Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

ricordando Grazia Cherchi , L'incapacità di occuparsi di cose pratiche, del futuro, della sicurezza economica. Lettrice onnivora fin da ragaz Dostoevskii e Kafka. Il periodo dei Quaderni piacentini e di una straordinaria rete di intellettuali. Quando i due fo1 per far scrivere gli altri, e, anche, per far fatture e legare pacchi. La grande libertà intellettuale, il marxismo eh per Chiaromonte e Silone. La predilezione di Grazia per il lavoro d'équipe, per un'amicizia che fosse attiva, il se con cui ha affrontato una fine certificata: continuando a lavorare, a vedere amici come niente fosse. Interviste Possiamo partire da un particolare anche curioso, quel suo scarso attaccamento ai libri come oggetti materiali ... Fra le altre cose sapute a posteriori, un' amica comune mi ha detto che Grazia destinava molti dei suoi libri ai carcerati di San Vittore. E poi ne regalava continuamente, a amici e conoscenti. Molti erano libri mandati da editori e autori che lei non aveva né tempo né voglia di leggere; per tacere del problema dello spazio, che ci affligge tutti ... Ma Grazia si disfaceva volentieri anche dei libri che aveva letto con interesse e dei quali aveva scritto ... Ricordo ancora che eravamo rimasti colpiti, per averlo letto in non so più quale testo. da come Marx trattava i libri di cui si serviva: li smembrava, li faceva a pezzi, conservando solo le pagine che gli interessavano. e buttando il resto. lo ero rimasto un po' orripilato, mentre Grazia si era divertita moltissimo, dichiarandosi perfettamente d'ac,cordo con Marx. Riteneva che i libri sono solo degli strumenti e come tali devono esser trattati, senza diventare oggetti di culto. Io invece il culto dei libri l'ho avuto, assai forte, e un po', anche se molto meno, ce l'ho ancora. Più in generale, Grazia non aveva alcun attaccamento alle cose. Tutti, chi più chi meno, ci curiamo del luogo dove abitiamo e lavoriamo, stabilendo anche rapporti affettivi con qualche oggetto, mobile. soprammobile, un orologio, una pianta, un fiore, un quadro, un gioiello, un amuleto. a prescindere dal loro valore venale. Lei no, in questo era di una laicità assoluta. Ricordo la casa di Milano dove aveva abitato fino ai primi anni Ottanta, in via Fiori Chiari, zona Brera: un appartamentino disadorno, tenuto malissimo ... Unico tocco personale, due stampine da pochi soldi, i ritratti di Lenin e Kafka. Enon credo che se li fosse comprati lei, erano quasi certamente regali di amici. Che lei aveva onorato, riconoscendo nei due personaggi due polarità, due tensioni che entrambe le appartenevano. La letteratura e la politica. L·azione e l'angoscia dell'impotenza ... Ma se ricordo così bene quei due ritratti, è proprio perché non c'era altro nella casa che fosse degno di nota. • • non r1sparm1ava, non investiva, non pensava al futuro La sua vita si risolveva pienamente nella dimensione del presente. Del futuro -del suo personale futuro- non si curava. Ignoro se si sia mai preoccupata di maturare una pensione. qualche forma di garanzia. Diceva: "E' inutile preoccuparsi del futuro che non c'è. quando verrà vedremo''. Non me la vedo risparmiare, investire. Non che dissipasse, beninteso, ha sempre vissuto modestamente, aveva scarsi bisogni. Ma non concepiva la preoccupazione, che è di tutti e che in molti arriva all'angoscia, per l'invecchiamento, la malattia, la perdita del lavoro. Era anche negata per le cose pratiche, nessuna manualità. Se c'era da piantare un chiodo, credo ricorresse all'aiuto di un amico. Non guidava l'auto, non aveva neanche la bicicletta (anche se. immagino. l'avrà pur praticata da ragazza). Detestava lo sport. Non parliamo poi delle questioni burocratiche: pagare una bolletta, riscuotere un assegno erano cose che la mandavano in crisi. Una specie di blocco che in parte era riuscita a superare, col tempo. B grheail'aiu+ealconsigliodro· molti • amici. Alla fine un conto in banca aveva dovuto aprirlo, ma erano pratiche che le restavano fondamentalmente ostiche. Il contratto d'affitto dell'appartamento a Brera dove ha abitato tanti anni era intestato a me, perché l'idea di leggersi e firmare delle scartoffie la disturbava. Per pagare l'affitto e le varie bollette s'affidava al portinaio, gli dava i soldi (e una buona mancia) e ci pensava lui ad andare in banca, alla Sip, all'Enel ecc. Ma questa sua profonda ripugnanza per questo genere di cose non le impediva di battersi, e con successo, con gli editori per ottenere un buon contratto e un buon acconto a favore degli autori che proteggeva. Il suo aiuto agli scrittori che considerava buoni, interessanti o anche solo promettenti, non si limitava all'editing, si impegnava per farli pubblicare e alle migliori condizioni. e poi per farli recensire ... Se tu dovessi immaginare per Grazia un"'antologia personale", sul tipo di quell'autobiografia attraverso pagine di autori letti (vedi il libro di Mengaldo uscito recentemente da Bollati Boringhieri), che autori ti verrebbero in mente? Credo che se gliel'avessero proposta, ne sarebbe stata tentata. incuriosita. Ma è difficile farlo per un altro. E tanto più per Grazia, lettrice onnivora e fervorosissima, "viziosa" quant' altri mai nel senso del vice impuni, la lecture. Bisognerebbe sapere le sue letture degli anni di liceo, quando non la conoscevo ancora. che sono poi quelle più profondamente formative. Comunque ritengo che un autore fondamentale sia stato Dostoevskij. e si arrabbiava con chi lo giudicava reazionario: a dispetto delle idee dell'uomo Dostoevskij. l'opera era rivoluzionaria. E aveva ragione. Ne aveva avuto una significativa conferma anche da Maria Regis. l'animatrice delle Edizioni Oriente, che confessava di essere diventata comunista (comunista attiva, militante) proprio dopo aver letto Dostoevskij tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta. Sì, credo che Dostoevskij sia stato il suo primo grande amore. Non la convertì subito al comunismo. come Maria Rcgis. ma nutrì potentemente il suo spirito di rivolta, il suo odio per r ipocrisia, r opportunismo. la viltà. il suo bisogno di libertà e verità. Altro grande incontro. Kafka. di cui ho già fatto cenno. In questo era decisamente anti-lukacsiana. Negli anni '50-60 erano di moda quei giochetti culturali. quegli aut aut tipo: Tolstoj o Dostoevskij? Kafka o Mann? Joyce o Proust? lo li ho sempre trovati fastidiosi. non accettavo di dover scegliere tra questo e quello. preferivo tenermeli tutti. Grazia invece non aveva dubbi: Dostoevskij e Kafka. Pur apprezzando moltissimo Tolstoj e Mann. Due autori fondamentali per la nostra generazione negli anni ·so furono Sartre e Camus. Il nostro marxismo nasceva suIla base di quel lo che allora si chiamava esistenzialismo. Su un piano strettamente letterario. penso che Grazia apprezzasse più Camus. il primo Camus, quello dello Straniero. di Caligola. del Malinteso. Poi ci fu la famosa rottura. e Grazia. come quasi tutti, optò decisamente per Sartre. Non solo per la sua opera filosofica e letteraria. ma anche e soprattulto forse per la sua figura di grande maestro senza cattedra, sempre al centro del dibattito culturale e dello scontro politico, punto di riferimento fisso. e ancora per il suo stile di vita libero. spregiudicato. la sua disponibilità al rischio, a spendersi parmio. sempre. Alla lunga, conQ fesso, a me era venuto un po' a noia, proprio per questa presenza costante, per questo suo prender posizione sempre e su tutto: ·'tacesse, qualche volta!" mi scappava di dire. Grazia invece credo che l'abbia sempre ammirato e amato in toto, fino alla fine. Un tratto molto forte del suo carallere era la fedeltà. Per esempio, ha sempre conservato una viva stima e simpatia per Moravia, nonostante non apprezzasse gli ultimi romanzi (forse anche aveva smesso di leggerlo): colui che aveva saputo scrivere Gli indifferenti. Agostino. La disubbidienza ecc. meritava rispetto e riconoscenza per sempre. gli anni drammatici e fervidi che precedettero il '68 Non vorrei però dare l'impressione che Grazia amasse solo gli scrillori eccessivi, estremisti ...Tra i suoi autori predilelli c'era Cechov, e tra i poeti Sereni ... Ma tornando a ciò che si diceva ali' inizio. l'elenco sarebbe davvero troppo lungo e complicato, per una lellrice come Grazia che s'è nutrita di libri per tulla la vita... Occorre aggiungere che il suo interesse per gli scrittori non si limitava ali' opera, ma si estendeva alla biografia, alla psicologia, ai loro rapporti con la famiglia, l'ambiente inlellelluale, le vicende politiche. Leggeva volentieri gli epistolari. i diari, le testimonianze. Non a caso tra i critici che ammirava c'era Edmund Wilson. Tu eri sicuramente l'amico piit antico di Grazia. Come vi eravate conosciuti? L·ho conosciuta nella seconda metà degli anni ·50 e siamo entrati rapidamente in un rapporto di confidenza, amicizia. collaborazione. Grazia aveva vent'anni ed era iscrilla al secondo o terzo anno di filosofia a Milano. che allora era una bella facoltà, forse c'era ancora Banfi. c'erano Paci, Umberto Segre. Dal Pra, Geymonat. per dire i primi nomi che mi vengono inmente. Io avevo qualche anno clipiù. e insieme ad altri costituimmo a Piacenza un circolo, Incontri di cultura, nel quale Grazia rappresentava il gruppo dei più giovani. tra cui anche due miei fratelli. Alberto e Marco. Per tre o quattro anni organizzammo. con un certo successo. conferenze-dibattiti facendo venire intellcttuali tra i più noti per parlare di argomenti che a noi premevano particolarmente. Organizzavamo anche proiezioni di film e mostre. Venne Fortini. con cui si stabilì un rapporto che doveva diventare decisivo. Ernesto De Martino. Enzo Paci. Danilo Dolci. Carlo Bo ccc. ccc .. per dire come ci animasse una notevole apertura che andava dal cattolicismo problematico al marxismo. Poi. un po' per naturale usura. un po· perché la condizione dello studente non è permanente. subentrano il lavoro. magari il matrimonio. il trasferimento ccc .. il circolo finì. Ma anche perché in Grazia e mc nacque l'idea della rivista. per non essere più solo degli organizzatori, elcimediatori. ma perdi re qualcosa inproprio. Ci sentivamo maturi per tentare qualcosa di più importante.C'erano anche le nostre ambizioni personali. Del resto. ambizioni e doveri sono sempre abbastanza intrecciati. Nelle intenzioni originarie Quaderni piacentini doveva occuparsi anche di problemi cittadini. ma abbastanza prc~to pcr~e ogni connotazione localistica per diventare una rivista nazionale. li passaggio non fu cieltutto indolore: alcuni del gruppo. tra cui anche mio rra1clloAlberto che faceva iI sindacalisla a Piacenza (prima di spostarsi a Roma e poi a MiIano), protestarono contro questa tendenza ad abbandonare i problemi della città, ma prevalse la volontà di Grazia e mia di dare alla rivista quella fisionomia che ha poi mantenuto per vent'anni. Avevamo capito, anche dai contali i subito stabiliti con i Quaderni rossi di Torino, con Fortini e altri intellettuali, che la rivista poteva essere uno strumento di coagulo di quel marxismo critico che dopo I' esperienza di Ragionamenti (' 55-57), si era alquanto disperso. Erano gli anni di avvio del centro-sinistra. c'era il boom economico. l'Italia stava cambiando faccia. e occorreva non lasciare l'opera di revisione del marxismo solo ai liquidatori più o meno opportunisti. A livello internazionale, la guerra d'Algeria e l'avvento di De Gaulle erano stati avvenimenti di fortissimo impatto non solo per la Francia. C'era il Vietnam, la decolonizzazione in Africa, la nuova sinistra americana, la rivoluzione cubana. Erano anni drammatici e fervidi, leggevamo molto anche la stampa estera. soprattutto francese, ci documentavamo. Per alcuni anni abbiamo avuto un corrispondente dagli Stati Uniti. La rivista aveva un· ollica internazionale, mentre non ci hanno mai incuriosito o preoccupato i giochelli della politica cli casa nostra, tipo correnti o sottocorrenti Dc... quelle cose cui l'Espresso e la Repubblica hanno sempre dedicato il massimo d'auenzionc e di spazio. Abbiamo certo fallo errori. sbagliato certe ipotesi e previsioni. e preso qualche abbaglio. ma mai per mero dourinarismo. Non ci siamo mai fatta alcuna illusione sulla capacità di autorifonnarsi del sistema sovietico, e proprio per questo abbiamo investito troppo sulla Cina ... In compenso, abbiamo previsto con qualche anno d'anticipo quel che sarebbe stato il '68 ... da buoni militanti a sfacchinare e legare pacchi Non eravamo dottrinari né settari. ripeto. diversissimi in ciò dalla tradizione minoritaria della sinistra (borclighiani. anarchici. trotskisti. leninisti. maoisti ecc.). Seguivamo anche riviste italiane come Nuovi argo111e111Cio. munità. Il Mulino. Tempo presente di orientamento assai diverso dal nostro. Su Tempo presente scrivevano SiIone e Chiaromonte. che per il Pci erano dei rinnegati. né più né meno. ma nessuno può accusarci di esserci mai minimamente accodati a questo tipo di giudizio. anzi pregiudizio. nemmeno nei nostri momenti più estremistici. Grazia aveva un'altissima opinione cliChiaromontc saggista politico e critico teatrale. Orwcll. non lo abbiamo mai considerato uno scrittore eia mettere semplicemente nel fronte anti-comunista. E perfino di un Célinc. finito fascista e razzista. sapevamo distinguere i suoi esiti politici clall·cccczionalc importanza della sua opera letteraria. on abbiamo mai cessato di essere problematici. Il nostro marxismo non era una corazza. e faceva acqua da molte parti. Confesso che questo lo sentivo come un difetto. che cercavo anche climascherare. dopo mi sono accorto che era stato un grande vantaggio ... Ma abbastanza presto voi due smettete quasi di scrivere sulla rivista. Non vorrei fare qui la storia dei Quaderni piacenrini. ma siccome si parla di Gra,.ia. diciamo che nei primi due anni lei ha scrilto, e molto bene, con quel suo 'stile vivace, pungente, polemico (che ha ritrovato intatto vent'anni dopo), poi lei decide di non scrivere più (e anch'io, se non scelgo il silenzio. come lei, diminuisco notevolmente il mio contributo). Cos'era successo? Intanto c'era stata un'aggregazione rapida di intellettuali, chi più vecchio chi più giovane di noi, tutti di notevole valore e di chiare competenze, ed essendo la nostra non una rivista di mera agitazione ma di analisi e di studio, ci sembrava ovvio che il pezzo economico lo scrivesse un economista. il pezzo storico lo storico di professione e così via. Questo da un lato. Dall'altro, c'era il problema di tenere insieme un gruppo di persone sempre più numeroso. Tulle persone intelligenti e spesso legate anche da sincera amicizia, ma tenerle unite e farle produrre, è un altro conto. Il ruolo di chi dirige l'impresa, e deve governare e comporre tensioni e contrasti (che non mancano mai, e non mancarono neanche nella nostra rivista), non è uno scherzo. Dove questo ruolo non sia coperto o sia carente, l'impresa fallisce. In questo compito Grazia si rivelò sempre di un'eccezionale bravura. Incombevano poi tutte le questioni pratiche. materiali. L'autogestione resterà uno dei maggiori titoli d'onore della rivista, ma è costata cara in termini di impegno. Avendo l'ambizione e l'orgoglio di gestire in toto la rivista, dalla programmazione degli artico Ii alla correzione delle bozze. dalla stampa alle spedizioni a abbonati e librerie. per non parlare della contabilità, il lavoro era a tempo pieno. In quegli anni si parlava molto di militanza. lo andavo molto meno di altri a distribuire volantini davanti ai cancelli delle fabbriche. Ma credo di essere stato un buon militante anch'io facendomi i calli alle mani a furia di confezionare pacchi che legavo con lo spago. E tante altre sfacchinate che avrebbero inorridito il 99% dei nostri intellettuali, anche quelli che si dicevano militanti. Agli inizi c·era anche il problema di pagarla, la rivista. Il mio status economico allora mi permetteva di coprire le passività. in attesa di tempi migliori. Che vennero molto presto. Entro un paio d'anni la rivista raggiunse il pareggio. diventando potenzialmente attiva. Ma i nostri princìpi ci vietavano di considerare anche 1•ipotesi di un profitto. Che poi non sarebbe finito nelle nostre tasche: avremmo potuto pagare l'affitto di una modesta sede. un telefono, una segretaria. Nossignore, abbiamo continuato a svolgere il lavoro nelle nostre case. senza neppure rimborsarci le spese (telefono, viaggi ecc.). Anche i collaboratori lavoravano rigorosamente gratis. compensavamo solo le traduzioni (quando non le facevamo noi). Equando leentraie superavano le uscite. pareggiavamo iI conto diminuendo il prezzo di copertina. o semplicemente non adeguandolo ai costi in continua crescita. e aumentando il numero delle pagine ... Tant'è che quando la rivista passò a Franco Angeli. nell '80. ci disse che eravamo dei matti. e triplicò subito le nostre tariffe. E non per guadagnarci granché. ma semplicemente per starci dentro. per pagare il lavoro redazionale e amministrativo, e continuando a non compensare i collaboratori. beninteso. Poiché ricevevamo molti libri dagli editori -anche a pagamento di pubblicità-, li distribuivamo tra i collaboratori. Questo era l'unico compenso che ricevevano. E qualche pranzo. Eravamo ospitali. questo sì. Le riunioni

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