Una città - anno IV - n. 29 - gen.-feb. 1994

connotato, senza nessuna intenzione. Mentre prima pensavo di avere fatto una scelta e di avere un campo in cui operare, che era il campo degli operai. mi sono accorto che non avevo più nessuna scelta e che non c'era più il campo. Allora ho cominciato a gironzolare. Da Torino sono andato a Napoli perché nel frattempo c'era stato il terremoto e ho lavorato per un annetto circa in un cantiere della ricostruzione. Ma non pensavo di tornare a riedificare la patria crollata, non me ne importava niente proprio, era un lavoro come un altro. Mi ero innamorato di una ragazza di Napoli quindi sono tornato per provare a vivere con lei. Non è andata perché questa era una ragazza troppo per bene, ma è durata quell'anno e siamo stati insieme. Lavoravo in un cantiere dove e' erano tutti operai anziani, napoletani, gente devota al padrone, che non facevano questione di orario e di salario. lo avevo delle altre abitudini. Poi ci ho fatto la ricotta su queste storie di Napoli, ho scritto uno o due racconti, ho cavato sugo dalle macerie, a integrazione del salario poco raccomandabile che mi veniva versato. Guadagnavo 25.000 lire al giorno, 125.000 lire alla settimana, anno di grazia 1981. E' stato un anno brutto intanto perché l'inverno fu siberiano, tanto per accogliere degnamente i senza tetto, un inverno tremendo, e poi perché lavoravamo così, senza una betoniera, senza una mulazza. senza niente, tanto eravamo quasi gratis ... Mi sembrava di essere tornato indietro di molti anni, non mi sembrava che Napoli avesse in quell'epoca la stessa età delle altre città di Italia. sembrava che viaggiasse su un altro tempo. Poi subito dopo il terremoto, i soldi, la camorra, Gava, Pomicino, accelerarono molto l'aggancio con il resto della nazione. Dopo sono schizzato a Parigi, sempre in un cantiere, lì abbiamo fatto una lotta perché il padrone non ci pagava, poi ce li ha dati e con quei soldi ho deciso di andare a fare il volontario a Cuneo. Mi hanno preso, poi sono andato in Africa, mi sono ammalato di malaria, mi hanno rispedito indietro, poi sono andato a lavorare a Catania, all'areoporto di Sigonella, a caricare e scaricare merci. Di lì mi hanno cacciato via i carabinieri che continuavano a cercare informazioni, a seguire, come era in uso in quegli anni per le misure di antiterrorismo, i destini individuali di quelli che non si erano fatti riconoscere. Poi un altro anno a Milano in un cantiere, e infine sono venuto a Roma in una cooperativa di muratori, elettricisti e idraulici fondata da ex militanti e mi hanno tenuto un posto. E tutt'ora sono con loro, non come socio, ma come lavorante a giornata. più quell'esperienza si allontana e più si illumina caso. si è formata una doppia generazione di persone che, sentendosi antagonista. erano intimamente inapplicabili alla società, erano inservibili. E infatti, dopo, la società non ha saputo che farsene di una generazione. Ha accettalo solamente e faticosamente alcuni che hanno dato prova entusiasmante di denigrazione del loro passato, quelli capaci di sputare a distanza sul loro passato con una mira infallibile. Tutti gli altri non hanno trovato applicazione. Alcuni erano proprio fisicamente diventali antagonisti e inservibili, si sono sfondati di somministrazioni e si sono fatti fuori così, altri se ne sono andati a cercare il mistero di loro stessi in regioni remote, altri invece hanno approfondito l'antagonismo in maniera meccanica facendo la lotta armata. Quindi c'è una grossa fetta di quel noi che eravamo che a me risulta inapplicabile e non censita dagli anni suecessi vi. Eravamo contro, e il mondo in cui eravamo nati, di cui costituivamo cancro, era un mondo che non riusciva a isolarci se non con delle terapie d'urlo. delle terapie mediche, non c'era cura omeopatica nei nostri confronti. Dio si preclude l'onnipotenza, non vuol interferire Quindi ho un rapporto trionfalistico con quegli anni perché credo che in quegli anni noi abbiamo vinto dappertutto e tutto quello che c'era da vincere. Abbiamo guadagnato forza, consistenza e anche tanti obbiettivi intermedi che oggi non ricordiamo neanche più. La sconfitta è venuta dopo ed è stata una cosa privata, una cosa che io ho scoperto dopo, nel corso degli anni '80, alla fine di quella stagione alla Fiat, quella è stata la sconfitta per me, quella di dovere proseguire da solo. Allora mi è sembrata dolorosa la fine della possibilità di darsi del noi, quello sì. Da allora per me si tratta di sconfitta e si tratta poi alla fine di resistere, resistere allo stato di cose che si andava svolgendo sulle ceneri di quel noi. E dopo c'è stata una specie di sbarramento dovuta certamente ai partiti di sinistra che invece di diventare i beneficiari naturali di questa intelligenza hanno fatto una politica dell'ostruzione. Un'ostruzione doppiata dal fatto che comunque questa generazione era inservibile o si dichiarava inservibile, per cui, poi, alcuni sono passati veramente dall'altra parte, ma erano semplicemente quelli che avevano nelle gambe il salto in lungo e che hanno dato ampie prove atletiche di adattamento, dimostrazioni virtuosistiche di disponibilità. Mi viene in mente il miglior personale del circo: contorsionisti, abili al trapezio, domatori, gioco Iieri, queste sono le figure dei servibili. Ma quelli li considero un po' espulsi, schegge di quel sasso ro1ola10, Ma è un lavoro che non ha nessun rapporto frammenti del sasso che si è disintegrato. I con tutte le altre cose. Io penso che la vita frammenti più grossi sono fisicamente di ognuno, ma in particolare la mia, abbia scomparsi e il grosso è rimasto lì, tutt'ora comunque una zavorra che va buttata, non inservibile. saprei che farmene. Non è che potrei leg- Torniamo alla Bibbia. Il problema del gere la Bibbia 24 ore su 24 oppure scrivere dolore e della giustizia, del risarcimeno leggere libri ... C'è comunque una quota to. Quando nel libro parli di Giobbe,dici di zavorra fisica che spetta al corpo e quella che il dolore apre all'ascolto. Non è anva mandata al macero. La devo consuma- che questo, in qualche modo, un po' re. Quindi non c'è nessun senso. Perii resto consolatorio? Nonc'èundolorechespezil muratore è un lavoro abbastanza vario. za, che annulla, che depriva definitivaIn questi anni ho girato molto, ho scassato mente? e messo a posto dappertutto, dai tetti alle Ma certamente. Il dolore non è mica concifogne, nei quartieri più remoti... me, nonèconcimedacui nascono i fiori. Il Teniamo aperta la parentesi. A distanza dolore è una condanna, un guaio, una sciadi tanto tempo che bilancio hai fatto gura. Nella sciagura ci si può dibattere. della tua esperienza politica di quegli Ognuno come può, Giobbe straparla, streanni? pita, fa il filosofo, piange. Le fa tutte. Ma La vedo in maniera trionfalistica. Più quel- quand'è che comincia la voce di Dio che l'esperienza si allontana nel tempo più si prima lo ammonisce e poi lo risarcisce? illumina. E non la chiamo più "politica" Quando Giobbe s'azzitta, tace. perché non può avere lo stesso nome di C'è un punto in cui entra in scena un quella che si intende con l'uso corrente, personaggio, Eliahu, il quale dice un sacco perché aveva scopi, attitudini, consuetudi- di ostilità contro Giobbe ma dice anche ni opposte. La politica è utilmente l'arte di questa frase: taci perché Dio apre I' orecraggiungere il massimo risultato col mini- chio nella sventura. Se uno s'azzitta in mo sforzo, un apparato di mediazione. A mezzo a tutti gli strepiti, invece di dibatternoi invece -ho l'impressione di aver ado- si si mette in ascolto, invece di parlare tace, perato per l'ultima volta il noi appunto nel allora può essere che gli arrivi qualche 1980- non interessava ottenere un risulta- cosa. Non è sicuro, non è una terapia colto, magari anche col minimo sforzo, ma al laudata per tutti. Ci si può chiedere perché contrariovolevamodimostrarelamassima Dio non intervenga prima, perché non lo estraneità possibile. Avevamo per sistema interrompe, perché non gli dice lui "statti l'urto e anche se potevamo ottenere la zitto che mo' parlo io". Dio -e sto parlando stessa cosa senza l'urto, era più importante di una figura letteraria che interpreto, non dimostrare l'urto dell'estraneità a costo della fede di nessuno- si preclude l'onnianche di mancare il risultato occasionale. potenza, la possibilità di intervenire, di Le case si potevano ottenere anche senza interferire, Dio aspetta che sia Giobbe a occuparle? Bisognava occuparle, magari smettere per potere incominciare. Ci sono farsicacciareenonaverlepiù,farlemurare i 6 capitoli di Eliahu e poi comincia Dio. e farle devastare dal proprietario che così Ma il discorso di Dio a Giobbe non è uno impediva che si rioccupassero, ma l'im- sfoggio di pura onnipotenza? portante era comunque dimostrare la mas- Dio è addirittura sprezzante, prende pure sima estraneità possibile, dimostrare un in giro Giobbe. Ma quello è il Dio che si antagonismo. E la dimostrazione sta nel rivolge a Giobbe e che sta assumendo la fatto che nel corso di molti anni, si parla del forma e l'immagine per l'ascolto di Giob- '68 ma il '68 è durato la buon'anima di I O be. Se non si è Giobbe quelle parole non Banni iì o cf Efcà coGel nooson ira iièoa rivelazione di quella potenza a quell'uomo. Ed è un verbale fedele di quella rivelazione. Non noi, ma Giobbe può riconoscere il Dio che lo ha messo a quella prova. Dio dà molte immagini di sé. Tutto l'antropomorfismo di Dio, tutte le immagini fisiche attribuite a Dio nella Bibbia, mani, braccia, voce, vengono interprelate come metafore, come dei segni messi lì per farci capire altro, perché noi popolo semplice possiamo capire che "lì c'è stata la mano di Dio". perché noi abbiamo l'idea della mano. Invece io credo, come un bambino che è rimasto lì, alla lettera, che si tratti proprio di una mano, con cinque dita. Che Dio abbia la possibilità di avere tutte quelle fonne e di essere presente con quella forma ma in quel momento. Non è che la mano appartiene a Dio, Dio non ha mani, occhi, eccetera, ma in quel momento c'era una mano. Quando il vento di Elohim entra in Sansone e lo fa scatenare contro i filistei, bene, io credo alla lettera del testo, a un vento che entra nei nervi di Sansone. se ti senti poco esistente, se l'identità è confusa, allora ••• Insomma, non c'è niente da interpretare, non è la divinità che si presta a parlare un linguaggio infantile a un popolo che ha bisogno dei cartoni animati perché non capisce le cose astratte. E' proprio così. Quel libro va preso o lasciato. Non si può prendere col grano del sale come si fa con Simbad il Marinaio. O lo prendi alla lettera o non vai da nessuna parte. Mi viene da chiederti se credi veramente a questo Dio. Credo all'esistenza di Dio un po' più di quanto credo alla mia esistenza. Non mi sento sicuro del la mia esistenza. Succede a quelli che stanno troppo a lungo zitti e passano molto tempo da soli di sentire dentro di sé una specie di riassunto generale della specie. una confusione di identità, una perdita dell'identità. Si finisce per sentirsi un riassunto di tutti. Vedo nella mia folla molte di quelle cose di quel personaggio di Aceto Arcobaleno che quando è assente si sente invadere da una folla di persone, vede facce che gli somigliano, antenati ... Una sensazione di perdita, di essere una specie di assortimento di tutt'altro, non una persona fisica. E anche questo sentimento nei confronti del corpo: non mi sento proprio di essere titolare della superficie, ma di averla come in prestito, di abitare una specie di animale antico che mi è stato dato in prestito e sul quale mi sto prendendo un passaggio. Il sentimento dell'esistenza di Dio è molto legato al sentimento dell'esistenza di sé, non è un concetto filosofico. Se tu ti senti molto esistente probabilmente non senti l'esistenza di Dio, se ti senti poco esistente, se sci un po' confuso ncll'idcn1i1à sia con i tempi precedenti che al tuo interno, allora forse senti l'esistenza di Dio. Credo che altrove ci sarà una specie di ricapitolazione generale del!' universo. Mi convince quella sensazione filosofica espressa dalla Kabbala di Isacco Luria che dice che il mondo è stato creato da una contrazione di Dio. Che Dio era ovunque e occupava tutto il posto e che per creare il mondo aveva bisogno di contrarsi e lasciare il posto al mondo. Questa specie di sistole di Dio comporta anche una perdita di onnipotenza perché è una preclusione del proprio spazio. Quando noi ragioniamo sul fatto che se Dio è onnipotente non può essere buono, siamo costretti a scegliere. lo scelgo il primo dei due corni, dico che Dio si è precluso l'onnipotenza perché si è precluso lo spazio del mondo contraendosi. Alla fine cosa ci viene dalla lingua ebraica? Dall'ebraico viene poco, viene solo il senso. Quella dell'Antico Testamento è una lingua che contiene poco più di 5.000 vocaboli. Rispetto ali' infinita varietà di parole e sfumature del greco, anche come verbi, le infinite forme del verbo greco non esistono in ebraico. Però esiste qualche altra cosa. Per esempio in ebraico molto spesso con un unico termine si dicono tante cose. Kol è la voce di Dio, ma anche il tuono, ed è kol anche il suono di un campanellino del l'abito sacerdotale. E tutte le traduzioni naturalmente frantumano questo kol nelle parole corrispondenti, nella varietà corrispondente al nostro linguaggio. A me piace invece che sia voce, sia una voce sola, mi piace tradurre solamen~e. voce, perché lì c'è l'idea che i rumori della natura, compreso il tuono o compreso il suono di un campane! lino, contengono una voce che noi abbiamo smesso di ascoltare, di intendere. Un po' come il sordo di quelle pubblicità che "sento la voce ma non capisco le parole". Ecco, questo è l'atteggiamento dell'ebraico quando usa kol per tuono, per voce di Dio o per tintinnio. li nostro modo invece di rompere in tante parole quell'unico suono, è rifiutare di dare lo statuto di voce a quei suoni. Per noi quelli sono solamente suoni, solamente chiasso, non contengono voce, non contengono una frase, non contengono un messaggio. A me piace invece che quel popolo pensasse che il tuono contenesse la voce di Dio e che quel popolo fosse in grado di ascoltarlo e di intenderlo. Adamo per esempio, probabilmente, era in grado di intendere la voce del tuono. La stessa cosa ci capita con i sogni, mi pare. I sogni contengono moltissimo, contengono ancora moltissime possibilità di investigazione, ma noi ci siamo ridotti a chiedere ai sogni semplicemente se provengono da qualche nostro disguido infanti le o se contengono notizie su noi, sul mondo o dei numeri da giocare al lotto. La nostra aspettativa nei confronti dei sogni è come la nostra aspettativa nei confronti delle voci. Non le intendiamo più, sono suoni, e anche i sogni sono ormai solo scarichi notturni del cervello, sciacquoni del cervello. E infatti abbiamo smesso di chiedere ai sogni delle cose grosse, abbiamo smesso di chiedere ai suoni, di interrogare i suon i per senti re se contengono voci. Ci contentiamo di quello che riusciamo ad afferrare con il nostro senso. Invece I' ebraico contiene delle profondità, dei trabocchetti, dei fondi, sotto ogni parola. La parola kol che possiamo trovare nei salmi ha peso e significato perché noi conosciamo quella parola in altri passi della Bibbia, in altri luoghi della Bibbia. la voce del tuono, la voce di Dio, la voce dei campanellini In ogni momento una parola della Bibbia condensa e si porta appresso tutti i significati e tutte le altre volte in cui è ricorsa nella Bibbia. Ogni parola ha questo peso specifico che ha accumulato in tutte le sue dislocazioni nel testo. Non so se questo ha a che vedere con la bellezza della Bibbia però alla fine ti accorgi che 5.000 vocaboli non sono pochi, e che non c'è una gran ricchezza nell'aver chiamato kol con tre parole diverse nel tradurre la parola. La povertà della lingua diventa una ricchezza ... Eccome, diventa un moltiplicatore di potenza della parola. E all'improvviso un popolo ha detto che ce n'era uno solo, che il Signore è uno e questo è un mistero, un mistero che è inutile andare a spiegare. Però è certo che da questo mistero è spuntato fuori questo libro. Per me questo è il miracolo. E' un miracolo che ci sia una scrittura che sia durata tanto tempo e che sia arrivata fino a me, che mi abbia raggiunto, che sia potuta finire sotto i miei sensi e che io abbia potuto studiarla e leggerla. Questo per me è un miracolo. Mi contento di poco, dirai tu. COOPERATIVA UNA CITTA' Presidente Massimo Tesei. REDAZIONE: - Rosanna Ambrogetti, Fausto Fabbri, Diano Leoni, Silvana Massetti, Franco Melandri, Morena Mordenti, Rocco Ronchi, Gianni Saporetti (coordinatore). INTERVISTE A MimmoCecchini: Franco Melandri. A Gaeta110Le11ierie Stafa110Leoni: Franco Melandri e Gianni Saporetti. A MarioMassarenti: Roberto Poni. A Erri De ù1ca: Gianni Saporetti e Massimo Tese i. A Desi Debar: Ana Gomez e Gianni Saporetti. A Piero Giorgi: Dolores David. A Daniele Novara: Massimo Tesei. A Mirella Karpati: Ana Gomez. FOTO Foto: di Fausto Fabbri. Apag.4 da La Stampa. A pag. 8 di Liana Gave\li. A pag. 13 da l'il/11strazio11ietaliana. A pag. 16: di Cristiano Frasca. COLLABORATORI Rita Agnello, Edoardo Albinati, Loretta Amadori, Antonella Anedda, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti. Vincenzo Bugliani, Dolores David, Gennaro Esposito, Gabi. Rodolfo Galeotti, LianaGavelli, Ana Gomez, Marzio Malpezzi, Massimo Manarclli, Cesare Moreno, Linda Prati, Carlo Potetti, Roberto Poni, don Sergio Sala, Sulamit Schneidcr. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: SCRIBA. UNA CITTA' 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==