Una città - anno IV - n. 35 - ottobre 1994

miglioramento della propria situazione, a differenza dell'euforia da cui noi giornalisti di tutto il mondo sembravamo travolti. probabilmente per una buona dose di protagonismo individuale credendo clipoter essere testimoni cli chissà quale avvenimento di svolta epocale. Ci siamo tutti scontrati con la realtà e lo scetticismo della città, che non si faceva illusioni sui risultati possibili. anche se tutti erano molto favorevoli a questa visita, proprio in virtù, paradossalmente, della laicità di Sarajevo. Basti pensare che nei giorni precedenti la visita del papa. si celebravano i tre giorni cli festa per il capodanno ebraico. Ora a Sarajevo su 350.000 abitanti gli ebrei rimasti sono 600, essendo gli altri riusciti ad andarsene per tempo -per memoria storica credo che gli ebrei fossero più preparati degli altri al precipitare degli avvenimenti e fossero, come dire, più attenti e organizzati; comunque. prima di partire hanno consegnato le proprie case ai mussulmani profughi giunti da altre parti- ciononostante il governo "fondamentalista" di Sarajevo ha tolto per quei tre giorni il coprifuoco decretando in questo modo una specie clifesta per tutti. Questa del resto era una prassi normale in tempo di pace, perché a Sarajevo le ricorrenze di ogni religione erano rispettate e festeggiate da tutti. Voglio aggiungere qualcosa a proposito di questa città e del suo spirito: tuttora a Sarajevo ci sono 40.000cattolici e 70.000 serbi liberissimi di professare la loro religione e di trovarsi insieme in un bar a bere un caffè. A Banja Luka. città multietnica ora controllata dai serbi, tutte le moschee sono state rase al suolo e nessun croato o mussulmano può permettersi di andare a bere un caffé tranquillamente. A Mostar ovest, controllata dai croati, un serbo o un mussulmano non sono liberi e tranquilli. Nel cuore del quartiere islamico di Sarajevo tu trovi serbi, croati, ebrei e mussulmani che chiacchierano insieme. Nei giorni del Ramadan tu puoi trovare nei locali pubblici carne di maiale senza problemi e nessuno si aspetta di non poterla trovare. Quindi questa fondamentale laicità, quest'apertura degli abitanti di Sarajevo faceva sì che nonostante non si aspettassero nulla dalla visita del papa ne erano contenti e 1·avrebbero accolto come il personaggio avrebbe meritato. In quei giorni c'era una discussione: le strade che il papa avrebbe percorso dovevano presentarsi così com'erano, a testimonianza della situazione, o avrebbero dovuto essere ripulite dalle macerie? Alla fine ha prevalso la linea del rispetto del l'ospite e sono state rimosse tonnellate e tonnellate di macerie. Nelle chiese cattolichec'erano lunghe code, soprattutto di mussulmani, che andavano a prendere i biglietti per poter assistere alla messa. C'era la sensazione dell'evento -ma quando mai potrò rivedere il papa?- e c·era anche un'altra considerazione: i sarajevesi. legati come sono alla cultura, alla rappresentazione, alla spettacolarità, erano curiosissimi anche dell'effetto scenico di questa messa grandiosa, di questi canti grandiosi che si stavano preparando e andavano a messa anche per gustare questa iconografia scenica. Naturalmente c'erano anche le osservazioni più politiche, del tipo '·se il papa non viene sarà la prova definitiva che qui è un inferno cd è meglio abbandonarci al nostro destino, se invece arriva è un segno di speranza per tutti". La sera che è arrivata la notizia dell'annul lamento del viaggio è stata una !>eradi grande frustrazione, è sembrata la fine di tutto. C'era la sensazione netta che a Pale sarebbe stata una grande festa, che per i serbi fosse una grande vittoria politica. Come si sta preparando la gente al terzo inverno di assedio, che proprio in questi giorni ha superato i 900 giorni di Leningrado'? Per la prima volta da quando vado a Sarajevo ho trovato degli amici che mi hanno chiesto se c'erano ancora possibilità concrete di trovare rilugio in Italia. Persone che amano la loro città, che sempre dichiaravano che non l'avrebbero mai abbandonata, sono al limite della rottura. non sono in grado di sopportare l'idea di un altro inverno in quelle condizioni. Mi sembra normale. Non so se quest'atteggiamento sia maggioritario oppure no, spesso noi giornalisti facciamo diventare dieci persone che conosciamo un campione della realtà. Posso solo dire che mentre prima non incontravo nessuno che volesse partire. stavolta ne ho incontrati dieci. Questo mi ha fatto molto riflettere, perché ci aspettiamo sempre che gli abitanti di Sarajevo siano migliori di quanto non possano essere, nell'immaginario mio e di tanti altri gli abitanti di Sarajevo sono quelli che moriranno in questa città incarnando tutti gli ideali migliori. invece, giustamente, i sarajevesi, pur essendo molto migliori di noi e su questo non ho nessun dubbio, hanno i limiti fisiologici e le reazioni naturali degli esseri umani. Credo che sia avvenuta an- . che una cosa facilmente spiegabile: ci sono stati due anni di assedio fortemente cruento della città senza vedere via d'uscita e dove la resistenza e la sopravvivenza ha significato arrivare a sera e dire ·'sono ancora vivo!''. Dopo di questo c'è stato l'ultimatum dell'Onu e un miglioramento della situazione. Non c'è stato un ristabilimento delle condizioni per una vita normale, tuttavia l'assedio era diventato parzialmente incruento e le aspettative erano di un futuro ancora migliore. Nel momento in cui tu apri il cuore a questa speranza, ritornare alla situazione pre-ultimatum è psicologicamente difficile se non insopportabile. Non vorrei fare della psicologia d'accatto ma mi pare che la situazione sia vissuta in modo peggiore di prima, con tanta frustrazione e senso di abbandono. Nella speranza dei mussulmani ci sono due opzioni: o un intervento internazionale che ponga fine all'eccidio o la fine dell'embargo sulle armi per consentire loro di difendersi e di riequilibrare la situazione sul campo. In questa seconda ipotesi l'Onu lascerà l'ex Jugoslavia'? Prima di tornare in Italia ho avuto la fortuna di parlare col vice comandante cieli'esercito bosniaco di Sarajevo, Jovan Divac, fra l'altro serbo, che mi diceva di credere che l'Onu alla fine non sarebbe andato via. Anche perché nessuno crede che il Congresso americano autorizzerà mai l'invio di armi e la situazione non muterà. Personalmente, vista la totale inefficienza delle forze Onu sul terreno e 1·assoluta inadeguatezza nel far rispettare non dico i principi generali ma nemmeno le sue stesse risoluzioni, non so più cosa augurarmi. Certo la presenza di contingenti intcrnazional i ha tenuto più basso il livello delle atrocità ed è però altrettanto vero che riarmare i mussulmani mi trova idealmente favorevole e fra le due opzioni non saprei quale scegliere. Idealmente aderisco ad entrambe, però so che sono alternative perché l'Onu non può consentire il riarmo e rimanere crcdibilff CarrdaeRi irparmdiFi orlì s.p.11. CONTO, ~ da O a 10 annt da 11 a 19 anni Perloroil migliorfuturopossibile Aut. Min. n. 6/1758 del 2/10/93 B1b 1otecaGino 1anco mente a svolgere un ruolo neutrale. Non riesco a sciogliere il dilemma su quale delle due sia meglio. e sia meglio per che cosa. Siccome credo che il meglio cui ciascuno clinoi vuol tendere è la pace bisogna decidere se la presenza dei caschi blu sia più efficace dell'invio di armi ai bosniaci. La discussione è senza fine e tutta ipotetica. Certo noi sappiamo che i caschi blu hanno abbassato il livello cli violenza ma non l'hanno eliminata. li riarmo invece vuol dire il passaggioacl una guerra vera, col formarsi di fronti e di battaglie come abbiamo già conosciuto altrove. Perché deve essere chiaro che fino ad ora laguerra in Bosnia è stata in realtà una serie di violenze e aggressioni a popolazioni civili, assediate e bombardate. oppure costrette ad esodi biblici, oppure sottoposte a pulizia etnica col suo contorno di stupri, torture e campi di concentramento. Due eserciti in qualche modo equilibrati producono più disastri di quelli avvenuti finora o tendono a creare quel deterrente del l'orrore, reeiproco, che paradossalmente riduce la violenza reale? Bcrnard Henri-Lcvy dice che bisogna riarmare i bosniaci per una questione di giustizia cd è difficile trovare ragioni per essere contro: o sci capace tu di difendere gli indifesi o consenti loro di difendersi da soli, ogni altra posizione non è neutrale. Le diplomazie e le cancellerie di tutto il mondo vorrebbero continuare a non decidere, per non schierarsi, ma davvero non si sono schierate? I serbi si sono riarmati e hanno potuto contare fino a ieri sull'apporto logistico e militare della Serbia. Lo stesso hanno fatto i croati cli Bosnia e Erzegovina, armati e sostenuti dalla Croazia. Gli unici in difficoltà nel reperire rifornimenti sono i mussulmani bm.niaci. D'altra parte si dice che intervenire vuol dire creare un altro Vietnam. Le montagne e i bo~chi della cx Jugo:-lavia !>onodiventati miticamente inc~pugnabili. E' credibile che l'esercito Usa, unito a quelli francese, ingle~c, tcdc:-co, italiano non sarebbero in grado cli ridurre alla ragione quc\ti paui che stanno a P..11e•E) ' mai po:,~ibile credere che chiunque vada in Bosnia non può che impantanarsi in una guerra senza fine? E dopo che ci hanno stordito di storie sulle bombe intelligenti, la supremazia tecnologica, l'aviazione infallibile quando si trattava di ridurre alla ragione Saddam Hussein? Quando si parla di Jugoslavia la discussione prende sempre i rivoli più diversi, ma poi si arriva alla semplificazione finale dei fatti oggettivi e inconfutabili, e questi fatti dicono che né in Serbia né nei territori abitati dai serbi c'è una casa distrutta, né sono successe le grandi aberrazioni prodotte da questa guerra e che infine nel momento in cui la Jugoslavia ha cessato di essere uno stato strategicamente rilevante, perché di confine fra gli imperi. l'interesse per intervenire a ripristinare i diritti umani, a salvare gli aggrediti, ad impedire la pulizia etnica s'è ridotto a zero e tutta la questione è diventata un fastidio. Insomma, per sfortuna dei bosniaci lì non c'è il petrolio!) geostratcghi non hanno considerato ciò che attiene alla sfera culturale, ai valori, alla convivenza e alla tolleranza che alla lunga sono più importanti, perché, se tutto questo può essere messo in discussione a Sarajevo. non si vede perché non possa un domani essere messo in discussione dovunque in Europa. I governi non sono ancora capaci di fare i conti con un'Europa senza il muro ... Nel momento in cui è caduto il muro e non abbiamo più avuto la percezione di noi stessi come altro rispetto a qualcosa che sta di là, ceco che sono scoppiati i localismi e i nazionalismi. Forse che il successo della Lega non era legato a questo? Forse che Valloni e Fiamminghi non si sono alimentati di questo? E dappertutto è così. il Quebec ha votato recentemente per l'indipendenza. E allora bisogna capire che la guerra in Jugoslavia è una guerra paradigmatica e una guerra prototipo, perché quando l'uomo non ha più cognizione di sé si rifugia nella sua trihù, si rifugia nel nucleo che ritiene più vicino: il sangue. la lingua, la religione. Non a ca\o si parla di nuovo Medioevo. ~ia per la barbarie e il livello di violenza che esprime, sia per tutti i valori antichi, ma anche tremendamente moderni, se visti nell'ottica che dicevo, di cui questa guerra è portatrice. Valori per modo di dire naturalmente, perché questa guerra è portatrice della distruzione dell'idea di convivenza, di tolleranza e di cosmopoliticità, sostituita dall'idea del clan, della tribù, della chiusura, della diffidenza, della barriera fra chi è diverso. La frontiera ha un suo valore quando segna il confine con qualcosa che è diverso e con cui mi confronto, mi rapporto, mi scambio, quando invece segna una barriera al di là della quale c'è solo qualcosa da combattere, da respingere, dari fiutare è tremendamente pericolosa. E dalla guerra in Jugoslavia è venuto questo pessimo esempio di idea di confine che ci deve preoccupare tutti. Ho sempre pensato che la più utile rivoluzione del secolo fosse il turismo, perché dava la possibilità di avere una conoscenza della diversità, aiutava a distruggere i cliché, le immagini stereotipate e caricaturali che ci si costruisce di coloro che non si conoscono e mai avrei creduto di trovarmi di fronte a qualcosa che rappresenta anche un tentativo di regressione rispetto a queste conquiste di conoscenza. Non a caso fra le prime azioni di guerra in Bosnia c'è stata quella di bombardare i ripetitori tv: il nemico va nascosto. Tu che devi andare ad uccidere il mussulmano non lo devi vedere in faccia, perché sennò lo riconosci, lo identifichi. Ci pensa poi la propaganda, la tua televisione a costruire l'immagine del nemico, a costruire il mostro e a darti la forza di ucciderlo. Pannella diceva, quando ancora non era impazzito, che forse sarebbe bastato mandare in onda in tutte le tv jugoslave scene di matrimoni misti riusciti e qualcosa in questa guerra sarebbe cambiato. Era una semplificazione. ma con un fondo di assoluta verità. Concludendo, com'è oggi la vita quotidiana di Sarajevo? Continuo a pensare ai cittadini di Sarajevo come a dei miti. Nel senso che pur con tutte le cose discutibili che ci sono. e vorrei vedere vista la situazione, loro restano per noi un esempio. Insomma, si sa che Sarajevo è stata saivata al l'inizio della guerra dai delinquenti. Sono stati loro i primi, i più organizzati ed armati che hanno impedito ai serbi di occupare la città. lzedbegovic non aveva pensato neppure ad una milizia per difendere la città! E sono stati i delinquenti, anche i peggiori, cioè quelli che trafficavano in droga, che sfruttavano la prostituzione che si son messi lì a combattere e hanno salvato la città. E oggi a Sarajevo ci sono ragazze che si prostituiscono per una sigaretta, ci sono persone che si sono arricchite col mercato nero e altre situazioni del genere che tanto hanno impressionato quelle centinaia di giornalisti venuti per la prima volta in vista del viaggio del papa e che hanno scoperto che non c'erano santi con l'aureola nella città martire. In una visione religiosa si può immaginare che il santo sia l'incarnazione di tutte le virtù, in una visione laica è chiaro e accettato che nelle situazioni estreme si mescolano continuamente il bene e il male, che le persone capaci di atti di insospettato eroismo sono le stesse che potrebbero aver condotto o tuttora condurre una vita discutibile. M'è capitato una sera di trovarmi in quaranta fra giornalisti italiani e amici di Sarajevo e fra questi Kemal Monteno, -figlio di un soldato italiano che nella seconda guerra mondiale s'è innamorato d'una bosniaca ed è rimasto a vivere làche è diventato il più famoso cantante della Jugoslavia, amico di Morandi, Endrigo e autore della canzone diventata inno di Sarajevo. Bene Kemal s'è messo a cantare e con lui noi che siamo suoi amici, io Adriano Sofri, Federico Bugno e altri. Ma al nostro tavolo qualcuno, italiano, ha trovato aberrante che noi cantassimo con Kemal perché, per loro, solo i cittadini di Sarajevo avevano diritto di cantare, senza capire che la vera forza dei sarajevesi era stata la capacità di credere alla normalità e alla sua perpetuazione e che solo la capacità di vivere la quotidianità aveva dato loro la forza di resistere così tanto. Insomma, in una città assediata da due anni e mezzo sicuramente c'è la prostituzione, sicuramente c'è il mercato nero, sicuramente c'è chi si arricchisce, sicuramente ci sono dei tipacci, però rimane il fatto che l'essenza vera di questa città è un esempio per tutti e, nonostante I' inazione dell'Onu e dell'occidente e l'azione tremenda dei serbi, lo spirito tollerante dei sarajevesi non è stato ucciso. E già solo per questo dovremmo essere grati a tutti i cittadini di laggiù. • Sarajevo 94. Foro di Renzo Pirini. precisazione Cari compagnidi "Una città". ho ricevutooggi il vostrogiornale.e vi ringrazio (e vi complimento) per il vostro editing dellamiaintervistasulla fabbrica integrata:siete riusciti insiemead essere fedelial sensodelle cose che ho dettoe ad organizzarein modo leggibileun·intervistaimprovvisata(e quindi inevitabilmente disordinata). Non mi soffermo su alcune piccole inesattezze. inevitabili in questi casi. C'Lè peròun puntoche vorreicorreggere,perchétoccaunaquestioneunpo· più di fondo. Non ho mai detto di essermi occupato "per primo" (nel sindacato)della fabbrica integrata -anche se ritengo di averla"presa sul serio" primadi molti altri.Nonsi trattasolodel fatto,ovvio, che molti nel sindacato ne hanno discussoprimadimeo intempianaloghi, ma di una questionepoliticamentepiù rilevante.Almenonella mia esperienza torinese, i primi a rendersi conto dell'importanzadi ciò che stava avvenendosonostati alcuni delegati di fabbrica. particolarmentesensibili e attenti, insieme ai funzionari sindacali checon lorolavoravano.Perquantomi riguarda.leprime"lezionisulla fabbrica integrata" leho ricevutedalla Fiom di Rivalta (delegati e responsabili di lega).Questomostra,una voltadi più, che spesso non sono i "ricercatori" a scoprire per primi i fenomeninuovi... un fattocheè statobrillantementeriassuntoproprioda undelegatodi Rivalta con la frase"voi siete i ricercatori.noi siamo i trovatori". Un riconoscimento ai "trovatori"mi parevadunquedoveroso.Moltisalutie auguri per il vostro bel giornale. Vi/Iorio Rieser UNA CITTA' 3

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