LARIVISTAPOPOLARE POLITIC-AECONOMI-CSACIENTIFIC-ALETTERAR-IA RTISTICA ANNO II. 15 Maggio 1894 FAsc. IX. SOCIALISTEI CLERICALIN SICILIA I. Nel triste presente momento di reazione si scorge in alto un vero accanimento per dare addosso al socialismo e ai socialisti, approfittando della prostrazione che in basso si manifesta: coloro, che una volta corteggiavano i novatori e ci tenevano a farsi credere intinti da uno zinzino di socialismo, oggi si fanno un inerito nell,attaccare l'uno e gli altri. Il fenon1eno non è nuovo ; è doloroso ma transitorio con1e tutte le manifestazioni della reazione. Contro il socialismo si levano gli scrittori ; lo rinnegano i candidati; gli dichiarano guerra anche quelli ch,e dovrebbero essere ministri di. pace: i dignitari della Chiesa cattolica. Due di questi ultimi, proprio in Sicilia e quando ben altra dovrebbe essere la loro 1nissione di fronte a tante miserie e a tante sofferenze, hanno indirizzato una lettera pastorale ai loro fedeli in tono battagliero ed acremente aggressivo contro le nuove dottrine. Alludo al cardinale Celesia, arcivescovo di Palermo, e a monsignor Blandini, dottore in teologia e in diritto canonico,. vescoyo di Noto, i quali hanno dato alle stampe vari opuscoli di propaganda, che riusciranno graditissimi ' ~ al Governo e che· probabilmente loro procureranno due seggi in Senato, di sicuro guadagnati più onestamente di
LA RIVISTA POPOLARE quelli che l'alto consesso ritenne simoniacamente e giolittianamen te conquistati. La pastorale dell'arcivescovo di Palermo è meno pretensiosa e più breve di quella del vescovo di Noto; ma non è meno acre, meno aggressiva contro il socialismo sotto forn1a untuosa, e si distingue per la generosità che 1nostra nell'attaccare un giornale soppresso dal generale Morra di Lavriano e della Montà, cioè contro La Giustizia sociale, mentre il suo direttore era in carcere. Quale lo spirito della pastorale-pamphlet si rileverà da questa circostanza: il 1 uogotenente straordinario del re, appena quella fu pubblicata, si recò al palazzo arcivescovile a ringraziarne l'autore e a ringraziarlo probabilmente in nome del Governo presieduto dall'on. Crispi, che, se l'occasione si ripresenti, non mancherà di dichiararsi caldo ammiratore di Giordano Bruno. Monsignor Celesia gerarchica1nente sta al di sopra del vescovo di Noto; ma .però lo scritto del secondo merita quella attenzione che lo scritto del primo non richia1na. Ho avuto l'onore di conoscere monsignor Blandini, e so quanto è colto e tollerante; egli adunque non mi vorrà rnale, nè n1i giudicherà irriverente se ardisco discutere la sua pastorale, cui ha dato un titolo - Il socialismo - co1ne avrebbe potuto darlo un qualsiasi profano ad un opuscolo di propaganda il cui contenuto e i cui fini siano del tutto mondani. Anzitutto 111iconsenta il reverendissi1no monsignore di osservare eh' egli è stato ma.le ispirato nel ricordare l'encìclica Rerzan novarum; poichè essa, sebbene in fondo dica incirca le stesse cose da lui ora ripetute, le dice però in forma assai più elevata, aliena dalla polemica ed anche dall'insolenza verso coloro cui è diretta; e l'enciclica inoltre contiene ammonin1enti e suggerimenti BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 2 59 ai governanti, quali potrebbero venire da moderati socialisti della cattedra, che non isperano di vedere raddrizzate soltanto in cielo le cose storte, ma ritengono che un po' di giustizia anche in terra non guasterebbe, tenendosi così lontana da quel misticismo in ritardo, che campeggia nello scritto di monsignor Blandini. Duolmi infine osservare che egli non seppe in questa occasione imitare l1esempio di monsignor Guttadauro, che con modestia e con sensi di pietà veran1ente cnstiana seppe rivolgersi ai fedeli della sua diocesi di Caltanissetta senza insultare i caduti. 1 Assuntomi il c6mpito di ribattere le invettive poco cristiane del vescovo di Noto, voglio cominciare dal rilevare l'errore da lui commesso inopportunamente confondendo la causa del socialismo con quella della massoneria. In verità non è da persona seria il chiamare la massoneria esercito di Satana, malvagia e ria setta, la quale ha scelto a suo grande arcl,itetto il diavolo, a gerofante il giudeo. Essa non è affatto meritevole di tanto odio, quanto da qualche tempo gliene addi1nostra la Chiesa cattolica, e dico ciò io che non posso essere sospetto di tenerezze per la setta ria e malvagia, che mi ha bruciato da oltre trent'anni. Quale essa sia del resto, buona o malvagia, potente o impotente, non ha che vedere col socialismo; qualche fratello massone può essere socialista, ma il socialismo non costituisce affatto la sua credenza. Il suo deismo e la filantropia ufficialmente professata la farebbero, in j caso, somigliare ad una delle tante primitive sette cristiane. 1 Sento il dovere di ricordare .che con molta equità e compe• tenza si è occupato delle cose di Sicilia un modesto sacerdote di Contessa Entellina, C. N. Genovese, nell'opuscolo: La quistz'one agraria tn Sicilia. Milano, I 894. BibliotecaGino Bianco I
260 LA RlVlSTA POPOLARE Le parolacce volgari 1nonsignor Blandini non le usa soltanto, co1ne vuole la moda tra i suoi pari, coi frammassoni, ma ne regala a tutti i socialisti con poca ponderazione e lanciando sassi, non di rado, nella propria colon1baia. Egli caritatevolmente - I' aggettivo ·è suo - vorrebbe rinchiudere i socialisti in un manico1nio. Parla co1ne un qualsiasi commendatore che faccia da accusatore innanzi ai tribunali militari, e din1entica che, così facendo, accomuna coi folli tanti illustri sacerdoti e colleghi suoi - da monsignor Ketteler al canonico Maufang, da n1onsignor Manning al prete Mac Glynn e a cento altri - che scrissero e scrivono co1ne potrebbero farlo i socialisti della più bell' acqua. 1 E sia pure riserbato a questi ultimi il manicomio; n1a dove mandereste voi, o reverendo signore, i farisei e i mercanti che profanano, con grande scandalo di tutti, i vostri templi? Voi, o monsignore, v' indign~te contro gli alemanni, che, col ventre sazio e vestendo di seta, dalle cattedre e 1 Chi volesse ampie notizie su questo tema, legga il Sodali'smo cattolico del prof. F. S. Nitti. Qui mi limito a pochi accenni. Mac Glynn, curato cattolico di New-York, è seguace di Henry George. Nel I 887, ad una osservazione del suo vescovo, che lo invitava a moderare la sua propaganda rivoluzionaria, rispose: ,, ho sempre insegnato e insegnerò sempre nei miei discorsi e nei miei scritti, sino a quancio vivrò, che la terra è di diritto la proprietà comune del popolo e che il diritto di proprietà individuale sul suolo è opposto alla giustizia naturale, quantunque sanzionato da leggi civili e religiose. Vorrei subito, se lo potessi, far modificare ]e leggi del mondo m- .tiero in modo da confiscare la proprietà individuale senza alcuna indennità per i sedicenti proprietari». Il cardinale Manning si fece apostolo delle nuove idee e morì esclamando: ,, l'attuale società è selvaggia ed anticristiana, e soltanto • un socialismo cristiano può redimerla e salvarla ». John S. Vaughan, arcivescovo di Westminster e successore di ManBibliotecaGino Bianco
. . LA RIVISTA POPOLARE 26r dalla tribuna parlamentare danno corpo e forma di scienza alle utopie; ma tuonate forse contro gli utopisti a stomaco vuoto? E nei vostri abiti, pure di seta, non si accoppiano elegantemente e sfarzosamente l'oro e l'ermellino? V'indignate contro il comunista francese e il nihilista russo perchè non appartengono mica alla classe dei diseredati: Dio buono I ma tanta abnegazione e tanto altruismo dovrebbero invece inspirarvi an1mirazione e i1nporvi rispetto; e maggiormente dovrebbe inspirarvelo pensa,ndo che i primi cristiani non furono soltanto raccolti tra i pescatori, n1a che la Chiesa nascente, proprio come ora il socialismo, fece le più belle e pure conquiste tra le classi elevate e ricche. E stoltizia a voi sen1bra l'aspirazione a democratici" ordinamenti e ad una più equa ripartizione dei beni della ter_ra in un momento in cui si corre il pericolo di veder divenire homo homini lupus. Ah, monsignore, voi, facendovi il paladino dell'individualismo col linguaggio profano d' Yves Guyot, calpestate tutte le dottrine dei più grandi e venerati padri della Chiesa, che la uguaglianza dei beni ning, in un articolo ( The socia! difficulty), pubblicato nella Dublin Review in febbraio I 894, non esita a dichiararsi socialista convinto. « È dovere dello Stato, egli confessa lealmente, di contribuire, mediante la legge e l'imposta, a diminuire le disuguaglianze presenti », e per conto suo arriva a proporre un piano di riforma finanziaria informato a criteri assai radicali. Monsignor Blandini, per indursi a maggiore temperanza di linguaggio verso. il socialismo e verso i socialisti, dovrebbe procurarsi la collezione dell' Association catholt'que, la cui lettura gli riuscirebbe assai proficua. La lettera di monsignor Carini - bibliotecario del papa - del I 2 marzo I 894 e diretta ad Achille Fazzari per la sua progettata colonia di Cassiodoro, gl' ispirerebbe prudenza. Infine col Belot da sì diverse letture egli sarebbe indotto a riconoscere che: « tardi ci si accorge del socialismo, che si contiene nella religione cristiana, che per lungo tempo si tenne sotto chiave per impedirgli di uscirne I »
262 LA RIVISTA POPOLARE della terra predicarono non solo, ma posero anche in pratica; e Cristo, se tornasse al n1ondo, in questi tempi e nei vostri luoghi, certan1ente vi staffilerebbe, perchè avete sconfessato il Vangelo ! Monsignore però ha ragione da vendere quando esalta i santi, i filantropi e le istituzioni cristiane, che nella loro primitiva purità e santità volsero i propri intenti a lenire l_e sofferenze e a diminuire le miserie del prossi1no. Ma la_ inanità dei risultati avrebbe dovuto convincerlo che tali mezzi non bastano a raggiungere lo scopo, per non dire volgarmente che con tali sforzi non si cava un ragno da un buco. Invero pochi ricchi recitano ancora divotan1ente i versetti del Vangelo, ma fanno appuntare i cannoni contro i molti poveri, che vorrebbero loro disturbar le digestioni; e fanno regalare una palla in fronte a qualunque Da vide Lazzaretti, che cristianamente volesse minore 1n1quità nella ripartizione dei beni sulla terra. 1 Lo amn1iro quando ricorda che il Signore del!' universo, nella sua u1nana incarnazione, fu attorniato dai poverelli che .forJJtarono la sua nobile corte; quando intuona, con le parole di Gesù Cristo, il terribile Vce divitibus ! - guai ai ricchi ! - contro il dovizioso. clte si pavonet'c.rz'ae si reputa, non che fortunato, supert·ore di iran lunga al povero, quasi che sua persona si fosse ingrandita col dilatare le sue possessioni ed aumentare le sue rendite; ma senza neppur rinfacciargli il fasto della corte pontificia, tanto contrario ai dettami e all'esempio del Nazareno, si può mestamente rammentare che sinora la discesa di Dio in terra fu inu1 A proposito di filantropia e della sua utilità, è caratteristico questo dato. Carnegie, il famoso miliardario, da un lato ab~assò il salario dei lavoratori delle sue officine di Homestead (Stati Uniti) in guisa da ricavarne un maggiore profitto annuo di circa dieci milioni, e dall'altra sottoscrisse per I 50 mila sterline in favore degli operai disoccupati! BibliotecaGino·Bianco
LA RIVISTA POPOLARE tile. Dio s'incarnò in un uon10, come dice monsigi:ior Blandini, perchè avesse radicalmente curata e risanata la umanità assumendola in sè -medesimo; ma purtroppo l 'umani tà è ancora gravemente inferma ed è costretta a ricorrere ad altri medici e ad altri farmachi. Il popolo celebra ogni anno la pasqua di risurrezione; ma la risurrezione rimane tuttavia una speranza, che diverrà realtà in futuro e per opera d~gli uomini, giacchè pare che Dio siasi dimenticato lo scopo della sua discesa e ancor più se ne siano dirnenticati i ministri suoi, che oggi schieransi contro i poveri e preferiscono far da soldati di Erode. ( Gòntinua ). D.r NAPOLEONE CoLAJANNI. PROTEZIONISMO AGRARIOE INTELLETTUALE 1 (DA UN CONGRESSO A UN ALTRO) II. . Ma ora vengono i figli, carne della carne, sangue del sangue di questi padri. Parla lo stesso egoismo economico; bollono le stesse tendenze utilitarie ed esclusiviste. « Abbiamo bisogno di una cassa universitaria per avere prestiti, prestiti sulla parola, che restituiremo quando saremo sbalestrati da un punto all'altro d'Italia colla nostra laurea, se l'usciere ci ritroverà. I fondi sono presto trovati. Non la mutua cooperazione, noh il sacrifizio personale di quelli che hanno: abbiamo un'idea luminosa degna dei nostri genitori che hanno scritto l'epopea bancaria. Ogni anno 1 Vedi numero precedente. Biblio eca Gino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE lo Stato ricava degli utili dalle Casse postali. È vero che il Governo ha preso l'impegno di devolvere il frutto del risparn1io di tanta povera gente a benefizio della Cassa pensioni per gli operai impotenti al lavoro. Ma prima di questi veniamo noi, speranza del paese. La pri1na carità comincia da noi che facemn10 le leggi. Chiediamo perciò i tre decimi degli utili delle Casse postali per costituire il capitale della nostra Cassa » • È quasi probabile che gli stessi padri si dorranno del1' imprudenza di questi giovani ancora inesperti nell'arte della po-litica, che vogliono prestiti pei loro carnevali e li vogliono sul danaro del piccolo risparmio. I poveri risparmino per darlo ai figli delle classi dirigenti. Ma questo è ancor poco. Poichè questi figli non hanno sentito a parlare che del loro diritto, a chi proponeva un voto certo platonico co1ne questo: « L'asse1nblea affern1a il principio della universalizzazione della scienza inteso nel senso che tutti abbiano a godere uguahnente dei vantaggi dell'istruzione e dell'educazione », essi hanno risposto no, l'istruzione deve essere patrimonio di pochi, cioè di noi. Se ue rattrista anche un giornale non radicale di J\ililano, che studenti universitarii respingano anche questo principio I generico e nem1neno vogliano esprimere il desiderio che vengano educate e istruite tutte le classi sociali. Fortunatan1ente questi studenti, esso dice, sono poco studenti; ma intanto nel secolo dei lumi vi ha un congresso· che sogna e proclan1a il monopolio della scienza, il privilegio della istruzione, una nuova casta sacerdotale come i pontefici ' del dfritto ron1ano e i n1aestri co1nacini del medio evo. Co1ne i padri vogliono garantito il reddito· fondiario, i figli intendono protetto il reddito professionale. Questi giovani che ten1pestano per le sessioni straordinarie di esami, fischiano il professore che fa lezione, protestano BibliotecaGino Bianco
' LA RIVISTA POPOLARE per una vacanza tolta, imbizziscono per un prograrn1na un po' lungo d'esami ed ogni anno mettono in subbuglio le loro scuole, sono in fondo dei bravi e buoni conservatori. Essi si vedono già in troppi, e pensano che ne sarebbe del loro avvenire se si avesse l' istruzione integrale e la scuola aperta a tutti. E così, mentre in Inghilterra la corrente democratica s'ingrossa e si inaugurano le University Extensions e si hanno le scuole viaggianti, e la parola del professore universitario penetra nelle lontane campagne, e vi porta l'ultima scoperta della scienza e l'indicazione del libro migliore che il contadino o il minatore possono leggere su una data questione, in Italia si sperdono gli ideali alati, si scancellano le 1nistiche parole che finora il pudore aveva conservato; e si dice: no, abbia1no paura della concorrenza : per noi la scienza è una professione che voglian10 noi soli esercitare. Anche questo il Rogers aveva preveduto nella sua bella Interpretazione economicadella storia: « l ricchi, egli seri ve, hanno accaparrato le borse dell'istruzione il giorno in cui questa ha acquistato un valore . sul mercato »; ed è da questo punto di vista utilitario che la scienza è guardata e l'istruzione appresa. Bisogna dunque proteggere questo valore e circondarlo degli stessi dazii protettivi. S_i è già parlato difatti di aumentare le tasse per gli studi universitarii. Ma tutte queste protezioni non salveranno il valore da grandi e spaventosi ribassi. È prossimo il giorno in cui il proletariato intellettuale sarà colpito dalla crisi più tremenda che esso possa immaginarsi. L'on. Martini ha ora colle cifre mostrato con1e l'Italia abbia annualmente tre volte tanto di medici ed avvocati oltre quanto le bisognano. Che sarà fra 1 o, fra 2 o anni? Senza alcun risultato le classi dirigenti in vantaggio dei loro figli richiederanno la laurea come titolo di ammissione ad ogni im- * Bibliotec~Gino Bianco
266 LA RIVISTA POPOLARE piego, e cresceranno la burocrazia, e aumenteranno le tasse, e inaspriranno anche gli esami di licenza. La sovrapopolazione intellettuale è un fatto che nulla potrà impedire: le file delle professioni superiori traboccano. In Austria vi è già un proJetariato medico che vive peggio dei salariati. Ovunque laureati si affollano intorno ai posti più n1eschini che vengono offerti sulla piazza. Una crisi si avanza e più terribile di ogni altra crisi industriale. Ma sono i figli delle stesse classi dirigenti che si fanno la concorrenza. Lo stesso Rogers nota che « l'istruzione prin1aria data ai poveri non ha valore di scambio. Se tutti gli operai andassero all'Università, il loro salario non sarebbe aumentato, ma aun1enterebbe solo per quelli che si elevassero sulla folla. L'operaio farebbe meglio e più presto; il che sarebbe un vantaggio pel padrone; le sue cognizioni non gli profitterebbero se non per quanto le "applicasse al suo mestiere o a concertarsi coi suoi compagni per esigere una n1aggiore rimunerazione. L'educazione è vantaggio nazionale e meno personale. L' individuo non guadagna che indirettamente, all'istruzione universale ed obbligatoria; invece la nazione ci guadagna molto, perchè una razza istruita supera una razza ignorante » . È _perquesto motivo che secondo il calcolo di SchulzeGaevernitz per un lavoro a cui sono necessari 3 inglesi e 6 svizzeri, si richiedono r 3 italiani e 2 5 indiani. Meditino quei giovani sulle parole di Rogers e pensino quanto vi sia nel concetto di sovraproduzione della intelligenza di paradossale e di inun1ano. G. SALVIOLI. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE CENNISULLECONDIZIONSTI ORICHE E SULL'AVVENIRE DELL'AGRICOLTURA E DEGLI AGRICOLTORI 1 II. Ma il te1npo è galantuomo, e la borghesia, in genere, si scava la fossa colle stesse sue mani. È nella sua stessa opera, nei suoi stessi meriti e nei suoi stessi vizii, è nella sua ingor <ligia, e massime nella cecità con cui per iàr fronte alla lotta di classe aumenta ogni giorno il presidio dei lavoratori improduttivi, tornando a blandire il prete, acçrescendo di continuo le forze militari e le schiere dei funzionari governativi e polizieschi, è in questi ed altri tristissimi ed inconsulti n1odi di operare, che si nasconde il germe della futura prossima dissoluzion·e e della ricostituzione sociale. Onde la borghesia sarà vittima delle sue stesse· teorie e dei suoi stessi successi. A parte ora gli effetti dell 1 accentramento delle grandi industrie, il' quale accentramento spiana la via alla socializzazione del capitale e degl' istrumenti di lavoro e al trionfo del proletariato cittadino (che già:. ha appreso dai suoi padroni il riso volterriano rispetto a tutte le menzogne convenzionali, su cui si puntellano i dominii di classe e l'ardimento rivoluzionario, contro cui non v' ha forza che possa resistere): a parte ogni altra considerazione e si guardi solo alla condizione degli agricoltori e ai · rapporti della loro classe colle classi dirigenti. Gli agricoltori sono generalmente ridotti agli estremi della miseria, senza certezza alcuna della vita, senza comode ed igieniche abitazioni, senza alimentazione sufficiente, senza i conforti della civiltà, travagliati dalla pellagra e dal bisogno, spinti all'emigrazione, avvi.liti dall'ignoranza. 1 Vedi fascicolo I 5 aprile '94. Biblioteca Gino 8ianco ·
268 LA RIVISTA POPOLARE E le condizioni pure dell'agricoltura sono assai tnst1. I piccoli proprietari quasi tutti non coltivatori, vessati dalle imposte e dal credito ipotecario, sono im'{)otenti a far nulla di bene; e i grandi proprietari non vogliono farne più dei primi o ne fanno ben poco, perchè l' impiego del capitale nell'agricoltura non è sufficienternente rimuneratore. Onde pure in quest'Italia, che fu già il giardino del mondo è ., ridotta alla sterilità quella magna parens frugum, che fu oggetto di tanta sollecitudine ai nostri antichi progenitori. E ci pare che ce n~ sia abbastanza per poter concludere che non è possibile andare avanti così. Ma s'alza agli orizzonti una nuova luce di speranza. È la luce dell'idea sociale, di questa calunniata fede e dottrina destinata a riallacciare e a continuare l'opera della storia umana e a compiere la costituzione dell'umanità, inaugurando sulla rovina delle varie tirannidi e differenze di classi, il dominio della fratellanza, della libertà e dell'uguaglianza, non già nell'astratto giuridico, ma nel concreto e nel positivo storico. E nei giorni prosperi del futuro sociale risorgerà la regina delle industrie, l'agricoltura; e la immensa schiera del proletariato agricolo sarà messa a parte nei beni della vita e acquisterà il benessere e la dignità umana. V'ha chi vorrebbe ristabilire la piccola proprietà dei coltivatori. E non si riflette che sarebbe un ritornare indietro senza profitto, sarebbe un dividere n1omentaneamente le terre per esporle di nuovo alle insidie del capitalismo mobiliare. V'ha persino chi vorrebbe ristabilire i contratti e i sistemi medioevali. E non si riflette che se la storia è la maestra della vita, essa però non si riproduce. Il socialismo che armonizza gli élementi essenziali della natura umana, contiene in sè lo spirito dell'avvenire. È . nel suo seno che si raccolgono le tradizioni della civiltà e si rinnovella la scienza sociale, per creare nuove forme di vivere civile, e infondere nuova energia all'attività umana, sotto tutti gli aspetti, in cui si n1anifesta. Onde i benefici effetti delle nuove idee si estenderanno alla produzione agricola e alle condizioni degli agricoltori. Senza ritornare inBibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE dietro, ne verrà l'abbondanza e la prosperità in mezzo a quei campi dove ora sotto il fulgido occhio della natura regnano lo squallore e la 1niseria. La socializzazione delle terre e la loro concessione a coltura alle famiglie degli agricoltori potrà, in caso, dare tutti i vantaggi dell'antico sistema enfiteutico, senza averne gli inconvenienti. Il lavoratore agricolo non sarà più inquieto per la din1ane e vivrà sicuro da tutte le insidie dello sfruttamento di classi superiori e parassitarie. La comunità proprietaria eserciterà un'alta tutela sulla coltivazione e sui coltivatori, e risponderà a tali incon1benze assai meglio che non facessero i signori feudali e i direttori enfiteutici d'altri tempi; e incomparabilmente più bene che non faccia la grande proprietà capitalistica, questa arca santa dell'attuale sistema economico. Gli econon1isti suppongono nel gran proprietario virtù che esso non ha e non può avere, attribuziòn.i di cui è la negazione e il contrapposto. Secondo essi la funzione del gran proprietario è pressochè provvidenziale e indispensabile. Senza di lui non potrebbero nè l'agricoltura nè l'agricoltore vivere e prosperare. Egli è la mente direttiva, illuminata dalla scienza e dai viaggi, è l'uo1no fornito dei grandi mezzi intellettuali ed economici, è il solo capace d'iniziativa d'ogni progresso agricolo, è il veicolo del benessere e de~la pace sociale, è il padre e il tutore dei contadini, in 1nezzo ai quali dovrebbe come gli antichi castellani stabilire la sua di1nora, e instaurare il suo nuovo regno. Se non che questo proprietario è un 1nito, un essere ideale astratto,, realmente i1npossibile, come il proprietario di Quesnay, come il lavoratore di Smith. Il proprietario di Quesnay, diceva Giuseppe Ferrari, è il gré!n signore, il nobilé, il cortigiano, l'ozioso, l'uomo che non ha mai visto i propri campi, e che ne trae una rendita senza lavoro, senza cure, senza spese e senza vigilanza. Gli stessi economisti confessano che i grandi proprietari dei nostri giorni non sono dissimili da quelli dei tempi d,ei Fisiocratici, e non meno di quelli . ripugnano '
..... 270 LA RIVISTA POPOLARE al tipo ideale, che i loro corifei ne fanno. Anche il proprietario odierno rifugge dai campi, e gli economisti non dissimulano questo fatto, cui hanno anzi dato il nome speciale d'assenteismo. Egli ama la grande città, il gran mondo, dove consuma improduttivamente, a scopo di lusso, i frutti delle sue terre; alla custodia delle quali~ quando non le affitta, prepone fattori ed agenti privi di intelligenza e di coltura; il più delle volte, per malintesa economia di spese, reclutati fra gli stessi coloni. E se si occupa di cose agricole, ed entra a far parte o a dirigere i cosidetti comizi agrari, lo fa sovente per quella vanagloria di titoli che lo rode o per mera pompa accademica. La società non sa che farsene di un tal uomo, e alla missione provvidenziale di esso non crede più; come non crede più a quella dei papi, degli i1nperatori e dei re. Questi padroni naturali dei popoli non appaiono ornai essere altro che simulacri, posti dalla secolare ignoranza in luogo d'una realtà che ogni giorno più va sfatando i sin1boli menzogneri, ed attende il vicino suo trionfo. Le moderne idee sociali non vanno in traccia dell'uomo-Dio, del genio .direttivo, degli individui, delle fa~ miglie, delle classi privilegiate. Con la scure poderosa della critica positiva si è abbattuto il prestigio di tutti questi tutori del popolo, e si è svelato l'incanto, n1ostrando che costoro in ultima analisi hanno fatto sempre e solo il proprio interesse . Si è provato che il potere e la ricchezz~ corro1npono, e che l'unica, la più costantemente fedele, la più intelligente, la più solerte attività direttiva degli interessi della collettività, non può essere che la collettività stessa, della quale i pretesi padroni del mondo non sono che minima parte, e n1isera contraffazione ad un tempo. La borghesia rivoluzionaria aveva già detto che il re è un uomo, il prete è un uomo, il nobile è un uomo. Il proletario ha soggiunto che anche il proprietario è un uomo. Il che ·è quanto dire che i suoi privilegi, fon- , dati sulla prerogativa di funzioni direttive, e il suo diritto di proprietà sono condannati inesorabilmente dalla legge dell'uguaglianza. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE E così pur nelle can1pagne gli uon1ini avranno parità di doveri e di diritti, e le funzioni si distribuiranno armonicamente fra gli individui e la corporazione agricola. L'individuo sotto lo stimolo dell'interesse privato farà · quei n1iracoli di coltivazione,· che ora invano si chiedono alle braccia stanche degli affamati coloni, e la corporazione agricola, giungendo dove la potenza individuale non può arrivare e non arriva, adempirà a quegli uffici direttivi e a quelle incombenze, che richiedono intelletto, coltura e 1nezzi. A questo solo patto, e solo in quest' annonia del diritto particolare col diritto <lella comunanza, sostituita alle classi dirigenti e sfruttatrici, potrà ottenersi nell' avvenire la prosperità dell'agricoltura e degli agricoltori. F. BUDASSI. \ IL TOLSTOISMO I Con quest'ultima opera « Il regno di Dio è in voi » il conte Leone Tolstoi finisce l'edificio del suo sistema etico-religioso-sociale, del quale in « Ma religion » aveva gettate le fondamenta. Io ho letto con raccoglimento e con devozion.e questo lavoro del grande scrittore e, per mostrare che il suo esempio d' incrollabile attaccamento a ciò che crede vero mi ha giovato in qualche modo, dirò, senz' ambagi, che sento un' istintiva ripugnanza per la dottrina eh' egli bandisce, e nella quale soltanto, con esclusivismo irragionevole, egli scorge la salvezza della civiltà. A che si riducono, in fin dei conti, le sue idee ? Quali sono le vie ed i mezzi che, secondo lui, ci condurranno alla completa redenzione del male? Egli, con l'ingenuità del vero credente, proclama che nella mas~ sima del Cristo clie non sia lecito usare la violenza contro il male si I \ , nasconde il concetto etico-sociale, verso il quale la società civile deve piegare se vuol guarire dei mali, che ora la travagliano a .morte. I 1 Conte LEONE ToLSTOI, Il regno di Dio è ùt voi, traduzione della signora Sofia Behr. Roma-Torino, fratelli Bocca, 1894. ·BibliotecaGino Bi&nco
272 LA RIVISTA POPOLARE mezzi e le vie sono la resistenza passiva agli ordinamenti, alle leggi, ai costumi che costringono gli uomini a non conformarsi a quel divino ammaestramento. Il Parsismo ed il Cristianesimo personificarono il principio del male in due enti metafisici: Ahriman e Satana; il Tolstoi chiude il principio del male in una negazione; la deviazione della società" civile da quella massima del Cristo, la quale è feconda di un nuovo contenuto etico. Tutto ciò è predicato con un candore di fede, una verginità <li sentimenti, un ardore di esempio, una voluttà di sagrifizio personale, da. farvi pensare a1 pnm1 cristiani, alla chiesa delle catacombe, ai martiri delle arene. * * * Il mondo che brilla agli occhi del nuovo profeta non è un mondo umano, è un mondo divino, una succursale del Paradiso. Leone Tolstoi è nato troppo tardi; egli è un superstite dell'epoca delle vergini immaginazioni, esiliato tra gente straniera, che non conosce e non capisce. Se fosse nato prima che le scienze avessero conciato a quel modo che si sa le religioni e strappatone dal petto degli uomini il sentimento, egli sarebbe stato il fondatore della pit1 pura, della pit1 spirituale, della più eterea delle credenze. L'autore di cc Guerra e pace » è <lella stessa natura psicologica di Zoroastro, del Buddha, del Cristo, di Maometto. Egli, come questi altri grandi legislatori religiosi, non vede che le grandi linee del suo pensiero e non ha occhi per l' eterne antinomie tra il reale e l'ideale. La sua mente è invasa tutta dalla volontà. Questa tirannia della facoltà del valere è certo un disequilibrio organico; e però, in fondo, il Tolstoismo non è che una gran?e malattia dello spirito. Prima sarebbe diventata epidemica; ora esiste la medicina che ne impedisce il ·contagio. Il Tolstoi, infatti, non vive nella realtà. Vagola tra la prostrazione catalettica ed il furore epilettico: ieri fatalista, rassegnato conoscitore delle leggi scettiche della natura; oggi mistico, anelante ad un avvento del regno di Dio, che quelle leggi, a suo talento, spezzi e soggioghi. · È eh' egli, come tutti i profeti religiosi, ha l'anima in discordia con il suo tempo e, sbigottito dal dissidio implacabile tra la sua co• scienza ed il mondo circostante, si ricovera sotto l'idea del soprannaturale a cercarvi la pace con sè stesso. E dall'altura dov'è salito egli non scorge il particolare, m~ il generale; il principio animatore della vita, non le vibrazioni molecolari clei singoli animali indissolubilmente identificati con la materia. BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 2 73 Anche m arte, nel romanzo, voi sentite, nel Tolstoi, un uomo che s1 estrania spesso dall'umanità e, che rapito nella contemplazione del suo pensiero, prova la visione della sua anima allargatasi ad anima di tutti gli esseri. Rapimento mistico, come _si vede, ed il Tolstoi ben può dirsi nato prima mistico che uomo! * * * Quattro sono, secondo me, gli errori fondamentali del Tolstoi: I O la natura assi0matica della sua idea di Dio, per la quale egli non si perita di dichiarare che il nuovo mondo avrà principio dal riconoscimento per parte dell'umanità della sua origine divina; e però è evidente che il Tolstoi ponga a base della sua etica sociale la rivelazione; 2° la credenza implicita dell'inclinazione al bene degli uomini, quali emanazioni della divinità (reminiscenza vedica); 3° l'immanenza di una sola ed eterna e generale legge di sviluppo storico., per la quale un fenomeno può ripetersi senza fine presso a poco nello stesso modo e con la stessa forza; 4° la spiccata tendenza ad assorbire tutti i relativi umani in un immenso assoluto, nel quale l'um,anìtà trovi finalmente una quiete sepolcrale. È inutile avvertire che questi · ultimi tre sono in potenza, tutti, nel primo. \ Il grande scrittore permetterà che io osservi che il punto dal quale egli parte è un fatto subbiettivo, non obbiettivo. Ch' egli creda sta bene; ma eh' egli voglia fondare un sistema etico-sociale sulla presunzione che non si possa non credere a ciò eh' egli crede, è una puerìlità indegna di un pensato;e. Le scienze naturali hanno diroccat9 a pezzo a pezzo il muscoso castello della cosmogonia soprannaturale; la linguistica, la filosofia, le letterature orientali hanno mostrata l' interdipendenza di tutte le religioni e, in conseguenza, la loro origine storica; onde non è più lecito, sotto pena di cadere nel ridicolo, fingere di credere neU'assioma dell'idea di Dio. Padronissimo uno di aver fede in un creatore di tutte le cose, padronissimo anche di mettere quest' idea sciupata, a traverso tanti avatar, a base di un sistema etico-sociale; ma, in nome del senso comune, non si può esimersi dal tentare almeno la dimostrazione dell'esistenza del proprio Dio. Se no si resta nel campo delle ipotesi, e non è serio accing~rsi all'opera di riformare una civiltà armato di una semplice ipotesi! ' L'opinione che gli nomini possano, purchè vogliano, accogliere e fecondare la massir11a della non resistenza al male, è poggiata sulla credenza eh' essi non portino dentro di loro i semi del male. Per il Tolstoi basta la volontà per diventare seguaci di Cristo, e poichè Cristo . I
LA RIVISTA POPOLARE è il bene ed il vero, tutti gli uomini possiedono la capacità psicologica di diventar moralmente simili a Dio. Che alla fine del secolo xrx si trovi ancora chi pensi di queste cose, è un fatto, per me, di grande stupefazione; tanto che io mi domando se tutti gli uomini non sieno una curiosa accolta di matti, e se i cani non sieno preferibili a loro. A che, dunque, ha approdato tanta fatica delle menti, tanto sperpero di vite prematuramente consunte dalla febbre di sapere e di scovrire, se un uomo di genio può ancora vagellare in simil modo? Questa fiducia nell'assoluta libertà di arbitrio spirituale dell'uomo, nel momento che tutte !'esperienze e gli studi della psicologia dell'infanzia portano a credere all'inclinazione naturale pit.1 tosto al male che al bene, toglie ogni valore pratico e scientifico ad un libro, che, per molte ragioni, ne avrebbe potuto aver assai. Il saldo fondamento di una morale positiva, cioè umana, non risiede nel negare la determinatezza della psiche e le sue passioni e i suoi istinti bestiali, eredità delle origini delle specie; ma nel cercar il modo di costringerli in un alveo e condurli a riconoscere ed accettare l'utilità individuale e sociale di una superiore legge morale. Da questo lato si resta nel reale; dall'altro si precipita nel baratro della metafisica. L'immanenza di una sola legge di sviluppo sociale attraverso gli evi e l' epoche, è un' idea che la storia respinge come non vera. Se così fosse, a tutto rigore, storia non potremmo avere, progresso sarebbe una parola vuota di senso; avremmo l'uniformità non la varietà. Sviluppo significa cambiamento di modo di essere di una cosa; e però è evidente che l'energia latente, la quale fa che una cosa non sia oggi come fu ieri, è attiva, cioè mobile pur identificandosi con la cosa stessa. La forma di assoluto che prende la concez10ne del nostro autore, è una conseguenza dell' indole empirica della mente di tutti i legisla- · tori religiosi; è il portato del predominio di un pensiero fisso in un orgamsmo nervoso ed eccessivamente impressionabile. * * * Adunque come dottrina di una nuova legge morale l'opera del Tolstoi non ha e non può avere nessun valore effettivo. La massima su la quale è costruita è sterile per sua natura e contraddittoria a sè stessa, se intesa alla lettera com' egli vuole. Come accenno ad una costituzione sociale, pare che l'autore si allontani da ogni teorica per ritirarsi in una specie di anarchismo reBibliotecaGino Bianco
\ LA RIVISTA POPOLARE 2 75 ligioso, dove la sola voce di Dio fosse legge alle anime, ad un tempo estremamente libere ed estremamente serve. Come elevatezza di ideale rimane di sotto a tutte le altre costituzioni religiose e morali della storia, perchè guarda indietro e non avanti: mira alle forme rudimentali della civiltà. L'ideale della vita è uno stagno dove nessun vento agiti le morte acque, che si raggrinzano soltanto per attestare la loro soggezione alla divinità. Che cosa è quindi il Tolstoismo? Come ce lo spieghiamo? Come classificheremo questo fenomeno, tra i tanti che da ogni Iato percotono il nostro intelletto, e, stordendolo, aumentano la confusione degli animi? Il Tolstoismo è la febbre consuntiva delle decadenze storiche; è un memento dell'atavismo non sepolto, ma assopito negli ipogei delle nostre coscienze; è una dedizione della ragione al sentimento. Il nostro mondo storico, certo, muore e cli mala morte. La sua agonia sarà funestata dal sangue scorrente e dai bagliori degli incendii; e però, con esso, qualche cosa perisce dentro di noi, o si trasmuta. Il vecchio concetto etico si scioglie per radiazione, e noi sentiamo il vuoto nel cuore e il gelo nelle vene del nostro spirito. In questi periodi tragici di discordia tra la coscienza e la realtà, avviene che molte anime perturbate o sopraffatte dall'onda stessa de-I dissidio, si rifuggano nell'eremitaggio del proprio individuo, e lì covino l'esaltazione dello spirito, che le inalza diritte ad annegarsi nella trascendenza: e Dio ritorna in caimpo, di nuovo redentore dei mortali. ' Quando in terra gli occhi non hanno dove guardare e dove ripo- ~are, si alzano, involontariamente, al cielo! Il Tolstoismo, quindi, è lo sgomento dell'e!lormemente piccolo· di fronte all' enormemente grande, del finito cli fronte all'infinito. Da esso emana la riabilitazione, sotto la forma sociale, dell'ascetismo, come modello di perfezione morale; da esso il potente anelito a confondersi con 1a divinità. Il pericolo che questa modificante ed asfissiante dottrina nasconde nelle allettazioni del candore sarebbe grande, se già non si mostrasse all'oriente la concezione uma~a del nuovo mondo sociale, fondata sulla sicura conoscen?a e sulla serena obbedienza alle leggi della natura, sola progenitrice di, tutti e di tutto. C. A. ALE'.VfAGNA. \ • Biblioteca Gino Bianco
) LA RIVISTA POPOLARE VITTIME RIBELLI I Alfredo Baccelli, il poeta coscienzioso ed accurato di Diva Natura, il poeta gentile di Leggenda del cuore, ha voluto, con Vittime e Ribelli, affrontare la quistione sociale, la grande quistione che preoccupa tutti, sia che sgomenti e spaventi, sia ohe conforti ed affidi, la quistione che, presto o tardi, per amore o per forza - e spenamo per amore! - dovrà essere risoln ta. Io avrei desiderato, avrei voluto, ::mzi, che Alfredo Baccelli, giovane di cuore e d'ingegno, si fosse schierato dalla parte degli oppressi, come vi si schierarono, tra i nostri poeti ed artisti, il Rapisardi, il Graf, il De Amicis, il Corradino, il Marenco, per non dire che di questi soli. Ma Alfredo Baccelli; se ben vedo, pur non schierandosi da11aparte degli oppressori (e come lo avrebbe potuto?), fa, in certo qual modo, il loro interesse, dipingendoci gli oppressi coi colori pitt foschi e più hrutti, rappresentandoceli quasi tutti come una ciurma di incendiad (v. poesia V), di demagoghi declamatori (v. poesia VIII), di lapidatori (v. poesia IX), di ubriachi (v. poesia XI), di scioperanti turbolenti (v. poesia XII), di rivoltosi sanguinarì (v. poesia XIV), di· bombardieri (v. poesia XV). Pochi sono quelli che Alfredo Baccelli non bolla come malfattori; e questi pochi sono coloro soltanto che, pur soffrendo fame e stenti di ogni sorta, non si ribellano, come se. gli oppressi non dovessero che soffrire e tacere, non dovessero essere che vittime, vittirne eternamente. Per queste, sia il pastore che, conducendo l'armento altrui, muor di febbre nella campagna romana (v. poesia I); sia il mietitore che cade sfinito dall' opra lunga ed ingrata ,sotto i raggi del sol cocente (v. poesia II); sia la balia che dà il suo sangue ai figli degli altri, mentre i suoi « hanno un buio tugurio, poc' acqua e poco pane » (v. poesia III); sia il contadino cui la grandine e la piena rapirono la speranza del pane (v. poesia IV); sia la moglie dell'operaio che, estenuata dalla fame, non ha latte nell'arida e stanca po]>pa per nutrire il nato dalle sue viscere (v. poesia VI) ; sia il poveretto che, non avendo pitt da pagare la pigione di casa, vien messo sul lastrico dal 1 A. BACCELr.r, Vittime e Ribdli. (Roma, Stab. Bontempelli, 1891) . BibliotecaGino Bianco •
LA RIVISTA POPOLARE 2 77 proprietario senza cuore (v. poesia VII); sia l'operaio che, lavorando, ha una gamba e un braccio frantumati da una macchina, ed è costrett,01 così malconcio, a stender 1~ mano per le vie, poichè agli infortu111 sul lavoro nessun provvede (v. poesia X); sia l'altro operaio, che, dopo aver cercato inutilmente lavoro, si butta nel fiume, sdegnando l'elemosina (v. poesia XIII), per queste vittime il Baccelli ha parole di commiserazione alta e sincera. Ma la commiserazione sparisce se le vittime, stanche di farsi martoriare, si trasformano in ribelli e si studiano di prendere le loro vendette allegre. E muoiano di febbre i pa- · stori, dunque, muoiano rotti dalla fatica i mietitori sotto i raggi del solleone, muoiano di fame i contadini, chieggano l'elemosina gli operai mutilati, si buttino a fiume quei che non hanno e non trovano la- ' ' voro, cosi .... Ma ciò, o Alfredo Baccelli, o amico 11110,ciò non è giusto, e tu dovresti convenirne per il primo, tu che hai cuore ed ingegno. Perchè il mondo dovrebbe esser diviso sempre in sacrificati e in sacrificatori, in vittime e in carnefici? Perchè la ingiustizia e la prepotenza e la iniquità dovrebbero durare eterne nel mondo? Tu dici, o Baccelli: Pèra, chi, ricco, al povero non do11a ; Chi nega onesto premio al veterano Dell'officina, a chi perse la mano Vittima del lavoro, o piccioletto Lasciò il figliuolo e vedovo l 'oneslo e nudo lellu. Ma pèra ancor chi delirando sogna Pari a chi suda chi poltrisce o dorme, Al fiacco il forte, e dell' in&egno I 'orme Splendide ali 'ombra delle vuote menti, E chi getta a chi tiene, e gli orbi ai ben veggenli. Bene ; ma io credo che tu t' illuda, o amico, sperando che il ricco doni al povero; e, poi, perchè donare? Nessuno chiede doni, ma tutti chiedono giustizia; ed è la giustizia, non il dono, che ci vuole. Perisca pure (tu dici pèra, e dici un brutto arcaismo) chi sogna « pari a chi suda chi poltrisce o dorme »; ma chi è che sogna questo? chi è che glorifica l'ozio? Non questo sognano i repubblicani e i socialisti, o amico, nè l'ozio glorificano essi. Li conosci tu? conosci tu le ioro teorie, che pur son frutto di studi profondi? No; permetti che io te lo dica. b ,otecaGino 81anco '
I LA RIVISTA POPOLARE Tu dici, a mo' di conclusione: Voi che potete, in basso, in basso il ciglio, E cuore e braccia date a quei che langue: Corre nelle sue vene ii vostro sangue. Amor v'infiammi e carità! Sublime Questa s'innalza e splende in fra 1'umane cime. E venga_, venga 1'ora des·iata Che tutti stringa in un fraterno amore. Venga pure, quest'ora desiata! Ma, con la sola carità (e che intendi per carità?) credi tu che possa ella venir mai? Non la carità invochiamo, pel bene dei miseri, che pur ci sono fratelli, ma la giustizia; e questa si esplichi nel migliore dei modi, senza violenza, se è possibile, senza lotta, che sarebbe lotta fratricida, e perciò orribile·; si esplichi, se è possibile, con leggi riformatrici, leggi che solo potranno ottenere l' intento, se radicali. Si riducano le ore del lavoro manuale, che sono opprimenti, che vietano all'operaio di educarsi e di istruirsi; si fissi la mercede minima, onde il lavoro non sia piì1 sfruttato dagli speculatori ingordi; si alleggeriscano le imposte che gravano di preferenza sui piccoli proprietarì e, si riversano poi sui nullatenenti; si tassi invece la ricchezia, onde non assuma proporzioni esorbitanti, e· non abiliti, così, all'ozio; si obblighino i proprietarì a bonificare i loro terreni incolti, o si esproprino; si diano i lavori pubblici in appalto alle cooperati ve operaie e ·non ai singoli privati, onde questi non arricchiscano alle spalle di chi lavora; e allora, ma allora soltanto, o amico Baccelli, le vittime non si ribelleranno più, perchè non vi saranno piì1 vittime. Pure, anche allora, la famiglia umana proseguirà nel suo fatale andare verso lo stato perfetto, lo stato ottimo, la grande famiglia umana .... Si capisce, da quel che ho detto, che Vittime e Ribelli, come concezione, nori panni lavoro intieramente buono; ma, come arte, ha dei pezzi che mi paiono assai belli; e cito, ad esempio, le poesie I, II, III e VII. Il Baccelli possiede il sentimento della natura, e, nel ritrarre il paesaggio, riesce a bene, come pochi sanno. E così, in Vittime e Ribelli, sono i paesaggi, le macchiette, i quadretti di genere i pezzi migliori, i pezzi buoni, i pezzi veramente sentiti. Il resto non parmi sentito molto; il resto parmi voluto come a forza. Sbaglierò, ma il Baccelli, nello scrivere Vittime e Ribelli, ha fatto violenza al suo ingegno, che lo portava a cantare altro. Se è così, come credo, non poteva egli riescire a bene; nè a bene, infatti, è riescito. Il verseggiare BibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 2 79 è un po' duro e la rima un po' stentata; il fraseggiare, poi, sa troppo del giornale conservatore, e il periodare sente troppo della prosa. Che il Baccelli, nello affrontare la quistione sociale, hn usato violenza a sè stesso, me lo dice anche il fatto che le altre liriche, messe di seguito a Vittime e Ribelli, sono migliori, molto, ma molto migliori, cli quelle che le precedono. In esse io ritrovo il poeta coscienzioso e accurato di Diva Natura, il poeta gentile di Leggenda del cuore; in esse alla correttezza della forma va unito il sentimento, ed alla immaginativa la grazia; in esse, sì, la poesia alita veramente. G. STIA VELLI. LA PREGHIERA DEL PEZZENTE « Perchè, o Gesù, pei ricchi hai tu creati Cava'lli e bovi e pecore e montoni, E per noi poverelli sventurati Solo cimici, sorci e piattoloni? Perchè tanti ventricoli affamati E tanti stanchi d' indigestioni? O buon Gesù, dai tuoi regni beati Torna_, meglio a rifar le porzioni! ... » Mentre· prega il tapino, ecco si stacca D'improvviso dal legno il vecchio Cristo, · E gli piomba sul capo e glielo spacca. Il curato, che, allor da una vendemmia Tornando, avea pe,r caso udito e visto: Ecco il frutto, gridò,. della bestemmia! G. LANZALONE • ., B1bhç>teca. Gino B1at)èo
280 LA RIVISTA POPOLARE I LIBRI NUOVI Rassegna letteraria della quindicina. VIII. SuMl\IARI0. - C. PISACANE, Saggio sulla rivoluzione 1 con prefazione di R. Cobjanni, Virano, Bologna - V. Gurc.CIARDI-FIASTRI, fiì'at voluntas tua1 Galli·, l\1ilano - C. GIORGINI-CONTRI, Lo Stagno1 Galli, Milano - EMMA TARUGI, La .famiglia Danie!is 1 Galli, Milano - FIDES, Il romanzo di un'anùna, Galli, Milano - KENNAN, Siberia1 traduzione di Sofia F ortini-Santarelli, S. Lapi, Città di Castello - THAYER, Tatto1 energia, principz 1 traduzione di S. Fortini-Santarelli, S. Lapi, Città di Castello. Va sulle bocche di tutti la fama delle virtù militari di Carlo Pisacane1 e del magnanimo sagrifizio che fece di sè alla libertà d' Italia; ma, benchè non sia ignoto affatto l' ingegno eh' egli ebbe, pochi veramente conoscono ed apprezzano la genialità che rivelò in questo « Saggio sulla rivoluzione » il quale ora i signori Malagodi, Olivetti e Graziadei esumano dall'oblio trentennale che ingiustamente lo teneva. Al tempo che il Pisacane scrisse, le teorie socialiste tentavano i primi passi come dottrina scientifica, e i raggi della rinnovata scienza economica filtravano a mala pena a traverso le utopie fantastiche di un Fourier 1 di un Saint-Sùnon 1 e mandavano qualche calore nei pensieri umanitari di un Owen. I socialisti, più derisi che invisi, erano sì pochi che non potevano essere contati nemmeno come setta. Mancava loro il credito delle masse 1 non meno che la determinatezza ed il prestigio alla dottrina. Ebbene, in questo clima così inclemente ad una primizia, Carlo Pisacane pensò e scrisse quest'opera mirabile per lo spirito di divinazione che l'anima. Ben si può dire che l'essenza del carattere di questo grande italiano fu la precursione: precursore nel campo del pensiero; precursore nel campo dell'azione ! Egli trovò sugli altari ed incoronata di alloro la teoria politica costituzionale ed i popoli prosternati, mentre i turiboli fumavano e gli osanna empivano l'aria, a propiziarsene la grazia, e non temette d' irrompere nel tempio e, iconoclasta novello, buttarla in terra. Con una felicità d' intuizione quasi profetica, egli vaticina tutt' i mali che avreb- .bero afilitta l' Italia laddove· non _si fosse guardata da questo Epimeteo tristo del costituzionalismo, ch'egli, argutamente, chiama governo ermafrodito ; e non una previsione non si è avverata ! Altra geniale divinazione è l' idea che sia sempre un'impostura parlare di libertà e di diritti politici mentre duri e si rinsaldi la schiavitù economica; e però egli svolge il pensiero che la società civile presente, il nostro evo storico, sia arrivata al punto che debba supeBibliotecaGino Bianco
LA RIVISTA POPOLARE 281 rare l'orbita che han descritte fatalmente tutle le civiltà, ed entrare nel concetto che non sia possibile fondarne una nuova, ricca di umori vitali, finchè non sia sbarbicata addirittura la radice delle disuguaglianze sociali, 1a proprietà individuale. Il socialismo del Pisacane, però, non è genuino; è adulterato da un certo anarchismo, che gli fa dire i governi non essere altro che la costituzione statale della violenza, colla quale, solo, si pu0 occupare e tenere il potere. Questa mancanza, quindi, di termini di confine tra due sistemi, di natura e di origine contrarie, questa mescolanza di motivi diversi che non posso11O giammai fondersi o coagularsi in un tutto organico, dà una tal quale ambiguità all'opera; ma questo diretto e l'altro della scorrezione della forma sono compensati dalla densità e dall'originalità dei pensieri e delle vedute, dal calore delle convinzioni, dalla santità del fine, non meno che da uno stile serrato, caldo, immaginoso. * * * La casa editrice Galli di Milano, la feconda casa editrice dalle edizioni capricciosamente eleganti, ci fornisce, anche questa volta, di una doviziosa collana di romanzi, lutti italiani e tutti nuovi di zecca. Il migliore fra essi è, a parer mio, Fiat voluntas tua) della signora Virgtnia Guicciardi-Fiastri. E la storia di una fanciulla molto intellettuale maritata ad un onest'uomo di campagna che l'ama a suo modo, un po' volgarmente, ma non l' intende. Ella s' incontra, dopo parecchi anni di vita coniugale vedova di ogni emozione affettuosa, con un cugino del marito, dall'anima del quale la sua è tosto dolcemente chiamata. Quest'amore tocca il suo apogèo con un bacio dato e ricevuto. Il bacio desta le virttt, inebriate un momento, dei due nobili cuori e ciascuno s' immola risolutamente ai propri doveri. Il romanzo, in sul principio, procede un po' fiacco e prolisso, ma come si avanza nei meandri dei sentimenti e i caratteri assumono il loro completo sviluppo, il lettore è conquistato dalla semplicità commovente del racconto e dalla sobrietà dei mezzi che l'autrice usa. Quest'opera mi piace per le ragioni stesse che non la faranno piacere a molti; non v'è la rima obbligata dell' immoralità o della scostumatezza, e non vi si trova l'esagerazione del metodo psicologico. La passione, nondimeno, vi è viva, umana, pugnace, ma, grazie a Dio, · 1 ci è risparmiata la tesi morale o immorale; e però, ecco il valore etico della rappresentazione artistica senza sottintesi, riesce, senza sforzo e senza retorica, a far risplendere di viva luce i più alti ideali umani. La vittoria che i due amanti, che per un momento stanno per scivolare nell'adulterio, ottengono su di loro stessi, rampol1a così psicologicamente da tutto l'ambiente, dai loro caratteri, dalla natura stessa del loro affetto, che non ci pare impossibile la conchiusione quasi idilliaca di una forte passione. Questi effetti, però, la signora Guicciardi raggiunge perchè non si è proposta di scrivere secondo le distillazioni del metodo psicologico. L'analisi dei sentimenti v'è, e talvolta fina e non di rado profonda
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