Una città - anno IV - n. 29 - gen.-feb. 1994

gennaio-febbraio LA "VIA ROMANA". Mimmo Cecchini, assessore all'urbanistica di Roma, ci parla dei problemi di una metropoli, della perdita d'identità delle periferie, delle possibilità di riconciliare natura e storia. UNA SERA DI DUE ANNI FA di Dzevad Sabliakovic, è un diario che inizia il giorno in cui iniziò tutto. JUDE L'OSCURO è /'intervento di Rocco Ronchi. In seconda e terza. TRA GRAZIA E POLITICA. Stefano Leoni e Gaetano Lettieri discutono dell'intima necessità, per un cattolico, di fare politica sul difficile crinale fra tentazioni teocratiche e fughe individuali nel misticismo. Gli ORTI DI GUERRA di Edoardo A/binati. In quarta e quinta. TU OCCUPI? di Gennaro Esposito, sono le annotazioni di un insegnate napoletano che è andato in giro per scuole occupate e autogestite. ANSA Al CLAMORI è /'intervento di Vincenzo Buglioni. TERRA BRUCIATA è /'intervista a Mario Massarenti, del Sert di Bologna, sulla pericolosità del non considerare la droga come malattia. In sesta e settima. IN MOLTI GIORNI è /'intervista a Erri De Luca. Vi si parla di Bibbia, di una lingua povera e brutale che miracolosamente ha prodotto un libro da cui veniamo tutti, di '68 e notti passate ai cancelli Fiat e d'altro ancora. In ottava e nona. PICCOLA CENERENTOLA è /'intervista a Desi Debar, sinta diciassettenne, combattuta fra il sogno di un marito gagio e l'amore orgoglioso per la sua famiglia. In decima e undicesima. LA VIOLENZA DELL'ASTRONOMIA è /'intervista in cui Piero Giorgi, "antropologo pacifista", sostiene che la violenza è nata coi primi calendari e che è possibile contrapporre alla pedagogia "idraulica" di Freud un'educazione della parola, del "mettersi a sedere". EDUCARE ALLA PACE è /'intervista a Daniele Novara, del Centro di Educazione alla Pace. LA GUERRA NON E' UNA FATALITA' è /'intervento di don Sergio Sala. In dodicesima e tredicesima. SOTTO LA COLTREDELLA MALATTIA è /'intervista a Mattia Morretta, dell'Associazione Solidarietà Aids di Milano. Vi si parla della possibilità di vivere /'aids come ricchezza interiore in una società che vuol rimuovere sofferenza e morte. OLTRE IL DOLORE MANGIARE FRITTELLE è /'intervento, per "stazioni", di Antonella Anedda. In quattordicesima e quindicesima. CHE DIO TI DIA SALUTE E FORTUNA. Dai ricordi di Mirella Karpati il mondo affascinante e sconosciuto degli zingari italiani e di donne straordinarie. In ultima. ano

~n mese di un anno ..,.,..._,,,_,. . .,,..~ Il Il Il cambiamento della popolazione di una metropoli e lo spaesamento delle periferie. Per ricostruire identità la necessità di "nuovi centri" in un reticolo che riesca a collegare la storia alla natura. Intervista a Mimmo Cecchini, assessore all'urbanistica di Roma. L'idea che si ha della metropoli conlem1>oranca è che in essa sia impossibile un abitare, che sia sparito il senso di quell'essere "cittadino•· che fa da fondamento alla nostra cultura 1>olitica... Non bisogna mai dimenticare che. in Europa, circa il 70% della popolazione vive nelle cillà. Che viva nel centro di un· arca metropolitana, nella periferia o in un centro minore in!>crito in una rete metropolitana. ormai la stragrande maggioranza della popolazione europea, come anche degli altri paesi industrializzati, è una popolazione urbana. Una popolazione urbana che negli ultimi anni è molto cambiata sia nella composizione. che nelle esigenze. A questo proposito un sociologo milanese. Martinolli, ha recentemente pubblicato un libro, intitolato ..Metropoli .., in cui fa un'analisi della trasformazione degli usi della cillà ed elabora la teoria delle ·'quattro popolazioni''. Martinotti parte sottolineando che la città industriale era composta e usatadaquel I i checi abitavano eda quelli che ci lavoravano e. poiché i luoghi di abitazione spesso non coincidevano coi luoghi di lavoro, il fenomeno prevalente era quello del pendolarismo. Ma a questedue popolazioni oggi seneaggi ungono altre due: quelli che visitano la città per motivi culturali. turistici, di lavoro (e affollano gli alberghi e i centri delle città storiche, come Roma, Venezia, Firenze) e quelli che hanno scelto come primaria un'abitazione extraurbana, mahanno mantenuto un pied-a-terre. un alloggio, nella città. Questo cambiamcnto nella struttura della popolazione comporta che sempre di più, nel pensarsi, nell'organizzarsi, la grande città debba tener conto cli queste articolazioni, delle e:,igenze diverse che i residenti temporanei hanno rispetto ai residenti stabili, del diverso rapporto che essi stabiliscono con la città. del diverso contributo che danno alla vita economica. E non solo è cambiata la ~trullura della popolazione che usa la cillà. ma è cambiato anche il modo in cui gli abitanti stabili abitano nella città. Ultimamente a Roma :,i èparlato molto ciel problema della casa. c·è stato lo sgombero di circa 400 alloggi e, dal!' impre:,sione che !,i ha leggendo la stampa. sembrerebbeci sia un movimento per la casache potrebbe ricordare le situazioni cli 15-20 anni fa. Ma non è così, il problema della casa a Roma e, credo. anche nelle altre grandi città italiane, è molto diverso. per alcuni motivi strutturali, da come era alla fine degli anni '70. E' diverso per il fatto che in Italia, come nel re. to dei paesi industrializzati, la popolazione urbana non cresce più -in alcuni casi, anzi, si riduce- e quindi non si pone più il problema di ospitare stabilmente in queste metropoli un numero crescentedi cittadini. Ma il fallo che il numero degli abitanti si riduca non implica che servano meno alloggi, perché è cambiata anche la struttura della popolazione stabile. Cresceper segmentazione il numero delle famiglie, cioè si riduce i I numero medio di componenti delle stesse(un numero sempre maggiore cli persone formano famiglie di una sola unità), quindi cresce i I fabbisogno di alloggi di dimensioni più piccole e, dato l'aumento medio del reddito, cre:,cc anche l'esigenza di un maggior spazio pro-capite (l'indice di affollamento. che negli anni ·70 era vicino a 2 abitanti per stanza, ora è d1 poco superiore ad I). Da anni, inoltre. gli studiosi dicono che nella grande cillà il problema della casanon è di natura generale. ma di natura spcci fica. cioè vi sono specifici soggclli (anziani, disoccupati per la di:,occupazionc di ritorno. persone che entrano drammaticamente in una situazione di povcnà, giovani coppie, singoli con un reddito insufficiente) che non riescono a risolvere il problema dcli' abitazione nelle condizioni attuali. Per eia cuno cli questi bisogna studiare una sistemazione ad hoc, provvedere specificamente. quindi riorganizzare 1• intera politica della casa, ma non nel senso in cui lo si è fallo negli anni '70. cioè procedendo ad una offerta massiccia di nuovi alloggi standard. Per tutto questo, come dicevamo, la condizione della persona che vive nella città è la condizione più diff usa e non si darà un ritorno alla campagna perché anche 1•abitazione sub-urbana (nella quale, anche giustamente, molti oggi preferisconoabitare perchée' èmeno rumore, più verde, più spazio) è comunque inserita in una condizione urbana. Questo inserimento non èdato solo dalla televisione. dal telefono, eccetera. maè datodal fallo che esiste uno stile di vita prevalentemente urbano. Possiamocerto vagheggiare il ritorno ad una età dell'oro, in cui certi guasti della metropoli non ci siano più, ma, secondo me, questa possibilità non esiste: dobbiamo far diventare un po' meno peggio la metropoli, non pensareche ci sia una possibilità ·'altra". Questa possibilità possiamo sognarla, forseci fa bene,ma poi ci si sveglia, la realtà èque ta e il nostro compito è agire in questa realtà. Riguardo poi al ~en:,odi appartenenza... Roma è unacillà che dal dopoguerra a oggi è aumentata di quasi due milioni di abitanti, ci sono state ondate immigratorie rilevantissime: negli anni '60 e '70 ogni anno entravano nella città 50-60.000 nuovi abitanti che provenivano prevalentemente dal Luio e dalle regioni meridionali. Questi nuovi abitanti molto spesso entravano costruendo delle case abu. ive e frequentemente si ricostituivano, in questa immensa periferia romana, strutture di identità, o meglio di sub-identità. Nelle borgate di Pasolini, o nelle borgate degli anni '70, andavano di pari passo un processo di omologazione dei comportamenti, o anche di anomia, e il tentativo di ricostruire, in una sorta di autodifesa, delle subcomunità ad origine regionale, paesana:ci sono parti della periferia romana, soprallutto di quella orientale, in cui si ritrovano ancora ceppi relativi ai luoghi di origine. Ad esempio, sulla Tiburtina, che è la zona industriale storica di Roma, c'è un quartiere di periferia, il Tiburtino Quarto, costruito nella seconda metà degli anni '50 soprattutto per l'immigrazione abruzzese. Allora la cultura prevalente era UNA SERA DI DUE ANNI FA Dzevad Sabliakovic, noto giornalista della TVjugoslava, è oggi 1111 esule. Da un anno vive e lavora a bordo della nave che dall'Adriatico trasmelle 24 ore su 24 notiziari e musica per la ex Jugoslavia. Ci ha spedito alcune pagine del diario scritto durante i mesi in cui era bloccato a Sarajevo, dove aveva dato vita ad 1111TaV indipendente. 10 aprile 1992 I cani abbaiano nel centro di Sai"ajevocome se fossecampagna. Le strade sono vuote, spettrali, solo cani. Da questa guerra è difficile che uscirò vivo, anche se non partecipo. Indipendentemente da chi vincerà, se un vincitore ci sarà. Un caos insanguinato sarà-sicuramente. E' già cominciato. Speravo non fosse possibile, ma è già qui! La realtà! Adesso è in silenzio, e tutto il giorno è stata una sparatoria. La paura si è infilata eassestatadentro di me. Il momento della morte può arrivare anche stasera. In forma di parossisticarabbia eestasi. Mi chiedo se avrò la forza per la dignità. Rimango aSarajevo. Ho paura, ma rimango. Ho promesso di rimanere con il nostro progetto fino all'ultimo giorno. So che questo giorno è vicino: una tv indipendente non può sopravvivere in guerra. So che anche le nostre trasmissioni, cui la gentecrede più che aqualsiasi altro mezzo di comunicazione, non possono essereconservate. Per questo comincio a scrivere. Provo a ricordare quando è cominciato. Cominciato cosa? Nessuna parola, nessunaespressioneè esattamente corretta. Per me è cominciato tutto nella notte fra il 4 e il 5 aprile quando un giovanotto con la calza sul viso e un fucile in mano si è avvicinato ali' auto in cui ero con duemiei colleghi. L · indice sul grilletto. "Andiamo in albergo ...'', gli dice il mio amico. Il giovanotto alza il Kalashnikov. Altri due, con i fucili, stanno avvicinandosi. Un po' più in là un poliziotto in uniforme guarda e non si muove. Anche in Croazia la guerra è cominciata con la divisione della polizia. Il mio amico al volante manovra lentamente, è tutto concentrato, ha capito in che situazione siamo. All'improvviso parte fortissimo, salta il viale e si butta contromano verso il centro di Sarajevo. In giro non c'è nessunoedè sabato! Saltiamo tutti i semafori rossi. Appena raggiunta la casa di mia sorella comincia la sparatoria e r inferno si accende. Tutto si ripete tre giorni dopo: il centro della città è coperto dal fumoedal fuoco del bombardamento. Le lingue di fuoco salgono dalle finestre degli edifici che erano l'immagine di Sarajevo. Dal dodicesimo piano di un grallacielo in Kosevsko brdo guardiamo increduli. '·Sono pazzi?" ripeti amo sotto voce. 29 Maggio 1992 Dopo il massacrodi ieri in via Vaso Miskin nel centro della città, dove 14 personesono stateuccise, stasera l'apocalisse si completa. Verso le 22 detonazioni mai sentite prima squassanola città: sono razzi Katuscia. Per le esplosioni il grattacielo trema. Tutti gli inquilini sono per le scale all'altezza dei piani centrali. Distrulli, spaventati ma senza panico donne, anziani, bebé, bambini. Nessunopiange, nessunofascene isteriche. i bambini perfino giocano. I sentimenti che mi riempiono sono rabbia e indignazione. Ma chi sono gli uomini che sparanogranate sulla città, sui bambini? Ritorno nel mio appartamento al dodicesimo piano da dove vedo una gran parte del centro: tutto è in fiamme, inimmaginabile. un'apocalisse selvaggia. Nel buio della nolle c'è ungran fuoco mai visto in vita mia. E' la fine del mondo e di ogni ragione. Granate e razzi continuano a cadere nel centro. Brucia la città che rappresentava la specificità cli questa regione, la sua bellezza, la sua sensibilità. la vitalità, lo spirito, l'ingegno. Non c'è ragione che possagiustificare questa malvagità. Mi sbrigo a scrivere perché non sosesopravvivo alla prossima granata. Non riesco acapire la politica e il mito che vogliono bloccare la corrente vitale della primavera, con le sue ciliegie mature e la felicità umana. Guardo le fiamme che salgono: è la fine di Sarajevo. della dolce e sensibile Bosnia. Dal male nasceràsolo male. L'odio diventerà totale come questo buio. Seesco vivo da questo inferno non credo che tornerò mai più. Seduto sul pavimento, le spalle al muro. guardo il tremolio del fuoco sui muri, penso alle mie figlie e cerco di non impazzire. 23 agosto 1992 Esco in un giorno incredibilmente bello strappato alle sparatorie. E' così bello che è incredibile che qualcuno abbia voglia di uccidere. Gli inquilini del grattacielo accanto alzano le tapparelle e guardano verso Trebevic, la montagna da dove i Serbi sparano. Guardano se arri va la granatache puòdistruggere questa mattinata falla solo per le cose belle e buone. E' successo dopo. Esplosioni molto vicine ci hanno spinto nei rifugi. ma siamo rimasti tutti per le scale, vicino all'ingresso. on ne posso più e per rabbia. dispello, protesta esco fuori. La stradaèdeserta,masubito arriva un levriero afgano, belli simo. Alle mie parole si avvicina, dimenando la coda insanguinata. Ha il collare. è pulito e triste e sembra dire: prendetemi e tenetemi. Uno dei tanti cani di razza i cui padroni sono morti o fuggiti. Entra nel rifugio con gli occhi belli, stanchi, persi. Non vuole mangiare né bere né uscire. Fuori si è calmato un po·, la gente comincia ad andarsene. Ma lui non esce. Alla fine un ragazzo rie ce a portarselo dieLro, cercheranno da mangiare. S'allontanano e la camminata elegante di quel cane ha dell'incredibile. Non c'è luce per il sesto giorno e tulli dicono che bisogna mangiare le piccole razioni di riserva dei freezer. Oggi saràunabella giornatacon menù di carne! I I problema è cuocere senzaelellricità. Per fortuna la sparatoria si allontana, si va tutti in cortile ad accendere fuochi per cuocere. 31 agosto 1992 Dopo mezzanotte è cessato i I bombardamento. La cantina è piena di gente, abitanti della casae passanti. Cantine come vere catacombe. gente distrulla, muta. ma calma. Siamo qua sollo da piL1di cinque ore. Ho provato a leggere, per caso ho un libro adeguato: ·'Elogio della pazzia", ma è impossibile per via del costante frastuono delle granate e del tremolio della candelina che illumina la icona, ma non il mio libro. Quando le granate sorvolano il tcllo si senteun rumore che somiglia al pianto di un bambino. Quando cadono più vicino la cantina trema e noi aspettiamo che la successivacadasulla nostracasa.Dopo mezzanotte scende un po· di calma. La gente comincia ad andarsene. Ai passanti che si sono rifugiati lì da noi dal tramonto si offre cli dormire nelle varie case, fuori nessuno gira, solo i soldati che possono spararesenzaavvertimento perché c'è il coprifuoco. Da me e mia sorella vengono due ragazzini. I settembre 1992 Ci alziamo presto. Mia sorella è sedutain cucina,ci guardiamo stanchi: ma che buon giorno! I rifiuti si sono accumulati, vado a buttar via due sacchi. I container son lontani come i I diavolo, per la strada come al solito non c'è nessuno, solo i cani che mi seguono nella speranza che ci sia qualcosa per loro, ma ormai non si butta via più neppure un briciolo. Torno a casa e bevo mezzo bicchiere di acqua. "Non ce n'è più'' dice rassegnatamia sorella. Prendo i bidoni, so che in una scuola a un chilometro da qui c'è r acqua. Sorrido, se devo morire è più dignitoso mentre porto l'acqua che l'immondizia ... La scuola è piena di profughi, davanti alle aule ci sono le scarpe sparpagliate, anche i bagni son pieni di persone che prendono acqua. Mi ci vuole un'ora per riempire i bidoni. Appena escoricomincia la sparatoria. Corro per togliermi da un'area allo scoperto e mi nascondo in una stradina più sicura. Prendo fiato e mi accorgo che la casa lì davanti è strana:quella infalli nonè una finestra. è un grande buco da cui sventola una tenda. Tutto il muro è pieno di buchi grandi e piccoli, a Sarajevo non esiste una strada sicura. A casa trovo il mio amico Dubravko e nostra cognata. Questaè Sarajevo: intorno al tavolo siamo Goga, serba,Dubravko, croato, mia sorella ed io, mussulmani. E quella pazzia dalla collina, che ad ogni costo vuole distruggere questa bellissima cosa, continua ... ' '.' 1 f l J

un po' quella di "Comunità", la rivista di Adriano Olivetti, c'erano molti studi di sociologia sulla distruzione della cultura contadina nel processo di inurbamento nella grande città, c'era il neorealismo anche in architettura, ed i progettisti del Tiburtino Quarto, alcuni tra i migliori architetti che ci fossero allora a Roma e in Italia, fecero un quartiere con l'idea di ricreare nella periferia metropolitana le condizioni della vita del paese. Quindi gli accessi ai primi piani erano fatti con le scalette, c'erano i comignoli, c'erano i muretti, c'erano le inferriate alle finestre, anche se erano case a schiera di due o tre piani o delle torri di nove o dieci piani; insomma, tutta la configurazione del quartiere era immaginata nel tentativo di ricostituire un certo tipo di vita comunitaria. Dopo pochi anni, però, a Roma degli abitanti del Tiburtino quarto si diceva che "abbitano ar presepe" e noi studenti di architettura andavamo là, era comunque un'opera importante, a studiarla, a ridisegnarla, e ci rendevamo conto che era un tentativo generoso, ma senz'altro fallimentare: la vita della città contraddiceva quel tentativo, così come sono condannati al fallimento tutti i tentativi di ritrovare nella metropoli i modi di abitare del villaggio. Adesso, essendosi fermata la grande ondata dell'immigrazione, (per la prima volta da oltre mezzo secolo il numero degli abitanti di Roma non cresce più), essendo arrivati ad una generazione di abitanti nati in città (i giovani nati in un quartiere di periferia, che adesso hanno 18-2025 anni, hanno conosciuto solo la metropoli) siamo forse davanti ad un'occasione importante, in cui dobbiamo trovare l'umanità metropolitana. Certo in quattro anni non si possono fare grandi cose, ma la scommessa è quella di invertire una tendenza e cominciare a fare qualcosa di diverso: non ricostituire la cultura contadina, del paese, ma fare di queste periferie delle città autonome. La nostra grande scommessa è di dare a Roma un assetto policentrico, che si può realizzare se nella periferia esterna si costituiscono alcuni "centri città" intorno ai quali far ruotare le funzioni e i servizi, attorno a cui ritrovare, anzi costruire, un'identità. Questa identità, questa scommessa, ha una chance data dal fatto che a Roma esiste una ferrovia metropolitana molto importante, con oltre 300 km di linee che partono da un anello centrale, vanno verso i centri periferici e poi proseguono per le altre regioni. Se in questi anni riusciremo a trasformare queste linee ferroviarie in linee di servizio metropolitano, cioè a fare in modo che da questi centri periferici (Monterotondo, Guidonia, Tivoli, Castelli, Bracciano, che distano mediamente 25 km dal centro di Roma) si arrivi in città nell'arco di 30-35 minuti, se daremo a questi· centri una accessibilità che li faccia sentire parte di una metropoli reticolare e riusciremo a costruire in questi centri delle nuove identità, allora forse avremo dato a questo sistema un connotato che potrà far sentire i romani cittadini di Roma. A Parigi, Londra, Berlino, Barcellona, Madrid, troviamo questa dimensione dell'essere cittadini di una metropoli, troviamo una cultura metroplitana positiva e moderna, non astratta ma basata su fatti concreti; a Roma, invece, questa dimensione c'è poco o niente. Tuttavia un modo di essere, un abitare, è anche altro... La metropoli oggi è una grande macchina di comunicazione, un grande nodo nel quale convergono flussi di informazione, messaggi, conoscenza, innovazione, trasformazione. Da sempre la città è stato il centro delle innovazioni, la nostra è una civiltà urbana, il problema è sentirsene parte. Un abitante della periferia romana -continuo a parlare di periferia perché oltre i 2/ 3 dei residenti a Roma possono essere considerati residenti in periI ILICORRIERE ESPRESSO ~~© GROUP INTERNATIONAL FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 - Tel. 0543/31363 - Fax 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Blocco 32/C - Gros Rimini Tel. 0541/392167 - Fax 392734 SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA BibliotecaGino Bianco feria- oggi certo non-si sente parte di questo nodo di informazioni, perché non ha gli strumenti, perché la sua realtà quotidiana è quella di vivere in un casermone, dove magari si sentono le voci del I' inquilino accanto, dove ogni mattino ci si sveglia e ci si ficca nella fila interminabile del traffico. Naturalmente questo è il portato di un modo di costruire la metropoli che non si cambia in pochi anni, ma quello che noi dobbiamo ritrovare è l'immensa capacità di rapporti e dicomunicazione che la metropoli offre, questo è possibile se si percepisce e si utilizza la città come un sistema, come un insieme dotato di senso. Naturalmente il senso non è, né principalmente né esclusivamente, un senso attinente la forma della città, ma sicuramente attiene al lavoro, a come si usa il tempo libero, a come ci si trasforma culturalmente, a come si dorme, al rapporto con la cultura, cioè con la conoscenza di sé e dell'ambiente che ci circonda e da questo punto di vista Roma ha delle possibilità straordinarie. I due aspetti fondamentali per la trasformazione di Roma, ai quali si deve guardare immaginando un nuovo piano urbanistico, un abitare per la metropoli, sono la storia e la natura. Certo, tutte le città sono storia, ma Roma lo è più di molte altre e non solo nel centro, ma anche in periferia. In ogni punto, anche nell'agro romano, ci sono delle permanenze della storia; nella rea1izzazione dello SDO (Sistema Direzionale Orientale), per esempio, sono stati posti dei vincoli archeologici su uno dei maggiori comparti perché là c'era un grande insediamento costantiniano, c'erano delle ville e le caserme degli "equites". Allora, sta a noi pensare questa disseminazione della storia come ad un fatto culturale profondo, sta a noi pensare il sentirsi parte di una storia lunghissima come elemento di identità. Ogni volta che entriamo in una crisi, sociale o personale, sempre cerchiamo le radici: Roma è una città che offre radici straordinarie e noi dobbiamo riferirci ad esse, la storia è la città stessa, è il sé della città, è un elemento di identità che la nuova generazione dei romani, che conosce solo la città, può riscoprire. L'altro grande elemento di cui parlavo, cioè la natura, è l'altro da sé, e Roma ha non solo l'agro romano chè la circonda, ma anche un grande cuneo verde -il parco di Vejo, il bacino dell' Aniene e del Tevere, il parco del!' Appia che arriva quasi fino al Colosseo e ai Castelli- che mette in relazione il centro storico con la campagna. Ecco, nel ridisegnare la struttura del!' area metropolitana, nell'impostare questo piano strategico, noi dovremo tenere attentamente conto degli elementi naturalistici e di quelli storici, perché è da questi che la metropoli può trarre un proprio modo di essere che renda contemporaneamente vivente, cioè fonte di identità, il sé della storia e l'altro da sé della natura. Pochi mesi fa ho letto il libretto di uno storico della filosofia, Remy Brague, in cui si sostiene che l'Europa di oggi sta vivendo un passaggio storico che, dalla caduta del muro di Berlino in poi, è al tempo stesso di grandi speranze, di voglia di unificazione, e di grandi cadute, di grandi preoccupazioni e tragedie. Per Brague la possibilità di superare positivamente questo passaggio sta nel ritrovare la "via romana", lo spirito di Roma, cioè la capacità di capire ciò che è altro da sé, ciò che viene prima, per farne una sintesi nuova. Dice Brague che "Roma non è né Atene, né Gerusalemme, ma ha compreso, ha dentro di sé sia Atene che Gerusalemme" ed è nella riscoperta di queste radici, di questa sintesi, nel renderla parte vivente di una metropoli veramente tale, che potrà essere dato senso alla metropoli ed identità al cittadino che consapevolmente se ne sente parte. - (« CilffdilelRif par midi Forlì s.p.11. -- CONTO, ~ MO a10 annt da11a19anni Perloroil migliorfuturopossibile Aut. Mln. n. 6/1758 del 2/10/93 JUDE L'OSCURO Siamo onesti: dopo quarant'anni di anomalia, questa sospirata normalità -fatta di alternanza tra lobbies, di efficienza amministrativa e di rispetto assoluto per le regole del mercato- non seduce. Ci si può anche sforzare, ma per un mondo lugubre onestamente amministrato è difficile combattere. E' un mondo, questo, sottratto definitivamente alla Storia e riconsegnato alla Natura, con le sue leggi oggettive e indiscutibili: il Fondo Monetario Internazionale elevato al rango di un Dio minore, per l'impensabilità di principio di alternative possibili. Il Novecento con i suoi orrori fascisti e stalinisti ha avuto anche questo senso: consumare l'ipotesi di una Storia che fosse storia della salvezza, restituire una umanità infiacchita a delle potenze neutre che la dominano impersonalmente. Rassegnati, chiamiamo tutto questo: dominio della tecnica planetaria. Con una fretta sospetta, questa lezione di realismo è stata fatta propria da tutti, sinistra compresa. E' sufficiente, per rendersene conto, pensare a come è stata accolta l'atroce vicenda degli indios messicani. La reazione emotiva è stata quella che normalmente si prova di fronte alla notizia di un terremoto devastante in un paese lontano. Quelle esecuzioni sommarie di prigionieri inginocchiati, come la diarrea cronica che devasta la popolazione indigena, sono state vissute, da tutti, come fatti naturali, terribili ma ineluttabili. E non si può certo attribuire la diffusione di questo atteggiamento ad una informazione distorta, perché questa è stata, nei limiti del possibile, precisa e obiettiva nell'indicare le responsabilità occidentali (trattato N.A.F. T.A., deflazione forzata ecc.). Questa passività non è solo indifferenza o egoismo, ma il prodotto di una cultura per certi versi più raffinata, più consapevole. Se la sublime illusione della Storia è finita, l'orrore deve essere infatti reintegrato nell'essere come sua dimensione "naturale". Volerlo cancellare è un inutile titanismo, generatore forse di orrori peggiori (l'orrore della Storia, del resto, ha un nome per noi ben preciso: non è Auscwhitz, ma il gulag staliniano). Il processo di legittimazione di ciò che un tempo si chiamava I' «imperialismo occidentale» avviene insomma per una via inedita, indirettamente: non più grazie ad una ideologica affermazione del primato spirituale e storico di un particolare tipo umano, ma attraverso il mesto e disincantato riconoscimento della intrascendibilità del presente (della sua «naturalità»), di cui, non senza macabra ironia, si sanno peraltro indicare spietatamente tutti i limiti. Il modello insomma è insuperabile, si tratta semmai di renderlo «sostenibile» La questione degli indios diviene così, nel migliore dei casi, una questione «ecologica», la loro insurrezione qualcosa di analogo ai periodici incendi che devastano i grandi parchi naturali e, a proposit9 dei quali, si discute se sia necessario intervenire o meno. Ma, a dispetto di tanto disincanto, resta anche, come fatto altrettanto naturale e insuperabile, lo sguardo disgustato del piccolo Jude, spaventapasseri vivente, che, avendo concesso, per una volta soltanto, agli uccellini la possibilità di sfamarsi, viene picchiato e licenziato dall'inflessibile padrone. "La logica della natura era per lui troppo ripugnante per poterla prendere in considerazione" (Thomas Hardy, Jude l'oscuro). E' uno sguardo, quello di Jude, perdente. A causa di questa ybris, Jude diventerà lo zimbello della Natura, l'oggetto della sua vendetta infinita. Non si può infatti anteporre realisticamente il diritto assoluto della creatura -che si tratti di un indios zapatista o di un uccellino affamato, poco cambia- alla necessità oggettiva del sistema.- Soprattutto in una epoca in cui, come ricorda Hardy, gli-altari delle chiese del Nord Wessex sono desolatamente. disertati dal divino. Non si può. Ma l'impotenza, la oggettiva necessità, non è ragione se non per la natura immortale e ciclica. Chi muore, fin dall'inizio, è in un'altra luce. Ha compiti limitati e oggettivamente assurdi. Può permettersi il lusso di una certa ottusità, può anche, insensatamente, porre a/l'ordine del giorno come questione centrale e inderogabile la fame dell'uccellino e la diarrea dell'indios. Può, infine, senza astio, lasciare che siano altri -più zelanti nel servire ciò che non chiede affatto di essere servito- ad assumersi il compito di onorare, "com'usa I Per antica viltà l'umana gente", il carattere sistemico, globale ed interdipendente di questa neutra violenza. Rocco Ronchi Coop. Cento Fiori LAB. ART. fITOPREPARAZIONI Via Val Dastico. 4 - Forfi Tel. 0543/702661 - Estratti idroalcolici in diluizione 1: 1 o da pianta fresca spontanea o coltivata senza l'utilizzo di prodotti di sintesi. - Macerati di gemme. - Opercoli di piante singole e formulazioni con materia prima biologica o selezionata. - Produzioni su ordinazione UNA CITTA' 3

di politica e altro del la società un punto di riferimento cattolico visibile anche politicamente. La figura amletica di Martinazzoli. Il rischio che tutto, compresa la solidarietà, compresa la sinistra, si riduca a questione tecnica. L'intima necessità della politica per un cristiano e il lusso del misticismo. Intervista a Gaetano Lettieri e Stefano Leoni. G.L.: Spesso si chiede ai cattolici, che già hanno la Chiesa, perché hanno anche bisogno di un partito politico per sentirsi visibili nel mondo, ma questa domanda non tiene conto cli quella che è la società di massa. E cioè: oggi si può pensare di essere visibili, di incontrare le coscienze dei singoli, indipendentemente da un impegno politico ali' interno di una società che tende a essere sempre più omologata, massificata? La stessa Chiesa può riuscire ad avere un ruolo indipendentemente dalla sua azione politica? La questione è pericolosissima, c'è il rischio della teocrazia, ma penso che i cristiani abbiano il dovere di porsi questo problema. Nella concezione liberale la Chiesa rimane nell'ambito del soprannaturale, completamente svincolata dai problemi concreti delle persone, mentre ciò che forma le coscienze è Berlusconi, la televisione, ''la Repubblica", cioè una cultura di massa che sempre più sembra logorare lo spazio di azione, e di sopravvivenza, di un messaggio cristiano. E' di fronte a questo che occorre chiedersi se non ci sia bisogno anche di una visibilità politica. Una visibilità politica che, se non vuole essere teocratica, non può però che accettare la logica liberale che la pone al livello delle altre proposte politiche ... C.L.: Penso ci sia la necessità di una dialettica fra impegno politico e appartenenza alla Chiesa. La Chiesa è l'ambito dell'irriducibilità e quindi non ci può essere un trasferimento automatico dei destini del cattolicesimo nel partito politico, dall'altra parte il partito cattolico ha questo dovere di testimonianza nei confronti di ciò che la Chiesa rappresenta di trascendente rispetto alla storia. Per questo il cattolico ha bisogno di mantenere in qualche modo una propria identità anche a livello politico; il cattolico non può risolvere la sua fiducia nei confronti della storia del mondo nella sua capacità di testimoniarla. Stefano diceva prima che il ruolo cristiano nella storia è di tentare di assomigliare a Cristo ed infatti noi cristiani siamo costretti ad avere un'identità problematica, non delle soluzioni, siamo costretti ad oscillare fra queste questioni. Stefano Leoni è assistente all'Università Gregoriana di Roma. Gaetano Lettieri è ricercatore alla Sapienza. Entrambi, oltre a essere impegnati nel volontariato cattolico, sono studiosi di storia del cristianesimo e dei suoi rapporti con la politica. Sembra che la presenza politica dei cristiani sia al momento particolarmente problematica ... S.L.: Nei cristiani che fanno politica e' è la consapevolezza di avere in larghissima misura tradito l'ispirazione cristiana che sosteneva la DC e di essere stati puniti per questo. Conseguentemente, in questi cristiani, Martinazzoli ad esempio, sembra esserci quasi una volontà di espiazione, di punizione, ma e' è anche la coscienza della necessità di una presenza che, evidentemente, non può più essere egemone. C'è quasi una ricerca della sconfitta, nella convinzione che la sconfitta, ergo I' opposizione, sia necessaria e possa purificare, possa far ritrovare delle ragioni profonde di gestione del potere. Ragioni meno immediate del denaro, del prestigio, che permettano di recuperare attorno ad un'idea cristiana anche quelle forze che testimoniano la presenza cristiana, come il volontariato (per il 90% composto di cattolici), che oggi non sono valorizzate, non sono spese politicamente e proprio per questo sono attratte dalla sinistra, la quale si mostra invece molto attenta ad esse. G.L.: Martinazzoli può essere preso ad emblema di un modo di porsi nella politica che vede il cristiano come martire; cioè come colui che è visibile, che manifesta, anche come perdente, con una sua identità la presenza cristiana nella storia, nella politica, nella società. il rischio di una abdicazione alle ragioni del secolo Da qui l'esigenza di non farsi in qualche modo risucchiare dalla sinistra -anche se sarebbe una soluzione comoda che la sinistra si facesse carico dei valori sociali, politici, che stanno a cuore al cristiano- ed il problema di una identità cristiana che, dopo il disastro della DC, non può che essere radicalmente in crisi, che si dà quasi togliendosi, quasi sopprimendosi. Ecco il perché delle oscillazioni di Martinazzoli, il non prendere posizione è quasi un voler dire che, anche se la DC non c'è più, ci deve tuttavia essere un qualcosa di cattolico che non riesce bene a configurarsi. ,. Al di là dei problemi politici, però, a me pare che ci sia proprio una difficoltà ideoORl'I DI GUERRA Gridano gli immodesti senatori. E' ora che il popolo ... noi diciamo basta ... e tutto quel che segue nelle piazze e nei piazzali d'Italia, dove dai pulman al tramonto sbarcano uomini e donne rabbuiati e inquieti con un giornale piegato sotto il braccio. Chi soffre di non aver lavoro, è miserabile dopo averlo trovato, è il diavolo che gliel'ha dato e il diavolo glielo toglierà, precipitando. La legge dura quanto i baci sul vetro. Trattienili se puoi dietro la porta senza serratura. logica sul come il cristiano debba testimoniare nella storia la sua visione del mondo. lo sono abbastanza pessimista sul successo di un disegno che vede il cristiano come martire che accetta la propria sconfitta pur di non perdere la propria identità, perché, pur avendo una sua validità, è contraddittorio, impolitico, forse troppo intellettualistico e teologizzante, mentre oggi, purtroppo, la catalizzazione politica deve esser.e molto più immediata, visibile, facile. Mi convincono però poco anche i cattolici che si schierano tranquillamente a sinistra; ch·e cioè tendono a risolvere la loro testimonianza cristiana nel cercare consenso a un'etica della solidarietà come se tutto si risolvesse in quello. E' chiaro che, politicamente, un cristiano non può che auspicarsi uno Stato che si faccia carico dei problemi della solidarietà; politicamente è lapalissiano che non si possa cercare nient'altro, niente di diverso. Qualcosa di più significherebbe veramente un "grande inquisitore", significherebbe la pretesa di dominare la società, di imporre ciò che non può essere imposto, cioè di volere cristianizzare ciò che non deve essere cristianizzato con questi mezzi. Tuttavia in questa logica c'è il rischio di una abdicazione alle ragioni del secolo, e' è l'incapacità di mantenere un'alterità nei confronti di quel che è la società, il mondo politico, la stessa struttura dello Stato. Oggi, infatti, il cristiano che si schiera a sinistra in qualche modo accetta una logica di tipo liberale, che confina il cristianesimo nel1'interiorità della propria coscienza, equesto mi sembra un pericolo fortissimo perché tende a risolvere il rapporto del cristiano con la politica soltanto dal punto di vista tecnico, nella gestione più o meno brillante della ricchezza, nella capacità di aiutare gli emarginati e cose di questo genere. Tutto questo ci deve essere, è evidente, ma possiamo, non solo in quanto cristiani, ma anche come cattolici, accontentarci di coltivare il nostro Dio all'interno della coscienza, cioè di non essere in qualche modo un segno visibile di qualcosa di diverso dal punto di vista politico? In questa logica il pericolo è quello di ridurre a tecnica sociale, a gestione della ricchezza, quello che in realtà è qualcosa di diverso, una voce stonata ali' interno del secolo. sentirsi opposizione anche stando al governo Ma la sinistra non garantisce più questa irriduci biIità, questa alternati va al sistema. Per arrivare ad un paradosso: concretamente qual è la differenza fra Occhetto e Berlusconi? Fra loro non c'è la differenza di una speranza, di una fede, del disegno di una società diversa, fra loro c'è solo una differenza tecnica. Arrivando all'eccesso, si può dire che Occhetto è più pericoloso di Segni o di Berlusconi, anche se non mi schiero certo con Segni o Berlusconi, proprio perché non ha la minima coscienza del pericolo che si corre nel ridurre tutta la politica a tecnica, senza la minima tensione ideale, senza la minima coscienza della irriducibilità della situazione esistenziale del l'uomo al la gestione tecnica dei problemi politici. Il problema allora è che, se neanche a sinistra si riesce in qualche modo ad avere un disegno utopico, alternativo a quello della società attuale, ai cristiani spetta in qualche maniera, anche politicamente, una parola di differenziazione. di non appiattimento. Poi diventa difficile dire cosa significa concretamente non lasciarsi ridurre al secolo, cosa significavolere dire qualcosa di altro, cosa significa oggi parlare di utopia senza fare del velleitarismo vuoto e con la consapevolezza che comunque nel disegno utopico è insito il pericolo dell'intolleranza. Ma non può la sola presenza del cristiano nella società dare respiro alla irriducibili ' del cristianesimo? S.L.: lo penso che strutturalmente il cristiano nella storia, e quindi anche nell'azione politica. sia una figura di opposizione. Cristo è stato pietra di scandalo, voleva essere paradosso. segno di contraddizione, e da questo punto di vista la presenza cristiana nella storia dovrebbe essere analoga a Cristo: qualcosa di visibile, ma non omologato, non coerente con la logica della storia, del mondo, che in termini politici vuole dire tecnica di gestione dell 'economia, dei rapporti internazionali, eccetera. Lo spirito del cristiano dovrebbe essere di sentirsi ali' opposizione anche quando sta al governo; all'opposizione rispetto a se stesso, rispetto alle tentazioni del potere, mantendo la coscienza dei limiti della propria azione, del la finitezza dei propri obiettivi. Questo è quello che la DC non ha saputo fare, se non. forse, con Moro. La DC aveva da tempo perso il senso di dover essere essa stessa a fare opposizione a se stessa e si era lasciata appiattire sul potere, lasciando questo compito di opposizione alle forze di sinistra. Più che in un'autocritica, che era tanto più doverosa. tanto più cristiana, si è fatta travolgere in un'autogiustificazione secondo cui. in nome dell'idea cristiana, doveva mantenere il potere contro lo spettro del comunismo, contro una cultura atea. La DC, non ritenendo di doversi autocriticare, autogiusti ficandosi, ha quindi lasciato mano libera alla parte peggiore di sé, si è sentita investita di un compito divino ed è caduta in un fanatismo che ha giustificato i peggiori eccessi sia dal punto di vista morale che culturale. Ha abbandonato a se stessi anche i propri elettori, tant'è che, quando gli elettori non hanno più avuto un tornaconto nel votare DC, l'hanno abbandonata senza tanti complimenti. e questo vale per la Lega al Nord e per il Movimento Sociale al Sud. La DC non è stata in grado di esigere dai suoi elettori, e da se stessa in primo luogo, nessun tipo di tensione morale, quindi di coerenza. In questo momento c'è una presa di coscienza di questo deficit di autocritica, ed è questo che la DC vuole in qualche modo cercare di recuperare lasciandosi sconfiggere. Poi c'è anche questa lettera del Papa, che è inequivocabile. O noi guardiamo le cose superficialmente e diciamo "Il Papa è polacco, è fissato", e quindi la snobbiamo, oppure ha un senso dal punto di vista cristiano, cattolico. un senso che non è valido soltanto nella contingenza politica, ma è proprio del rapporto tra la Chiesa e la modernità. Che cosa vuole dire questa lettera del Papa? Si può dare Chiesa senza un partito politico di ispirazione cristiana. senza un insieme di cristiani che politicamente, nel secolo. rimangono fedeli a una linea di comportamento? Questo è il problema e mi pare che la lettera del Papa confermi, pur nella sua ambiguità, questa esigenza di mantenere ali' interno la carne dell'uomo è politica, è società, è relazione umana Sempre meno nella società e' è qualcosa di cristiano -e in questo senso mi sembra che anche il solidarismo sia un pericolo, cioè che sia la riduzione del cristianesimo a tecnica dell'assistenzialismo, che può essere fatta propria dallo Stato mettendo qualche ministro cattolico- e vedere la Chiesa come totalmente irriducibile alla storia pone il problema dell'anima bella che si salva la coscienza abbandonando il mondo alla sua negatività, cioè di una spiritualità riconciliata con se stessa che vive dentro di sè la propria irriducibilità. La Chiesa pone la questione dell'incarnazione e l'incarnazione significa che il messaggio dell'alterità, del regno dei cieli, viene messo in crisi; l'incarnazione è la manifestazione dell'Amore, Dio in Terra, e questo è il mistero cristiano. li problema fondamentale, quindi, non è quello di mantenere una spiritualità pura, in fin dei conti asettica, ma è la capacità di trasferire la vera spiritualità all'interno della storia. E' un problema di mediazione, dell'ingresso dell'Amore nella storia e quindi è necessariamente un problema politico. Pensare ad un cristianesimo che non si pone il problema politico, con tutte le contraddizioni e gli enigmi forse ilTisolubili che questo comporta, significa impoverire il cristianesimo. Pensiamo alla cultura luterana: se il rischio del cattolicesimo è stato il "grande inquisitore" o la DC, qual è il rischio della cultura luterana? E' quello della progressiva sparizione. li cristianesimo luterano abdica completamente alla ragione di Stato ed è incapace. proprio perché il Regno di Dio è in un altro mondo, di mettere in crisi uno Stato che in qualche modo viene sacralizzato da questo ritirarsi del cristiano nell ·Eden della propria interiorinel prossimo numero: la televisione e il problema dei suoi linguaggi intervista a Piero Dorfles composizione sociale e rappresentanza degli interessi intervista a Aldo Bonomi

tà. Il cristianesimo si dii solo in relazione con la storia. con la concrctczzacsistenzialc di ognuno di noi. ed è per questo che il problema elci rapporto fra fede cristiana e impegno politico non è eludibile. La carne dell'uomo è politica. è società. è relazione umana. cd in questo senso l'irriducibilità della Chiesa non deve essere astratta. separata da questo ambito. ma deve essere testimoniata ali' interno cliesso. Dici che per il cattolico il misticismo è un lusso, ma non potrebbe diventare un lusso anche il voler mantenere nella storia una irriducibilità? G.L.: Il problema è sempre quello posto clall' incarnazione. 11cristianesimo è la coscienza dell'amore. cioè la coscienza che senza l'altro si è persi. Persino Dio, in qualche modo, è perso senza l'uomo, è un Dio di relazione; la Trinità stessa è una rappresentazione dcli' essere persi senza la rclazioncd'amorccon l'altro. Può quindi il cristiano rinunciare. o abdicare, alla chiamata alla conversione dell'altro? Può godere della sua grazia, della sua elezione? li misticismo, la chiusura nell'interiorità, è un lusso, è una forma di potere, di possesso del senso del mondo, unita allo cetticismo nei confronti degli altri e della capacità di testimoniare la propria fede, che a questo punto si svuota completamente. Adorno diceva che la filosolìa ha senso, al cospetto della disperazione come stato costitutivo dell'uomo, soltanto se si presenta sotto l'ottica della redenzione, allo stesso modo anche il cristiano, se perde questa ottica, è completamente lìnito. La volontà di redenzione è una categoria pericolosissima, è una categoria di potere, ed è per questo che noi stessi, cristiani, siamo redenti solo dall'incontro con l'altro, senza l'altro non cristiano la nostra redenzione non si dà. Il misticismo, invece, fa sì che la logica dell'incarnazione sia completamente saltata, quindi sia eluso il problema cristiano stesso. Recentemente ho letto un articolo molto interessante di Mario Reale (un professore di lìlosolìa che è anche un intellettuale del P.d.S) sul rapporto tra Rodano e Del Noce, cioè su due modi diversi di vivere il cristianesimo in rapporto alla politica. In Del Noce, che ha ispirato C.L. e tutto un certo cattolicesimo integralista italiano, abbiamo l'identificazione del valore assoluto, eterno, con la tradizione cattolica, l'idealizzazione della società medievale e una analisi della modernità vista come sganciamento progressivo da questi valori. Da qui il tentativo di richiamare un disegno integralista in cui l'Europa stia sotto l'insegna del cattolicesimo, il ritorno ai valori della tradizione, eccetera. Dall'altra parte abbiamo la posizione di Rodano, consigliere di Berlinguer, che pensa a un cristianesimo dell'interiorità. il misticismo, al fondo, non prende sul serio il dolore umano Per Rodano il mondo della politica è il mondo della laicità-il mondo ateo che tutta la filosofia politica moderna, da Macchiavelli in poi, ha pensato- ed il cristianesimo è una rivelazione che non si rivolge a questo ambito perché, essendo una grazia, il suo avvenimento si dà soltanto all'interno di ogni singola coscienza. Rodano, per sostenere contro Del Noce (si sono molto combattuti, pur mantenendo la loro amicizia) la sua tesi, presentava una esegesi molto interessante di un brano delle "Epistole Filippesi" in cui si parla dellakenosis, cioè dello "svuotamento" della propria divinità operata dal Figlio per venire incontro all'uomo, per venire nel mondo. Per Rodano questo "svuotamento" non era la rivelazione del divino nel mondo, ma un sottolineare la necessità di essere uomo nel mondo. Inquesto senso l'incarnazione viene vista come perdita, rinuncia, esclusione dal secolo di tutto ciò che può essere divino, con la conseguente accettazione radicale della logica del dialogo, quindi, in fondo, dell'ateismo. A me pare che tutte due le soluzioni, quella di Del Noce e quella di Rodano, non pensino realmente l'incarnazione, il suo dramma, il suo scopo. Non colgano, cioè, come il rapporto UNIPOL ASSICURAZIONI /: ~ ' ..., · ........ con Cristo sia un rapporto che non si dà cercando perfezioni da duplicare, nè abdicando completamente all'ambito dell'interiorità dove avviene la grazia, ma deve essere comunque di testimonianza nei limiti della storia, quindi con gli altri, con le loro culture, con le loro differenze. Un rapporto che quindi accetta il dramma della storia contemporanea, perché la grazia non è un fatto personale, privato, ma è un annuncio," Andate e testimoniate". lo non riesco a pensare una politica conseguente a tutto questo, cioè una via intermedia, e allora si è costretti a viverle tutte e due e a cercare di arrabattarsi un pochino. Per tutto questo il misticismo è un lusso, una forma di evasione, un falso movimento della coscienza che non prende seriamente in considerazione il dolore, o anche la ricchezza, dell'altro. A me pare che il cattolicesimo sia necessariamente politico e che la politica non possa essere considerata senza la sua origine cristiana; la politica, così come la pensiamo, con i compiti che le attribuiamo, ma anche il marxismo, il comunismo, sono cristiani perché sono il tentativo disperato di redimere il mondo, di dare un senso alla storia, di incontrare le altre persone liberate dalla loro disperazione. Dicevi che la redenzione si dà solo nel1'incontro con l'altro, ma in questo bisogno l'altro non corre il rischio di diventa un tuo strumento? G.L.: E' un po' quello che dice Carlo Sini nell'intervista apparsa sul numero scorso: io incontro il negro, dico che il negro è uguale al bianco, ma in questo lo oggettivizzo, in qualche modo me ne servo ... Forse è questione di prospettive: in ogni atto umano di amore c'è al tempo stesso amor sui ed amor dei, c'è una forma di compiacimento, di egoismo, di strumentalizzazione che, d'altra parte, è anche un'esigenza positiva di amore per l'altra persona o per Dio stesso. "non voglio essere salvato senza la mia comunità" S.L.: D'altra parte se non ci fosse rischio in questo incontro con l'altro, se la relazione con l'altro per ottenere la mia salvezza fosse un investimento sicuro, saremmo senz'altro già caduti nel pericolo che dici: l'altro sarebbe uno strumento della mia salvezza, della mia felicità. La relazione con l'altro propo ta dal cristianesimo è invece una relazione a fortissimo rischio, è una relazione in cui l'uomo deve perdere se stesso, deve donare qualcosa di sé a favore dell'altro. Se l'altro è un povero deve dare qualcosa di suo, se l'altro è Dio deve rinunciare alla sua superbia, alla sua AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, l O FORLI' - Tel. 452411 UNIPOL: DA 5 ANNI, FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON presunzione di infinitezza. E' un investimento senza la certezza di un ritorno. è un salto nel vuoto, non c'è la certezza della salvezza o della felicità nel momento in cui io rinuncio a qualcosa di mio perché l'altro sia, esita, viva, comprenda, ami. Questo è ciò che rende difficile, rischioso, non appiattibile, non riducibile ad una logica egoistica, l'atto di amore, la relazione con l'altro. Ma da cosa nasce l'atto d'amore, la relazione con l'altro, di cui parla il cristianesimo? Non nasce tanto dalla povertà cieli'altro, dal bisogno che ha di me, ma dal senso della mia povertà, dal fatto che io non sono nulla, sono un essere finito, mortale, infelice, povero, anche se ho più dell'altro e quindi non perdo nulla donando. Proprio perché non sono nulla chissà che da questa comunione, da questo incontro di lìnitezze, non possa giungere. qualcosa di sufficiente per me, per la mia finitezza. Tornando al discorso dell'impegno politico, il vero problema dell'impegno cristiano è, se vogliamo prendere sul serio la logica dell'incarnazione, anche quello di non abbandonare a se stesso, di non privarlo d'amore, in un certo senso, nessun ambito della realtà umana, nessuna dimensione. Cristo è incarnazione e croce, iIcristiano deve essere annuncio e martirio. Un annuncio che deve essere fatto in tutti i modi possibili perché non esistono vie privilegiate nell'annuncio. Anche la politica, che si rivolge all'uomo dall'alto, che si rivolge all'uomo massa, che certamente non inquieta l'uomo singolarmente, nella sua individualità, è una possibilità di annuncio quando è interpretata come un atto d'amore. Un atto d'amore in cui l'uomo, senza cercare nulla per sè, vuole essere salvato con gli altri. Agostino diceva "lo sono salvo, ma non voglio essere salvato senza di voi, senza la mia comunità", perché ritirandomi nella mia interiorità. nella mia fede, contravverrei alla logica, alla necessità, dell'amore. Di fronte alla lìnitezza cieli'uomo, di fronte alla morte e alla malattia, la coscienza del cristiano che la morte non è delìnitiva, che la malattia può essere un segno di grazia. che questo è ciò che Cristo ha vissuto e chi la vive da cristiano in qualche modo risorge con Cristo, è la massima grazia, ciò che basta. Eppure per il cristiano non deve bastare, non vuole che gli basti. G.L.: Il problema, ritornando a quanto sostiene Sini nell'intervista, è veramente la scelta fra etica della decisione e etica del1'indecisione. La tesi di Sini è che noi dobbiamo rinunciare alla decisione perché questa provoca il disastro, è una fonna di violenza. di oggettivizzazione dell'altro e tutta l'etica è risolta nel coltivare in qualche maniera ciò che è proprio contemplando contemporaneamente la diversità delle culture, conoscendole, attraverso gli audiovisivi -il che vuole dire attraverso un'altra forma di violenza occidentale- che dovrebbero essere il ponte fra oriente e occidente. In Sini vi è una radicale sconfessione nei confronti dell'atto di volontà, quindi della stessa volontà di incontro del l'uomo. correre il rischio dello scandalo dell'atto di decisione Ma rinunciare alla decisione porta all'assoluto egoismo, allora il problema è di non vederla necessariamente come qualcosa di negativo, come una volontà di potenza, ma di concepirla come qualcosa di ambiguo, di contradditorio, sempre esposto al peccato. Il problema è di correre il rischio del1'incontro con l'altro e dobbiamo correre il rischio di affrontare lo scandalo dell'atto di decisione. Il cristiano ha coscienza dell'ambiguità della decisione, ha coscienza della propria finitezza, della possibile perversione di ogni atto umano, ma sente la necessità di correre il rischio. Mi sembra che non ci siano alternative: se affermiamo che l'etica della decisione, o l'eticadell'incontro con l'altro, è un'etica pericolosa perché pervertibile, in realtà rinunciamo alla politica, alla comunicazione, e ci condanniamo allo scambio di segni del tutto insignificanti, ali' immagine appunto, che è l'unica cosa che circola senza far veramente entrare in relazione nessuno. S. L.: Si parlava prima della logica occidentale, cioè della logica dell'economia di mercato che trionfa a livello culturale e a livello politico. Il comunismo è stato un tentativo, titanico e fallito, di dominare con gli strumenti della volontà e della politica questa logica dell'economia, di dominare i meccanismi di aggressività, di ambizione e lo stesso peccato originale della logica di mercato, cioè l'egoismo personale e di classe. Crollato il comunismo tutti i moderati e i progressisti del mondo, quelli americani e quelli italiani, hanno accettato la logica dell'economia di mercato e non hanno fatto nessuno sforzo, nè ideale nè pratico, per resistervi, come se fosse una legge di natura. I loro progetti politici sono, di fatto, del tutto assimilabili perché si riducono ad un semplice assecondamento. spingendo in una direzione o nell'altra, di questa logica. Considerando questo. rinuncia della decisione signilìca rinuncia della politica, signilìca rinuncia della responsabilità di governare. di indirizzare, di frenare dove necessario la logica naturalistica dell'economia di mercato. L'etica dell'indecisione è, in un certo senso, una rinuncia di fronte alle forze della natura che non sono pacilìche, ma distrutSOFTWARE - SYSTEM HOUSE CENTRO ELABORAZIONE DATI CONSULENZE INFORMATICHE CONSULENZE DI ORGANIZZAZIONE tive. Si parla di nichilismo, di destino nichilista dell'occidente, di epoca della tecnica -e vediamo come nichilismo e tecnica siano divoranti a livello mondiale-, ma un'etica dell'indecisione è una conferma di questo nichilismo, è una rinuncia alla responsabilità, alla scelta. E' rinunciare al tentativo disperato di dominare tutto questo con la libertà in tutta la sua ambiguità, con la responsabilità di tutta la sua ambiguità, con la decisone di tutta la sua ambiguità. Certo la decisione può essere velleitaria, fanatica, totalizzante, ma può essere anche un atto d'amore. Io non credo che la volontà sia necessariamente perversa, che la volontà sia sempre volontà di potenza, non lo credo perché basterebbe un atto di grazia per trasformare la volontà in una forma di dedizione. G.L.: A mio parere la soluzione sta nel confessare l'enorme carico di male, di dolore, che è proprio cieli'Occidente e cercare di agire, di testimoniare, ali' interno di questa realtà, con la consapevolezza dell'ambiguo rischio della libertà, della propria volontà di salvezza, di incontro degli altri. Mi pare che il cristiano abbia il vantaggio di essere da secoli, da millenni, abituato a questa dialettica della propria volontà e alla testimonianza della croce, cioè abituato all'impossibilità di trovare una soluzione, di credere in una soluzione perché in questa terra niente si realizzerà come compiuto e perfetto. li cristiano ha veramente il compito di scegliere l'esistenza nonostante tutto, nonostante i rischi di questa stessa scelta, nonostante il demoniaco che può nascondersi in tutto questo. E penso che qui ci sia un segno per la politica in generale, al di là dell'essere cristiani o no: la politica deve comunque farsi carico della volontà di potenza, del pericolo della volontà di potenza. A me pare che la sinistra italiana abbia abdicato completamente, al di là degli slogan, ad un'ipotesi di questo tipo. Non avendo in fondo una ricchezza interiore, una volta caduta l'ipotesi della soluzione volontaristica, ideologica, alla sini~tra è rimasto solo qualche correttivo tecnico al dominio della tecnica. S.L.: L'unica voce che oggi si leva contro la logica dell'occidente, contro il capitalismo, senza per questo chiamare gli uomini ad una uscita misticheggiante dal mondo, chiamandoli anzi ad un impegno malgrado tutto, è la voce del papa, la voce dei cristiani. E' per questo che è necessario che ci sia un partito cristiano, non fosse altro che per fare da cassa di risonanza di questo appello, che può essere disperato, ma che è il filo del rasoio su cui siamo comunque costretti a correre: né abbandonare il mondo a se stesso -e appiattirsi o fuggire-, né avere la presunzione di poterlo salvare da soli. - Pest Control Igiene ambientale CORSI DI FORMAZIONE • Disinfestazioni • Derattizzazioni - Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici e monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturallstlche Soc. Coop. a r.l. ~\U! CEIMF Via A. Meucci, 17 - 47100 FORLI' Tel. (0543) 727011 Fax (0543) 727401 Partita IV A 00353560402 47100 f'orn • ,,iaMe11cci, 2./ (Zona /11d11striale) Te/.(0543)722062 Telefax(0543)722083 1no 1anco UNA ClffA' 5

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