sull"orlo del suicidio, colpisce quasi 3 abitanti ogni mille. Oppure pensiamo ali" insufficienza circolatoria che. allorquando il chirurgo non può più intervenire, procura dolori lancinanti che possono procurare anche la perdita degli arti. Ciononostante, la progettualità sanitaria è rimasta indifferente alla tematica del dolore. Il motivo di questo disinteresse qual è? Il motivo è innanzitutto culturale. nasce dalla mentalità consolidata, anche se noi cerchiamo di dimostrare il contrario, che di dolore non si muore. Purtroppo è la patologia che incide sulle definizioni politiche ed economiche a creare la tragicità visibile: hai un'appendice. CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' se non ti operi crepi, diventa necessario dare un sollievo non già al tuo dolore, ma alla tua malattia. Se tu hai dolore sono cavoli tuoi, nei fatti tu vivi male ma la qualità della tua vita non interessa a nessuno. D'altra parte l'uomohaquasi un'angoscia del guarire rispetto allo star bene che è problematica. Pensando sempre al cancro: in certe situazioni di chemioterapia non guarisce nessuno, anzi, forse, talora si farebbe meglio a non fare terapia perché questa aumenta solo le sofferenze, però la tensione al guarire è troppo forte, la paura della malattia come mistero ha la meglio sui tentativi possibili di offrire una qualità di vita migliore. E così tulio la razionalità sanitaria vive ancora sul I" idea antica che il dolore sia un'espressione di qualità etica, non tanto di qualità sanitaria. Il dolore, fin dall'antichità, era l'espressione di un sintomo: se tu avevi un'appendice. provavi un certo dolore, sottacerlo usando farmaci a caso era un errore strategico. Magari raggiungevi il risultato. magari qualche erba era anche disinfiammante e, togliendo il dolore, toglieva anche un insieme di infiammazioni e di sintomi, però certamente aver capito che l'appendice è meglio toglierla è stato un passo avanti. Ma una volta ritrovate le cause che determinavano quel particolare evento doloroso, ci si è fermati lì, tulio il resto. che non aveva causa, è rimastq nel1 'ambito della sfortuna personale. E questo era vero anche del tumore. Pensa quanto poco si curava quando si è partiti e quanto, invece, si può curare adesso. Cosa è successo? E' successo che si è investito. Ovviamente c'è una grande colpa della struttura istituzionale. ma in primis della categoria medica. perché ognuno, finora, ha avocato a sé come fosse sua proprietà la terapia del dolore, con la paura. quasi, che la portassero avanti altri. "Piuttosto che qualcuno la faccia al posto mio, meglio non si faccia niente''. Va anche dello che la cosa è complicata perché c ·è tulio i I problema dei rapporti, dei passaggi, che vanno codificati nel tempo. Noi abbiamo sempre detto che se la chirurgia doveva rimanere ai tempi in cui il chirurgo generale faceva tutto, dalle emorroidi alla craniotomia, grandi sviluppi nella qualità di questa scienza non ci sarebbero stati. Quindi anche l'anestesista non può essere l'esperto di tutto, bisogna specificare dei progetti. Ci vuole una volontà sperimentale. Ma se non hai soggetti che ti aiutano, se non hai personale infermieristico, se non hai personale ausiliario, sedevi elemosinare il quotidiano attraverso gli aiuti dati casualmente, fai fatica a crescere, è già molto se tamponi le emergenze. E questo pian pianino si inizia a capire. Siamo ancora una branca che deve cercare d' individuare la sua specificità, approfondire le sue tematiche e scoprire qualche cosa di più, nonostante, e qui è la contraddizione, che in giro per il mondo ci sia un grandissimo numero di pubblicazioni sul dolore proprio perché tante branche della medicina se ne occupano. Ne parlano neuroscienziati, psichiatri, fisiatri, ma nessuno vuole trarne la logica conseguenza, ossia I' istituzione di centri multidisciplinari, dove possano lavorare insieme il neurologo, il fisiatra, lo specialista del dolore. Non c'è stato, fino a un certo punto, anche il grave timore che togliendo il dolore si riducesse la vita? Effettivamente quando lo strumento a disposizione era solo l'oppio, era forte la convinzione che si diminuisse la quantità di vita, il paziente veniva addormentato, ecc. Questo era effettivamente un grande problema, che, fra l'altro, spingeva la Chiesa ad essere molto diffidente. se non ostile. Ma oggi come oggi questa convinzione si sta ribaltando, perché sembra che non sia così vero che l'uso della morfina, specialmente nei dolori cronici maligni, ma anche in quelli cronici benigni, riduca il tempo di vita. Per esempio, partendo dalle situazioni di acuzie delle sale operatorie, si è constatato che chi ha un buon controllo del dolore nel decorso postoperatorio ha un tempo di guarigione molto più veloce, meno soggetto a fenomeni collaterali e a complicanze. Questo perché, una volta sedato il dolore, vengono meno risposte biologiche di difesa magari inefficaci quali la venrilazione, ti puoi muovere meglio evitando decubiti, hai meno rischi di broncopolmonite, c'è una sottrazione del sangue molto minore. Insomma. soffrendo meno si guarisce prima. Così abbiamo cominciato a seguire questa traccia anche nel dolore cronico. In realtà a chi dice che di dolore non si muore noi rispondiamo che bisogna però capire se si vive di meno. Magari non si muore subito, ma bisogna chiedersi, e senza entrare nel merito della qualità della vita, restando cioè nell'ambito biologico, se quello stesso soggello Iibero dal dolore avrebbe avuto la stessa quantità di vita. Fare uso continuativo di medicinali può dare dei problemi gastrolesivi, ridurre la mobilità può peggiorare l'invalidità in maniera permanente e quindi innescare un percorso per cui il peggioramento diventa sempre più efficace. E' un soggetto abbattuto. è un soggetto che ha una • Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici e monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturalistiche -17100Forlì - •·iaMeucci. 2-1 (Zo11alnd11striale) Te/.(05-13)722062 Telefax(05-137) 12083 difesa biologica minore proprio in virtù del tipo di farmaci, se come s'è ormai dimostrato il dolore incide sulla struttura immunitaria della persona. Non a caso le ultime scoperte sul rapporto tra farmaci e sistema immunitario, hanno dimostrato che nelle cellule del sistema immunitario, deputate ad organizzare quella che grossolanamente chiamiamo una difesa rispetto a sostanze tossiche per l'organismo, ci sono due recettori per le due sostanze attive: da una parte gli ormoni, che servono per rapportarsi con omeostasi interne, dal I" altra la morfina, cioè quei farmaci oppioidi endogeni prodo1ti dal nostro cerve Ilo che servono a rapportarsi con omeostasi tra psiche interna ed esterna. Basta pensare all'equilibrio che devi avere con la percezione esterna, per evitare che divenga dolore e quindi alteri tutto un sistema biologico, per capire la sfida che ci dobbiamo dare. la sola presenza del torturatore alla fine terrorizza Quindi considerare il dolore solo una parola di lamento vuol dire sottovalutare un pianeta che contiene ancora un insieme di misteri da scoprire che riguardano il modo in cui le reazioni biologiche si attestano nel tempo. D'altra parte, basta pensare che attorno al mal di ossa, al blocco, all'anchilosi, si è creata la reumatologia, si è costruita una disciplina, del le cattedre, un percorso san itario, una ricerca che oggi scopre l'immunità delle cellule, ecc. E perché questo? Perché le hanno dato qualità di stru1ture. Invece attorno al dolore, tranne alcuni spunti nati ali' inizio degli anni Novanta, quando si incominciò a considerare il problema, c'è completa indifferenza nei piani sanitari. lo sinceramente non so se è solo una questione di incapacità culturale, o se ci sono anche interessi di parte per far slillare il malcontento verso strutture sanitarie non istituzionali, se è stata l'impotenza della categoria medica nel dare una risposta a una patologia che comunque rimane residuale rispetto alle grandi patologie, fatto sta che oggi come oggi ci sono pochi centri nazionali. Icentri autonomi sono solo cinque o sei. Nel Veneto. per esempio, dove c ·è stato sempre un grande accanimento contro il dolore, anche grazie al lavoro pionieristico del professor Rizzi. uno dei primi a livello nazionale ad iniziare negli anni Cinquanta, si era prodotta una trasformazione con delibere che doQuindi è sbagliato parlare di "guarigione dal dolore". Infatti. Uno degli errori fondamentali che si fa parlando del dolore, è quello di dire: "io ti devo guarire dal dolore". lo ti devo guarire se è possibile, ma altrimenti devo misurarmi con la malattia che produce la realtà dolorifica, ridurre l'invalidità, che da questa deriva, sia essa di ordine biologico che psicologico-sociale, e portarti a viver bene la tua vita nonostante alcune limitazioni e alcuni danni già sopraggiunti. Si tratta, cioè, di limitare i danni. E' quello che fa in medicina la fisiatria, la riabilitazione, che opera per riportare ad un livello x. Noi, in fondo, dovremmo essere una riabilitazione specialistica per alcune sindromi ad alta caratterizzazione dolorosa. Una riabilitazione che, con le novità che ci sono, potrebbe portare a grossi risultati. Quanto dolore c'è in giro? E' una piaga sociale? Molto. E' un'agonia diffusa, aggravata da un grave errore culturale, quello di pensare che chi soffre pian piano si allena, si abitua. Il soggetto che quotidianamente è afflitto da una sindrome dolorosa non è che sviluppa una forza, non è che cicatrizza come fossero calli del la campagna. Per il dolore non si può dire: "più lavoro e più mi faccio i calli". Anzi, potrebbe essere proprio l'inverso: non potendo lavorare, non potendo crearmi un mio substrato sociale d'identità, non ho difesa. Questo è verificabile nella tortura, dove in chi è sottoposto a tortura aumenta sempre di più il dolore avvertito finché gli diventa intollerabile la sola presenza del torturatore, perché ha già memorizzato il dolore. E' la memoria del dolore che trasforma la vita. Ma basta che ognuno pensi a esperienze molto semplici che ha vissuto: chi non ha mai bevuto il vino, la prima volta lo vomita, ma quando uno diventa capace di assaporarlo. trova gusti che chi non l'ha mai bevuto non riuscirà mai a capire. Così chi ha provato il dolore e ne subisce le pesanti funzioni in maniera tanto complessa diventa un esperto. La memoria scatta al primo avvicinarsi del dolore, ha una soglia bassissima, non riesce più a tollerare il mondo, perché tulio il mondo diventa doloroso. Mentre l'ignoranza medica è sempre stata in fondo quella di catalogare, la scienza medica è sempre stata quella di cercare, di costruire, di capire. E, infatti, chi ha cercato, ha scoperto che nel cervello si creano delle modificazioni biologiche: se tu sottoponi una zampa di animale come quella di un uomo al taglio di un nervo, a livello del Dovepuoitrovare: GAIA Erboristeria, Alimentinaturali, Verduredemeter e biologiche, Prodottifreschi, Fitocosmesi In un nuovoampio locale in via GiorgioRegnali,67 - Forlì tel. 0543-34777

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