Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

ricordand G zia Cherc:hi LA CAUSA DEGLI ALTRI Il ricordo di Oreste Pivetta Ho cominciato a lavorare assiduamente con Grazia Cherchi una decina di anni fa. Ovviamente la conoscevo, però per me più che altro era un nome, una persona importante, una persona che aveva molte cose da insegnarmi e conosceva molto bene quel lavoro che io, da un altro versante, mi accingevo a fare. Una decina d'anni fa, appunto, quando l'U11ità decise di aumentare le pagine dedicate ai libri, ebbi un incontro con Grazia che, al di là della mia timidezza e al di là. anche, di una qualche soggezione che nutrivo per una persona famosa ed importante che aveva tanta storia e tanta cultura alle spalle, fu molto felice. E lo fu anche la collaborazione che neseguì, per la capacità di Grazia di esserepresente in tutte le fasi del nostro lavoro, con una dedizione straordinaria e. in un certo senso. persino inattesa. Lei era un critico importante, un personaggio importante nella cultura italiana, nell'editoria italiana mentre io facevo un piccolo lavoro di giornalista. Anche lo spazio che le era stato concesso era relativamente piccolo. Ma qualsiasi cosa Grazia facesse. si impegnava con una dedizione, uno scrupolo, un rigore totali. Credo che questa sia stata per me una grandissima lezione: la capacità di essere rigorosamente dentro le cose, di non evitare mai il confronto. di non sfuggire alle responsabilità, anchenegli aspetti più marginali del nostro lavoro, del nostro impegno. Sono stati. in questo senso.anni per mc fondamentali. Si dice quanto è difficile avere un maestro. ma se dovessimo tentarne un elenco, credo che Grazia Cherchi in questo elenco stia idealmente ai primissimi posti. Mi ha insegnato tante cose. Mi ha insegnato a non sottovalutare mai nulla. Ad esempio. negli ultimi mesi di lavoro, su suo suggerimento. avevamo introdouo, ad esempio, una piccolissima rubrica, Piccoli e belli. Grazia Cherchi aveva una grande curiosità nei confronti cli tulle le iniziative editoriali nuove. non amava le classifiche, non amava i bestsellers. non amava le cose facili, amava andare alla ricerca di altre cose, piccole cose taciute o trascurate dalla ~tampa, dalle classifiche elci grandi bcstsellcrs, dal grande baraccone promozionale degli uffici stampa, della televisione. e cercava di valorizzarle. Così aveva pensato a questa piccola rubrichella che riguardava quei libri che. pur essendo di piccole case editrici. avevano un discreto successo di vendita. E chi di voi legge le pagine elci I ibri dc l'Unirà. ricorderà questa piccola indicazionc. Di volta in volta si telefonava a una libreria. si chiedeva al libraio, ma la trattativa era sempre molto difficile perché i librai molto spesso sono distratti, non sanno queste cose, ovviamente sono interessati ai libri della Tamaro, di Biagi. di Bocca perché vendono tanto, fanno guadagnare molto. A loro interessapoco una piccola casaeditrice che vende cinque copie, ma che, vendendo cinque copie qui, cinque copie là. cinque copie da un'altra parte, arriva alle mille copie che sono probabilmente un bcstscllcr per E/O. La Tartaruga. o per la Biblioteca del Vascello. impegno mi colpiva allora e mi colpisce ancora adesso:perché una persona come lei doveva dannarsi l'anima a cercare la libreria, a cercare il numero di telefono. a contallare il libraio? Raccontava che una volta uno le aveva risposto: ·'Sì, io compro l'Unirà, ma mai di lunedì''. Insomma, lei che era una scrittrice, uncritico importante, che aveva tanti amici. tante conoscenze, che sapevatutto. trovava il tempo per dedicarsi a delle piccolissime cose che avrebbero dovuto essereun compito redazionale, di noi redallori de l'U11irà, pagati per farle. E noi a malincuore le avremmo falle perché facciamo volentieri quel le cosedove possiamo esporre le nostre belle auree opinioni e mettere la nostra bella firma. Invece lei ha insegnato che anche questo è importante. ci ha dato una grande lezione oltre che di rigore e cli moralità, anche di mestiere, di giornalismo, perché lei aveva una grande dimestichezza col giornalismo e aveva una grande idea di come si fanno i giornali. Ebbene, tullo questo lavoro lo faceva Grazia Cherchi e questo suo D'altra parte questo scrupolo Grazia Io metteva in tulle le cose.Ogni LEMARGHERITEBIANCHE Il ricordo di Lalla Romano Io sono molto vecchia, a novembre compirò 89 anni: fra me e Grazia c'era molta distanza di anni. Pavese, che era un amico e anche un po' maestro per certe sentenze, diceva che la vera affinità fra due persone è avere la stessa età. Nel sesso come nelle idee non c'è niente che avvicini due persone come la stessa età. Allora per capirsi, per essere amici quando c'è una grande differenza di età ci deve essere qualcosa di molto più forte, una fondamentale somiglianza e fratellanza. Grazia la conoscevo attraverso i Quaderni piacentini, soprattutto con la famosa rubrica dei libri da leggere e da non leggere. La stimavo molto, l'ho sempre stimata molto, ma ci eravamo incontrate poche volte. Succedeva che la chiamavo al telefono e le dicevo: "sono d'accordo con te". Poi mettevo giù. Supponevo, ma non gliene ho mai parlato, che verso di me avesse una certa diffidenza in quanto moglie di un dirigente bancario, quindi una borghese. Ma lei pure lo era e in seguito mi ha detto che aveva una grandissima opinione di mio marito. Poi, non so neanche come, ci siamo ritrovate e abbiamo scoperto reciprocamente molte affinità: non solo la passione per il pensiero, per l'arte, per l'impegno mentale, ma anche una profonda diffidenza e ripugnanza per certe cose e invece delle fraternità anche molto semplici, molto umili. Grazia, in uno scritto che preparò per il convegno sulla mia pittura e che era anche un tentativo di ritratto, ha ricordato che nessuna di noi due era pratica di cose domestiche (che pure facevamo, ma solo per necessità e senza bravura) e che entrambe, se eravamo sole, risolvevamo il problema del cibo facendo bollire delle patate. Quando era possibile andavamo a mangiare insieme, in genere al Regoli. lo dovevo fare solo pochi passi a piedi, era lei che passava a prendermi a casa e mi portava sempre un mazzo di margherite bianche. Sapeva che io le amo molto e le comprava, credo, al mercato perché erano particolarmente fresche e duravano molto tempo. Anche questo creava un legame fra di noi: arrivava sempre con il suo magnifico mazzo di fiori e così non mi mancavano mai. Lei poi non voleva mai che al ristorante si spendesse troppo e ciò anche per ragioni d'età per me e di salute per lei: mangiavamo un primo e poi pochissimo, il meno che si potesse. Lo considerava importante. Una piccola differenza era che io preferivo il mio solito angolo in una stanza al buio, mentre lei la stanza più grande perché c'era più luce, ma le nostre differenze erano sempre minime. Lei disapprovava casa mia perché troppo ingombra di libri e cose, ma la sua non me l'ha mai lasciata vedere perché doveva essere anche peggio: in fatto di disordine anche Grazia doveva essere insuperabile. Grazia mi aiutava molto passandomi certi libri, spesso piccolissimi, ma importanti. Capiva subito quando una cosa mi avrebbe le il grande scrittore russo Ivan Turgheniev racconta la sua angosciata e lucida partecipazione come invitato allo "spettacolo" di una esecuzione tramite ghigliottina nella Parigi del 1870. E' un racconto molto breve, ma molto importante. Grazia aveva una sua estrema pulizia mentale e morale. Non ho mai intravisto in Grazia l'ombra della meschinità. Era invece molto severa, quello sì. Tra coloro che l'hanno ricordata dopo la sua morte, mi è piaciuto quello che ha detto Pampaloni a proposito di un aspetto aristocratico nella sua origine sarda. Come del resto hanno detto tutti, era molto riservata, segreta quasi. Eravamo profondamente amiche ma non ci facevamo mai domande di carattere intimo. Non le ho mai domandato se aveva un fratello o qualcuno. Aveva amicizie "singole" e, pur rimanendo sempre se stessa, con ognuno stabiliva un rapporto personale. Era amica anche di persone molto più giovani, che aiutava. Di qualcuno mi parlava, mi faceva capire che le importava molto, ma non mi obbligava a conoscerlo. Mi lasciava libera. Poi del suo rapporto con molti personaggi della letteratura ho saputo qualcosa solo quando abbiamo lavorato insieme al libro di ritratti del "giudice fotografo", di Vincenzo Cottinelli. Lei avrebbe dovuto preparare le schede bio-bibiografiche, e purtroppo non è riuscita. lo ho avuto invece il compito di scrivere un breve commento per ogni immagine: alcuni di questi sono stati rivisti con l'aiuto di Grazia a metà del luglio scorso. Per esempio sotto un'immagine molto bella di lei con i suoi amici di allora, Fofi e Bellocchio, io avevo scritto: complicità e amore e lei mi ha fatto correggere in complicità e tenerezza. Sotto la sua fotografia ho scritto: una romantica donna emiliana. E' una frase presa dal suo romanzo, Fatiche d'amore perdute (che non mi era piaciuto: è buono, ma per me rispecchiava troppo quell'epoca, io ero troppo vecchia nel '68 e non ne ero entusiasta, ma la mia opinione su questo non è importante. Considero invece un capolavoro Basta poco per sentirsi soli, la sua raccolta di piccoli racconti). Lei, con quella sua severità, con i suoi giudizi non attirava l'idea della persona romantica, invece questa definizione è molto bella. Era una donna estremamente attraente e non so chi mi aveva fatto notare che era diventata più bella: per quegli occhi magnifici che aveva, per l'espressione della faccia che esercitava una straordinaria attrazione su chiunque. Il libro di ritratti di Vincenzo Cottinelli si chiamerà Sguardi. Un titolo molto bello perché nello sguardo c'è tutto l'essere umano. Poi non sempre le fotografie mostrano gli occhi, c'è una foto in cui il personaggio, mi pare Noam Chomsky, è di profilo. Ma un profilo può equivalere a uno sguardo, perché sguardo vuol dire l'espressione intensa di un essere umano. Penso che anche gli animali hanno sguardi. Hanno qualche cosa di naturale, di mentale e spirituale insieme. coinvolto. Quest'estate mi aveva mandato La sua perdita è irreparabile. L'esecuzione capitale di Troppmann, una Qualcuno ha detto che i libri saranno meno BI neie di stordinario repo é¾lecon il qua-~y~ Qua~oing faceva? Quanti consi- • gli dava anche privatamente, oltre a quelli che dava per lavoro? Quanto grande era il suo apporto al mondo della cultura? Uso questa espressione anche se detesto persino la parola perché è un equivoco: la cultura vera è un'altra cosa e in questo, con Grazia, ci capivamo al volo. Grazia mi ha aiutata enormemente, in tutto, nel farmi coraggio, nel non cedere. E io credo che nella vita riceviamo anche gli aiuti se li sappiamo capire e accettare. Grazia è arrivata a quel punto della mia vita. Anche se ci conoscevamo già da prima, non siamo mai state a discutere il perché. Lei non faceva domande a me né io le facevo a lei. Ma anche se su certe cose non abbiamo parlato, non ho mai sentito che mi mancasse qualche cosa nel rapporto con lei. Sul mio incontro con lei ho scritto pubblicamente: "tardi ma per sempre", intendendo che è stata un'amicizia recente e breve. Ma non rimpiango il fatto che non ci siamo freqCJentatedi più: di fatto lo rimpiango, ma nella mia concezione del destino sono convinta che quando lei ha contato di più per me ci siamo viste molto ed era il momento giusto. Sembro ottimista, ma penso che nella vita, nonostante sia tragica (tragica per tutti perché ci aspetta lamorte), ci sia un ritmo per cui le cose sono state così e così dovevano essere. Arrivo persino al puntq di dire che non bisogna disperarsi davanti alla scomparsa. Nella mia vita ho avuto una scomparsa più grande: quella di mio marito, che Grazia ha conosciuto e con cui ho avuto una vita in comune di 54 anni, preceduti da qualche anno di conoscenza. Ebbene, anche questa scomparsa per me tragica ha avuto il suo senso. Tutti dobbiamo accettare per forza quel che succede, ma bisogna anche accettarlo proprio come facente parte della nostra storia. Così non ho rimpianti se non quello della perdita, quello che proviamo tutti quando perdiamo le persone care. Quella di Grazia è una di quelle che contano, che pesano nella mia vita. Ma l'importanza di ciò che è stato rimarrà sempre. All'ultimo saluto, la mattina del funerale, ho conosciuto il fratello, ho rivisto altre persone molto importanti per lei, come Edoarda Masi e altri, che conoscevo ma che non incontravo da tanto tempo. C'era molta verità nelle persone presenti, perché tutte facevano parte del suo mondo. Con Foti Grazia aveva ultimamente avuto una polemica, secondo me importante. Lei sapeva da tanto tempo di essere condannata, lo teneva segreto e questo faceva parte del suo carattere che è poi la stessa cosa del destino. Nel suo destino c'era qualche cosa che doveva in qualche modo finire. E quella polemica che l'aveva un po' ferita aveva sottolineato la delusione storica che sentiamo tutti. Foti aveva detto: "Sì, ma le cose sono un po' cambiate adesso ...". Anche lei lo sapeva ma non voleva che fosse. Ora credo che a quelli per cui Grazia ha contato capiti come a me: non possiamo più scrivere, più impegnarci in niente senza domandarci che cosa ne direbbe Grazia. - giorno mi arrivavano al giornale plichi di manoscritti, tutti indirizzati a lei, e devo dire che per proteggerla ho ancheceduto alla tentazione di prenderequestecose,apririe cd accantonarle, far finta di dimenticarle, ma essendo il suo indirizz,o assolutamente pubblico altrettanti negiungevano, ovviamente, acasasua. Lei aveva la pazienza di guardarseli, non ne ha mai rifiutato uno. E" vero che una volta era corsa una polemica tra lei e un autore per me ignoto, perché, adessonon ricordo se nelle pagine dell'Unità o in una rubrica di Linea d'ombra, Grazia si era un po' lamentata per la presunzione e arroganza di certi autori che pretendono la lellura. "Come -dicono- io ti mando il mio manoscritto, ti mando il mio romanzo e tu non lo leggi?". E lei rispondeva: ''Sì, certo, lo leggerei anche. però io devo lavorare, devo anche guadagnare qualcosa per vivere, non posso sollrarre tanto, troppo tempo al mio già ristretto tempo di lavoro''. Questo ignoto, fortunatamente ignoto romanziere o poeta, le mandò in una busta mille lire. Fu proprio in seguito a questa provocazione che Grazia Cherchi continuò a leggere. a guardare tutti i manoscritti che le giungevano da ogni parte, a leggere libri d'autori assolutamente sconosciuti. che non avevano alcun rapporto con lei. Ovviamente guardava con maggior allenzione i libri degli amici ecomunque un'infinità di scriuori famosi è debitrice nei suoi confronti. E senzacollocarmi di certo fra questi anch'io ho avuto la fortuna, per le poche coseche ho fallo, di essere lello, corrello, criticato, giudicato e anche approvato da lei. Forse qualcuno un giorno dovrebbe scrivere una storia della lelleratura italiana. e dell'editoria italiana, tenendo conto di questo o,curo. o,curi,simo lavoro per il quale. peraltro, raramente ,i ringrazia. con quella forma di ringraziamento che richiede un libro all'inizio: "si ringrazia questo. quest'altro, anche Grazia Cherchi per gli utili consigli che mi ha dato''. Ma grati in un modo più profondo e in un modo meno legato. condizionato a quel1' occasione particolare. Grazia Cherchi aveva un sensodel1' amicizia e della solidarietà straordinario. Adesso vedo qui, in questo numero di Linea d'ombra, un ricordo di Goffredo Fofi e un altro di Giovanni Giudici e siccome non so parlare tanto. voglio leggere due cose loro. Alla conclusione del suo articolo Goffredo scrive: ·'Grazia era una persona fedele, una delle più fedeli che la mia generazione e quelle successive abbiano potuto conoscere. E certamente una delle più generose.e nei nostri •giri' forse la più generosa··. Credo che la generosità di Grazia qui tulli la possano testimoniare, senz'altro chi sta da questa parte del tavolo. La generosità di Grazia è stata unacosa per tulli noi straordinaria. Giudici, raccontando di un incontro serale, scrive: ·Toccata dalla mia richiesta di sentire in un piano bar, dov'eravamo andati insieme ad altri amici, la canzone Spingulefrangese, completamente sconosciuta al giovane pianista, mi aveva regalato per il compleanno il di scodi Murolo. più dieci pacchelli di toscani extravecchi. Ma soprattullo deplorava unamia (a suo dire) 'scheletrica magrezza', mi accusava di non mangiare e non di rado mi costringeva ad accellare in dono, quand·ero solo a Milano. avventurose cibarie". Ecco, di queste "avventurose cibarie" ci siamo giova-

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