Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

Mercato non vuol dire assenza di regole, ma opportunità uguali per tutti. Il monopolista non è inefficiente, è nemico della democrazia. L'indissolubilità di molteplicità economica e politica. L'efficienza di un mercato è data dalla complementarietà. Quando le privatizzazioni dei servizi possono funzionare. L'esempio della Thatcher. La sinistra non è abituata a pensare che uguaglianza significa diversità. Intervista a Patrizio Bianchi. rio. Questa è una discriminante rilevante: la quantità di beni pubblici che noi scegliamo di tutelare e il come, determina il tipo di società che noi vogliamo e che immaginiamo. Se pensiamo alla rilevanza in termini economici anche personali di una scelta di tipo americano sulla sanità, capite che è uno stimolo straordinario a lavorare anche la notte pur di garantire la sicurezza della propria famiglia: tutto ciò è estremamente coerente con le teorie della destra. Dall'altra parte si dice: "no, non possiamo vincolare i diritti di uno che deve venire al mondo con le capacità di spesa di quelli che già ci sono". Si tratta di due concetti entrambi ragionevoli, ma alternativi. Parliamo di stato sociale. Oltre il privato e il pubblico, si può immaginare un terzo soggetto? Noi dobbiamo trovare a livello locale o nazionale una normativa che permetta la nascita di associazioni temporanee per poter gestire situazioni specifiche. Patrizio Bianchi è professore ordinario di Economia e Finanze della Cee presso l'Università di Bologna. E' presidente di Nomisma. Esiste un rapporto coerente tra la tendenza delle strutture economiche alla concentrazione, a diventare sempre più grandi, assumendo posizioni dominanti nel mercato, e la necessità di garantire la libera concorrenza, quindi la pluralità dei soggetti? Innanzitutto non è vero che dimensione si colleghi ad efficienza. Ci sono tantissimi studi sugli Stati Uniti della prima metà del secolo che dimostrano come le imprese crescano ma non per diventare più efficienti. Il più delle volte crescono per riempire un buco, cioè per fare in modo che non rimanga più nessuno spazio per nuove entrate. D'altra parte in tutta la storia, dal Seicento in avanti, si evidenziano due tendenze fra loro contraddittorie, ma anche necessarie una all'altra: da una parte si consolida una società di mercato in cui uno può intraprendere delle iniziative partendo dalle proprie capacità e non dalla propria posizione sociale. (Il concetto di mercato è proprio questo: una struttura sociale in cui prescindendo da chi sia il proprio padre o il proprio nonno, quindi dal posizionamento sociale, si ha il diritto di potersi affermare. Perciò la concorrenza è libera: perché è libera dai vincoli feudali). D'altra parte, proprio mentre veniva meno la regola feudale, si poneva fortissimo il problema di una regola di mercato. Fin dai suoi albori, cioè, era chiaro che il mercato non era assenza di regole, ma si fondava, e si fonda, sul principio che tutti siano nelle condizioni di poter affermare le proprie capacità. Quando qualcuno, in virtù della propria posizione, della propria dimensione blocca gli altri, blocca il mercato e ristabilisce una condizione "feudale". Negli Stati Uniti, primo paese a emanarla, nel 1890, la legge antitrust fu promulgata per fermare Rockfeller che di fatto stava concentrando tutta l'estrazione di petrolio nelle sue mani. Questo era considerato negativo perché, appunto, minava l'idea di una società basata sulla libertà dei singoli, abbassando, anche, l'efficienza stessa del mercato. Ma secondo me, rispetto anche ai dibattiti in corso, va ribadito che le regole del mercato, prima di essere importanti in materia di efficienza economica, sono importanti in materia di efficienza democratica: il concetto di mercato è che il singolo ha diritto di esprimere le proprie capacità per cui ogni volta che un altro con la propria azione lo vincola, fa venire meno un principio di democrazia. Per questo l'idea di molteplicità economica e l'idea di molteplicità politica sono così intrecciate: non ci può essere contrapposizione fra molteplicità economica e diritto di impresa e democrazia. Se viene meno una viene meno l'altra. Allora nel dibattito attuale, io non ho nessun dubbio che c'è sicuramente un problema di molteplicità e, quindi, tanto più un settore è cruciale per la molteplicità tanto più deve essere regolato. Lo ripeto: questo è chiarissimo non da ora ma dal Seicento in poi. Tutte le volte che al potere dello Stato si è sostituito il potere monopolista si è trattato di un fatto autoritario, lontano dal mercato e dalla democrazia. Chiunque vada alle radici del pensiero liberale, non liberista, scopre che da quando questo si afferma, alla fine del Settecento, esso si basa su un principio tutto politico, presente nelle parole chiave della Rivoluzione francese: la libertà è un fatto individuale ma la libertà funziona se tutti l'hanno e se un criterio di fraternità ne legittima l'azione individuale. Quindi non è il mercato che detta le proprie regole? No, iImercato non è un'entità astratta, il mercato è l'insieme dei soggetti che devono interagire in maniera libera. E i soggetti sono sostanzialmente delle persone, delle imprese, che interagendo tra loro definiscono sì, delle regole, dopodiché, però, le regole vanno fissate in modo da tutelare tutti, sia chi è presente nel mercato sia coloro che non sono presenti in quel momento. Faccio un esempio: se noi facessimo una regola per cui stabiliamo che hanno dei diritti soltanto i qui presenti, questa non sarebbe una regola di mercato, sarebbe semplicemente un accordo di cartello. Perché la Mammì non funziona? Perché in quel momento non hanno fatto una regola per le televisioni, hanno semplicemente ratificato l'esistente. Ma così non si fissano le regole, perché il diritto è tale a prescindere da chi in quel momento lo esercita. Questo è un principio alla base della democrazia, alla base del concetto stesso di diritto positivo. Per questo il ragionare di mercato è così importante oggi, perché vuol dire ragionare di democrazia. Ma c'è tutta una corrente di pensiero liberista, riemersa negli ultimi vent'anni, che pensa che il mercato abbia in sé un meccanismo autoregolatore ... Io ho forti dubbi su una interpretazione del liberismo che sostanzialmente immagina che non ci debbano essere né regole né ruoli di legittimazione politica. All'origine di questo discorso, c'è il concetto di Adam Smith della "mano invisibile": ognuno agendo per se stesso agisce per il meglio di tutti. Ebbene, i neoliberisti di oggi omettono di ricordare che lo stesso Smith pone contemporaneamente tali e tante limitazioni affinché questo meccanismo funzioni che riesce molto difficile paragonare le sue tesi alle loro. Smith fa un discorso ferocissimo contro il monopolio. E' in Smith il concetto secondo cui ognuno, libero di agire per il proprio interesse e combinandosi con l'azione degli altri, determina un'azione collettiva che alla fine è la più virtuosa, però è altrettanto suo il concetto che alcune funzioni debbano essere pubbliche, come l'ordine pubblico, la giustizia e tutto ciò che serve per poter partecipare all'azione collettiva. Quindi capacità e diritto sono inscindibili? Secondo Smith il mercato per funzionare ha bisogno di molteplicità, la molteplicità di partecipazione e la partecipazione implica necessariamente diritto e capacità. Laddove non c'è diritto o non c'è capacità non c'è mercato. Il problema di molti paesi in via di sviluppo non è quello di ridurre il loro costo del lavoro per attrarre capitali, ma di creare condizioni per sviluppare internamente le proprie capacità. Ma questo dovrebbe essere evidente: può esserci il diritto formale di fare qualche cosa, che però non viene esercitato per assenza di capacità o anche di interesse a farlo. Smith sottolineava come la scuola fosse un bene pubblico e dovesse essere gestita dallo Stato proprio per questo motivo. Naturalmente, nell'altro caso, quello in cui la gente ha delle capacità ma non ha diritti, c'è una crisi dal punto di vista politico: il sistema politico non è più in grado di sostenere il frutto economico. Ho l'impressione che lei veda i problemi più dal lato politico, mentre i liberisti vedono nel politico, in particolare nello Stato, il problema principale ... Trovo totalmente pretestuoso questo ritorno liberista perché tutti coloro che dicono di essere liberali o liberisti -io personalmente non sono né liberale né liberista- dimenticano o vogliono dimenticare la straordinaria complessità del ragionamento liberale. Anche il principio dell'individualismo, che è alla base del pensiero liberale, non vuol dire che non c'è lo Stato, ma vuol dire che c'è uno Stato che mette in condizione i singoli di poter agire liberamente. Ma da qui a pensare che ciò implichi la distruzione dello Stato, delle regole, ce ne passa. In realtà questa operazione ha sempre covato, dentro di sé. i germi del!' autoritarismo: chi in quel momento controllava la situazione voleva negare la Iibertà agi i altri. Oggi in Italia nessuno ha dubbi che ci sia bisogno di riaffermare l'idea -ma si era mai sviluppata?- di una società di mercato, ossia di una condizione in cui i singoli possono Abbonamento ordinario a 10 numeri di UNA CITTA': 40000 lire. Abbonamento sostenitore: 100.000 lire. Abbonamento estero: 60000 lire. avere diritto ad esprimere le proprie capacità e che, per fare questo, sia necessario fare una profonda riflessione sul ruolo dello Stato. Ma che questo si possa fare appaltando lo Stato ad un gruppo di monopolisti autoritari, lo trovo assolutamente inaccettabile. Fosse pure una soluzione di efficienza, e io non lo credo, la penso come Smith: il monopolista è deleterio non perché inefficiente, ma perché è un autentico nemico della democrazia. Il criterio dell'efficienza tuttavia viene sbandierato alquanto e già questo è preoccupante ... In ogni caso dell'efficienza del monopolista, per il solo fatto che non si confronta con altri ad armi pari, non abbiamo la controprova. La presunzione di efficienza è inaccettabile. Ma non mi stancherò di ripetere questo principio liberale, insegnatoci da Adam Smith che non era un comunista: se anche l'efficienza fosse dimostrata, comunque sarebbe inaccettabile perché blocca l'entrata di altri, e, bloccando l'entrata di altri, sostituendosi ad un regime di interazione, detta una regola di tipo autoritario. Detto questo, non c'è dubbio che tornare a ragionare sullo Stato è il problema di fondo. Noi abbiamo ereditato dal passato una struttura amministrativa centrale di derivazione napoleonica per un verso e prussiana per l'altro, ossia un apparato amministrativo gestito in termini militari, con una fortissima ripartizione di compiti, che aveva la funzione di sostituirsi ai comportamenti individuali nella supposizione che gli individui non fossero in grado di raggiungere comportamenti socialmente sostenibili. Ora, il concetto di Stato nazionale è da tempo in crisi. Da una parte perché in un'economia aperta, in una società aperta esistono sempre e solo sovranità limitate: c'è la Comunità Europea, ci sono gli altri paesi, c'è la borsa di Londra. I comportamenti dello Stato, per quanto importanti, sono limitati perché a livello sovranazionale ci sono fatti che sfuggono. Si pensi a come l'andamento della lira costringa il governo a fare delle scelte di tipo reattivo. Dall'altra parte, le spinte centrifughe non sono più azionate dagli sconfitti che vogliono sfuggire alla omogeneizzazione nazionale. Tradizionalmente, infatti, i movimenti indipendentisti erano fatti di poveri, di marginali. Il fatto più rilevante degli ultimi anni è che gli indipendentisti odierni sono i catalani, i fiamminghi, i lombardi ... Insomma sono i più ricchi a non voler più pagare per la situazione. Questo dimostra che un meccanismo basato solo su un federalismo compensativo, non funziona più. Tutta la le11eratura di ingegneria amministrativa del traCc. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., via L Ariosto 27, 47100 Forlì. Oppure tramite bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 intestato alla Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale. Una copia: 5000 lire. A richiesta copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. sferimento incrociato di risorse non funziona più. L'economia si è internazionalizzata, ci sono reazioni regionaliste, quale diventa un teatro adeguato per la politica, più che mai necessaria in una situazione mondiale come quella di oggi? Questo è il vero problema. Tutto il dibattito che oggi viene fatto, e che in gergo si chiama bottom-up, cioè le politiche dal basso, nasce proprio da qui: qual è il livello di legittimazione minimo per cui è possibile ripartire per fare politica? Perché in tutti i paesi del mondo c'è stata questa esplosione di regionalismo? Tanto più il livello nazionale diventa sempre più incapace di comporre i conflitti tanto più si ha bisogno di ripartire dal basso. E il partire dal basso diventa pericoloso perché rischia di essere il conflitto di tutti contro tutti, ma diventa nello stesso tempo straordinariamente utile e, nella sinistra, assolutamente necessario, perché obbliga a ragionare non più in termini di omogeneità, di uguaglianza per omogeneità, ma in termini di uguaglianza per complementarietà di diversi. La sinistra, infatti, non è abituata a ragionare sul fatto che I' uguaglianza non implica che siamo tutti uguali, ma che ognuno è diverso, e ha il diritto di essere diverso. Proprio in ragione di tale diversità si può lavorare assieme, perché si è complementari. Quando si parla di mercato se ne parla sempre come se tutti fossero contro tutti, invece l'efficienza del mercato dipende proprio dalla possibilità di essere diversi e quindi complementari. La specializzazione richiede complementarietà: io faccio un lavoro perché sono sicuro che lui ne farà un altro, diverso ma complementare al mio: Occorre rispiegare cosa vuol dire libertà oggi, cosa vuol dire ugµaglianza oggi, cosa vuol dire fraternità oggi, tentando di capire quali sono i diritti dei singoli. Questo implica, ad esempio, una fortissima riflessione sul ruolo del1'amministrazione locale, dei governi regionali, del governo nazionale. E implica una rinnovata attenzione ai beni pubblici, quelli, cioè, che i cittadini possono avere in base al principio di non esclusione. E direi che è su questo che poi oggi si fa la differenza fra destra e sinistra, chiunque sia al governo. Per esempio, non è detto che tutta la sanità sia un bene pubblico, ci sono attività che possono essere benissimo private. La difesa della maternità è un bene pubblico, ma noi possiamo stabilire che non lo sia, per esempio negli Stati Uniti non lo è; possiamo stabilire che anziché fare uno stadio, facciamo una clinica per far partorire tutti coloro che sono cittadini, oppure che sono solo "presenti" sul territoPer esempio a livello locale i comuni non avranno più nessuna possibilità di gestire alcuni servizi alla cittadinanza come i giardini pubblici e, forse, gli asili. Le alternative sono diverse: una è la privatizzazione, cioè trovare qualcuno che li gestisca; un'altra è trovare meccanismi per cui coloro che ne usufruiscono compartecipino alla gestione. Nel caso dell'asilo, possiamo anche immaginare che l'asilo divenga una sorta di s.p.a. di cui posso comprare un'azione: se ho un figi io, compro una quota, sto nel C.d.A. per gestire l'asilo e poi mi rivendo la quota. Questo può anche funzionare, ma il limite è che può funzionare in un posto dove la struttura sociale è già talmente forte da poter fare anche a meno di una soluzione simile: se a Ferrara, per esempio, il mio asilo, anziché farmelo gestire dal Comune, lo gestisco in prima persona tramite un comitato, va bene. Ma dove la società è talmente debole che non è in grado di autorganizzarsi, come faccio? ., Una tale soluzione funzionerebbe, cioè, in società nelle quali esiste una forte identità, con un forte senso di sé, con una forte capacità di autorganizzarsi: in Emilia, nelle Marche, nella Toscana, ma già in Lombardia per esempio è più difficile, non dico in Calabria. Quindi il problema è come fare a mettere tutti in condizione di arrivare al punto di autorganizzarsi? Qui, effettivamente, il binomio sinistra-innovatrice, destra-conservatrice non regge più. Pensiamo all'Inghilterra dove la Thatcher è stata fortemente innovatrice, non si è limitata a conservare, ha fortemente inciso sulla struttura sociale: per esempio il meccanismo di fortissima destata1izzazione dell'economia è stato portato avanti con una quantità di regole molto rigide sul comportamento dei singoli. A conferma che tutto il processo di deregolamentazione lo fai riregolamentando, senza abbandonare al primo che arriva la legittimazione dell'azione pubblica. Il caso più eclatante è il dibattito sulle televisioni, sono 15 anni che il Parlamento inglese legifera in materia di televisioni in una maniera talmente restrittiva da far invidia in Italia a Rifondazione comunista ... Non puoi volere molteplicità e di fatto attribuire un potere di monopolio. Deregolamentazione non è abbandono della legge, ma è formulare l'azione ed il ruolo della legge in maniera diversa. E questo, sì, dovrebbe vedere la sinistra come l'interprete principale del cambiamento. - La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti. Franco Melandri. Gianni Saporetti. Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Masselli, Franco Melandri, Morena Mordenti. Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Hannocollaborato: Edoardo Albina ti. Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giovanna Anceschi, Giorgio Bacchin, Carlo Bellini. Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci, Vincenzo Bugliani, Dolores David. Kanita Focak, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Gianluca Manzi, Carla Melazzini, Gabi Micie. Lejla Music, Ozren Kebo, Oreste Pivetta, Linda Prati, Carlo Poletti, Stefano Ricci, Rocco Ronchi, don Sergio Sala, Sulamit Schneider. Adriano Sofri. Interviste: A Patrizio Bianchi. Paolo Bertozzi. A Nicoletta Arena e Heinrich Grandi. Gianni Saporetti. A Altin Musta: Carlo e Marco Bellini. A Piergiorgio Bellocchio: Gianni Saporetti. A Lai/a Romano:Gianni Saporetti. A William Raffaeli:Gianni Saporetti. A FrancoMelandri: Rosanna Ambrogelli. A Anna Moreno: Carla Melazzini. Disegni di Stefano Ricci. Foto di Fausto Fabbri. In copertina, a pag. 9 e 10·11, di Vincenzo Cottinelli. A pag.14 e 15, tratte da Espagne 1936. images de la révolutlon soclal(Les Editions de l'Entr'aide). Grafica: 'Casa Walden·. Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 2 ottobre '95. UNA CITTA'

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