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Comunque essi siano stati presentati, qualunque sia
l'attuale fase del loro sviluppo, questi artisti, assieme
a coloro che qua non sono esposti (e non mi riferisco
solo al padiglione italiano), sono f soli continuatori
di Courbet, coloro che si pongono a fronteggiare l'esi–
genza più moderna, più avanzata, l'esigenza di un'arte
realistica.
Ciò detto, passiamo air autocritica. E proprio perchè
crediamo alla giusta causa del realismo e al suo svilup–
po e non per debolezza. Chi credesse che siamo ai pen–
timenti, allo smarrimento, o alla morbosa autoflagel-
lazìone, si sbaglierebbe di grosso. Noi abbiamo avuto
ragione e abbiamo ragione. I l movimento realista rap–
presenta non soltanto quanto c'è dì più vitale oggi in
arte, ma Tunica strada attraverso la quale si possa
arrivare a una rinascita dell'arte italiana. Ed è proprio
in vista di questa rinascita che noi, se da una parte
guardiamo ai nostri difetti per correggerli, d'altra parte
cerchiamo di individuare e registrare ogni segno di
vita, ogni elemento che contenga possibilità di sviluppo,
e che perciò si distacchi dal generale conformismo, en–
tro qualsiasi corrente artìstica.
Non per debolezza ripeto, nè per « tattica » (una tat–
tica in verità dappoco, che può apparire tale solo ai
meschini) ma per la nostra fiducia di comunisti nella
rinascita della nostra arte e nella giustezza storica della
lotta per ìl realismo.
Debolezze del realismo
L'istanza realista non appare, i n questa Biennale, con
sufficiente energia, capacità di convinzione; non si im–
pone nella sua pienezza, nel suo valore storico d'avan–
guardia.
E ciò per diversi motivi : alcuni di carattere stru–
mentale, imposti dalla Biennale (scelta degli invi t i in–
tesi a fissare staticamente i l largo movimento realista
i n un « gruppo »; scelta della giuria d'accettazione, due
soli artisti di tendenza realista, Celiberti e Buffini, su
24 artisti accettati; collocamento scriteriato e trascurato
nella saletta dedicata ai realisti, e dispersione i n altre
sale di artisti che avrebbero arricchito questo aspetto
fondamentale dell'arte italiana come Mafai, Sassu, Mar-
oucci, Omiccioli, Celiberti; condanna di artisti come
Treccani, Muccini, Vespignani, Attardi, Mirabella, De
Stefano, A. Salvatore, al ruolo di « disegnatori », a vita;
ecc. ecc.). Per quale ragione ad esempio la Biennale
ha raccattato gl i avanzi dell'astrattismo senza preoc–
cuparsi d'altro che del « gusto » e ha volontariamente
escluso artisti come Borgonzini, Rìcci, Natili, Motti,
Tettamanti, Francese e non si è accorta dì giovani come
Sonetti, Mancini, GrazzinL Salvemini, Cappelli, Caldari,
Montefusco, o di scultori come Perez o come Rocca-
mante? Chiunque sìa nel «gusto» va bene; chi lavora
invece cercando la verità secondo i l suo sentimento
non è degno di considerazionel Ma per far la scelta
a questo modo bastano dei funzionari, non c'è bisogno
di critici e di intenditori. Crìtici e intenditori e conosci–
tori delle cose d'Italia, di tutta l ' Italia a nord e a sud,
e ài margini delle grandi strade, bisogna invece essere
se si vuole dire la verità con una esposizione!
Sarebbe tuttavia , un errore limitarsi a esaminare i l
modo come i l movimento realista è presentato dalla
Biennale e tacere su problemi inerenti alla produzione
dei realisti, alla crisi (una crisi di crescenza, di svi–
luppo) del movimento, da cui dipende, essenzialmente,
la scarsa aggressività e vitalità delle opere che da tutti
è stata riscontrata.
Noi ci siamo autocriticati per una certa rozzezza di
espressione, per un eccessivo massimalismo e staticità
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di
contenuti, e perciò una maggiore attenzione è stata
posta (segnatamente da Zìgaina e da Mucchi) alla
forma artistica; ma ciò non ha proceduto di pari passo,
come è giusto che sia nell'opera d'arte, nell 'unità di
contenuto e forma, nelToperare creativo secondo i l quale
la bellezza di una forma, i l miglioramento qualitativo,
non può attuarsi attraverso un processo di mestiere stac–
cato da quel che si vuole esprimere. Noi abbiamo
detto: perchè dipingere sempre mondine curve sull'ac–
quitrino? Forse che i l paesaggio non fa parte della
realtà? Abbiamo detto: perchè tanti segnacci neri e
tante aniline? forse non è più giusto e realistico vedere
le figure nell'aria che le avvolge, vicine e lontane, na–
turalmente ambientate? Abbiamo detto: « anche i l tema
storico fa parte della realtà » se in esso si riflette la
moderna coscienza. Abbiamo lottato cioè contro una
concezione ristretta del realismo, contro una certa fis–
sità della tematica, spingendoci fino alla favola, alla
allegoria. Abbiamo detto: studiamo i maestri antichi e
11 nostro Ottocento, ecc. ecc. Ma ciò non deve e non
può voler dire rendere più generica la tematica o che
ì nostri paesaggi non si debbano distinguere dal solito
verismo, non deve e non può voler dire, soprattutto,
ignoranza e negazione a priori delle esperienze più
recenti dell'arte, ritorno al naturalismo aneddotico ot–
tocentesco, ecc. ecc.
Evidentemente questi perìcoli ci sono nella attuale
fase del movimento realista, e a noi premeva segnalare
i l problema autocrìtico generale, lasciando al critico di
differenziare e di discutere le varie personalità.
Sempre guardando alle impressioni d'insieme ci sem–
bra che ìl contributo dei disegnatori realisti sia, in que–
sta Biennale, nettamente positivo (particolare menzio–
ne va fatta dei bellissimi disegni del napoletano De
Stefano). Al t r i realisti si incontrano dispersi nelle varie
sale, dallo scultore Oscar Gallo, giunto a un'alta matu–
ri tà espressiva e umana, a Omiccioli, che sempre sa
ravvisare la verità con la fantasia, al giovane artista
udinese Celiberti, già padrone di una sua personale
visione e che assieme a De Stefano ci sembra una delle
voci più fresche di tutta la mostra.
La pittura di Mafai si va da dieci anni trasformando.
Mafai ha partecipato, tra i primi, alla polemica per i l
^realismo, sebbene in modo personale. Dalle
Fantasie
del
'41, '42, ai ri trat t i , alla
Donna che scrìve a macchina
del
'45-'46, ai
Mercatini
e alle
Osterìe
di questi ul t imi anni,
egli ha rotto i ponti, senza nulla perdere della sua forza
poetica, con quella sua malinconia crepuscolare e ari–
stocratica che gl i diede fama. Egli ha, in questo decen–
nio, rinnovato dal fondo la sua tematica, facendo pro–
gredire insieme contenuto e forma. I quadri qua esposti,
e soprattutto i l ritratto, indicano un nuovo passo avanti
verso una maggiore identificazione del tipo.
Un pittore che appartiene al realismo, e non da oggi,
è Aligi Sassu. Dal lontano quadro dei
Ciclisti
dipinto
quando era un ragazzo, alla
Morte di Cesare,
all'Ec–
cidio
di partigiani a Piazzale Loreto,
ai caffè e alle
scene cittadine di ieri e di oggi, Sassu è ìl pittore che
per primo fra tutti noi ha posto nei suoi giusti termini
i l problema del tema dell'opera d'arte. 1 suoi temi
sono vivi , moderni
.
, i l colore è nuovo, la sua forza
narrativa è efficace. Egli non sfugge alla identifica–
zione fisionomica, al carattere, alla psicologia.
La pesca
del tonno e La pioggia
sono tra i quadri migliori della
Biennale.
E veniamo ora alla sala più interessante del padiglione
italiano, e in un certo senso (il nostro pensiero corre a
Ben Shahn e, in misura minore, a Francis Bacon) di
tutta la Biennale: la sala di Carlo Levi. Più d'uno ha
storto i l muso perchè avevo annunziata come «straor–
dinaria » questa sala, nel mio precedente scritto. Ma
R I N A S C I T A