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R I N A S C I T A

dra Huang Hsiang, dalla partenza per la Cina di un'altra

delegazione britannica (5 ottobre) e di una giapponese

composta da 25 deputati (26 settembre).

Mentre andava cosi normalizzandosi la situazione in Ci–

na, nei giorni l i , 12 e 13 settembre aerei di Ciang Kat-scek

compivano una serie di incursioni bombardando Amoy e

la costa del Fukien. Gli aerei venivano abbattuti dalla con–

traerea della Repubblica popolare. Il 10 ottobre Ciu En

Lai ricorreva all'ONU contro l'aggressione americana a

Formosa e il 15 ottobre Viscinski chiedeva al Segretario

generale "delFONU di includere all'ordine del giorno del–

l'Assemblea la questione degli attacchi del Kuomintang,

condotti con l'aiuto statunitense, contro la Cina Popolare.

14. — Una gravissima misura antidemocratica veniva

presa dal presidente della Repubblica cilena, Ibanez, con

la proclamazione, il 20 settembre, dello stato d'assedio in

tutto il paese per sei mesi, al fine di stroncare lo sciopero

degli operai delle miniere di rame, in atto dal 18 agosto

per un aumento salariale del 75 %. Dopo aver inutilmente

militarizzato le miniere, cui rispondeva uno sciopero gè-

nerale di solidarietà il 15 settembre, Ibanez attuava l'estre¬

ma misura scavalcando il parere del Senato, e dimostrando

così di voler istaurare una politica di forza, non solo per

colpire le organizzazioni dei lavoratori e dei comunisti,

fuori legge dal 1948, ma anche per assicurarsi i poteri

straordinari contro la stessa volontà del Parlamento,

.

In Brasile, dove il 20 settembre il presidente Cafè faceva

arrestare centinaia di dirigenti e militanti sindacali in

occasione dello sciopero dei trasporti a Rio de Janeiro,

il 3 ottobre avevano luogo le elezioni per il rinnovo delle

due Camere federali e delle amministrazioni regionali.

Dagli scrutini risultava una maggioranza a favore dei par–

titi governativi, ma risultava anche che il 40

%

degli

elettori si era astenuto, manifestando così la sua opposi–

zione al nuovo regime.

Il 10 ottobre si svolgevano contemporaneamente le ele–

zioni nel Guatemala e nell'Honduras per designare i mem–

bri dell'Assemblea legislativa e il presidente della Repub–

blica. Nel Guatemala stravinceva sfacciatamente Castillo

Armas in quanto, proibiti i partiti politici, le liste dei

candidati erano solo di tre raggruppamenti filo-governativi.

Nell'Honduras non poteva essere nominato il presidente

della Repubblica, perchè nessuno dei tre candidati, in

testa ai quali risultava il liberale d'opposizione Ramon

Morales, raggiungeva la maggioranza prescritta dalla Co–

stituzione. •

Po l i t i c a i t a l i ana

1. Sv i luppi dell'afTare Montesi , rimpasto mini steriale per le

dimissioni di Pi cc ioni e dibatt i to sul la pol itica Int erna alle

Camere . — 2. Spart izione del T . L . T . e dibat t i to parlamentare

di pol itica estera. — 3. Nuova offensiva ant i comuni s ta , come

diversivo al la cr i s i pol i t ica e morale del quadripart i to. — 4. Vi t a

del par t i t i : sfacelo del F . S . D . I . , t ravàg l i o d . c , col lusione fra

destra clericale e destra monarchico- fasci sta.

Nelle giornate del 16 e 17 settembre si avevano scam–

bi di vedute, in merito allo scandalo Montesi, fra i mag–

giori esponenti de e, secondo alcune voci, il segretario

della D. C. Fanfani avrebbe espressa a Sceiba l'impossibi–

lità per il partito di continuare a solidarizzare con il gover–

no nella sua difesa ad oltranza di Piccioni, stante le con–

dizioni d'animo dell'opinione pubblica; contemporanea–

mente venivano fatte circolare voci secondo cui Piccioni

avrebbe chiesto un periodo di congedo « per poter meglio

difendere il figlio ». Il 18 sera, infine, la presidenza del

Consiglio comunicava che Piccioni si era definitivamente

dimesso. Non passavano 48 ore che si apprendeva come la

Procura generale avesse riconsegnato gli atti al giudice

istruttore, sbloccando in tal modo il corso della giustizia,

e il giorno dopo, il 21, venivano emessi i mandati di cat–

tura nei confronti di Piero Piccioni e di Ugo Montagna e

il mandato di comparizione per l'ex questore di Roma

Pòlito.

Di fronte a questo precipitare degli avvenimenti, la pro–

paganda governativa era costretta ad arretrare pauro–

samente, fino a tentare di rovesciare ogni responsabilità

sull'ex ministro Piccioni, accreditando la voce che egli

aveva sorpreso la buona fede dei suoi colleghi; intanto,

sempre il 21, si riuniva il Consiglio dei ministri per esa–

minare la situazione, specie in vista dell'imminente ria–

pertura delle Camere, e Sceiba sosteneva la tesi che il

governo non avrebbe dovuto accettare un dibattito sulla

« questione morale » : senonchè — indizio del grado di

turbamento degli stessi ambienti governativi — egli ri–

maneva in minoranza in seno al Consiglio stesso, il quale

decideva cosi di affrontare la discussione politica alle

Camere.

L'occasione tecnica — per così dire — di tale discus–

sione era data dal rimpasto ministeriale che le dimissioni di

Piccioni avevano comportato : il giorno 18, infatti, dopo

48 ore di consultazioni affannose e semiclandestine, Sceiba

aveva deciso di nominare ministro degli Esteri, al posto

di Piccioni, il liberale Martino, ministro dell'Istruzione

e, in sostituzione di questi, il noto clericale Ermini.

A parte ciò, era tutta la posizione politica e, più an–

cora, morale del ministero che formava oggetto di allar–

mata attenzione — e di severo giudizio — da parte del–

l'opinione pubblica (proprio in quei giorni, il 23, si aveva

la conferma, attraverso una sentenza della magistratura

nei riguardi del capitano Perenze, che il governo aveva

asserito il falso nel riferire a suo tempo al Parlamento le

circostanze dell'uccisione del bandito Giuliano). Una vera

e propria crisi di coscienza s'era diffusa anche in seno

alla maggioranza al punto che era legittimo prevedere

che il governo non avrebbe ottenuto la fiducia negli im–

minenti dibattiti parlamentari. Voci attendibili facevano

ritenere che lo stesso Fanfani considerasse giunto il mo–

mento di far mancare l'appoggio della propria corrente

al gabinetto Sceiba, oramai tanto screditato.

Bisogna dire che lo stesso discredito cui era giunto ha

salvato, viceversa il ministero Scelba-Saragat : e ciò nel

senso che, da parte degli interessati, s'è potuta svolgere

una controffensiva psicologica tendente a dimostrare che

la caduta del governo su una questione morale avrebbe

travolto in un giudizio di riprovazione l'intiera classe diri–

gente clericale e quadripartita. Si sa in particolare che

il 22, mentre il dibattito aveva inizio al Senato, si svolgeva

un drammatico incontro fra Sceiba e Fanfani, nel corso

del quale presumibilmente il primo persuadeva il segre–

tario della D. C. a tener conto delle considerazioni di cui

sopra. A questa sorta di ricatto generale, doveva poi ag–

giungersene nei giorni successivi uno personale, di cui

si faceva voleuterosamente strumento Saragat e di cui

riferiremo appresso. Nell'insieme, si aveva la sensazione

che il facinoroso

leader

di Iniziativa democratica fosse

sottoposto a una dura e minacciosa pressione che lo co–

stringesse a un repentino mutamento di programma. Sta

di fatto che il 23 egli dava ai suoi amici il segnale della

ritirata con una dichiarazione in cui, mentre si assicurava

che « la D- C. incoraggerà ogni assennato ed obiettivo

sforzo diretto a eliminare dalla vita pubblica costumi,

usanze, facilonerie riprovevoli », d'altro canto si precisava

che « la D. C, non si presterà a giuochi di speculazione

politica, nè commetterà debolezze capaci di compromettere

la stabilità degli istituti, la collaborazione fra le forze

democratiche, la continuità d'azione del governo».

Grazie a tale forzata garanzia, il ' governo poteva af–

frontare il dibattito, il 22 al Senato e il 28 alla Camera,

con buone speranze dì riuscire, da un lato a far respin–

gere la proposta di inchiesta parlamentare su tutto l'af–

fare Montesi avanzata dai socialisti e, dall'altro, a otte–

nere la stentata fiducia dei suoi.

D'altro canto, a conferma dell'insicurezza del governo

di ottenere la fiducia dagli stessi deputati della propria

parte, sta il fatto che il dibattito della Camera si è aperto

e chiuso sótto il segno di due clamorosi episodi che hanno

avuto entrambi per protagonista Fon. Saragat. I l primo

è consistito in un articolo del

leader

socialdemocratico

sulla

Giustizia

del 28 nel quale si chiamava minacciosa–

mente in causa chi aveva per primo messo in giro il nome

di Piero Piccioni come probabile responsabile della morte

di Wilma Montesi : nel che tutti gli ambienti politici e

giornalistici ravvisavano, più che un attacco, un vero

e proprio ricatto nei confronti di Fanfani, cui generalmente

si fa risalire la paternità dì quella propalazione di voci.

E tanto ciò era vero che Fanfani, punto sul vivo, repli–

cava dando esca a una penosa polemica, chiusa poi fret-