Una città - anno III - n. 22 - maggio 1993

' S"· ~t_: ,k ·,?,),~~ (. , ? •·:v ,; i,,_ ,..-,~ . ·-fi ·v-_,, Jt ,,, . i,, ~;.,,~~ TERRORE A MOSTAR Sulla situazione a Mostar, dove in questi giorni i croati hanno ripreso gli attacchi contro i mussulmani, abbiamo chiesto notizie a una persona appena tornata dalla città. 12,maggio, 1993.Prima degli scontri veri epropri di questi giorni c'erano statedelle avvisaglie in altri centri più piccoli. Successivamente si èavuta aMostar una serie di atti significativi. Si è cominciato con la croatizzazione spinta della città. E cioè: alla riapertura della scuola sono stati sostituiti tutti i libri con testi di Zagabria; nella lingua ufficiale son state introdotte vecchie parole croate; son stati cambiati i nomi delle strade; è iniziata un'espulsione di mussulmani dai posti di lavoro che ha risparmiato solo i più qualificati; s'è adottato uno status di profugo per cui gli uomini fra i 17 e i 60 anni e le donne fra i 16 e i 55 non potevano essereconsiderati profughi, con ciò perdendo il diritto alla casa,ali' assistenza,al cibo. A Mostar son rimasti 80000 abitanti, 18000 dei quali profughi dalle zone di combattimento. In pratica questi venivano cacciati dalla città. Questo incredibile provvedimento, del B1 resto simile a quello da tempo in vigore in Croazia che divide i profughi di origine croata dagli altri, introdotto il 15 aprile è stato poi sospeso. Oggi si può dire momentaneamente,perché la sostanzadi quel decreto viene ora applicata con altri mezzi, .. Un altro atto concreto è stato l'inizio di un'azione di cecchinaggio per cui è diventato impossibile circolare a piedi. Poi son statechiuse le frontiere: i convogli umanitari son stati bloccati e nessunmussulmano è più potuto entrare o uscire. Il blocco per i mussulmani è tuttora vigente. Fra la fine di aprile e i primi di maggio è cominciata una serie di attentati che avevano come obbiettivi prima i bar mussulmani, poi i terrazzi delle case. Infine, la città èstatadivisa in settori e i mussulmani sono stati sospinti sulla riva sinistra del fiume, dove più grosseerano state le devastazioni della guerra con i serbi un anno fa e dove da allora non c'è più né energia elettrica néacqua né ponti per attraversare il fiume. Questo era il clima fino apochissimi giorni fa, quando gli scontri fra croati emussulmani sondiventati aperti, con uso di armi automatiche e pesanti e con i rastrellamenti croati di civili mussulmani. ex-Jugoslavia NULLA DI PEGGIO CHE ASSISTERE INDIFFERENTI Di fronte a situazioni drammatiche come gli assedi di intere città, i bombardamenti contro i civili, lapulizia etnica, gli stupri, l'organizzazione di campi di prigionia con condizioni al limite della sopravvivenza, il tulio in una condizione di grande disparità delle forze in campo il compito del pacifismo è la riaffermazione dei principi della non violenza, il non uso assoluto della forza, l'assistenza materiale e morale alle popolazioni colpite o è, anche, far cessare la guerra con ogni mezzo, compresa quindi la 'forza"? Abbiamo chiesto a Gianni Sofri, docente di storia e conoscitore e studioso di Gandhi, di ricordare e commentare le posizioni di Gandhi su questo specifico tema. Gianni Sofri è,fra l'altro, autore del libro Gandhi in Italia, ed. Il Mulino, dal quale sono riportate alcune citazioni. Gandhi diresse una lotta per l'indipendenza che aveva come interlocutori gli inglesi. Si possono dare giudizi molto diversi sulla natura del colonialismo britannico, o sulla mentalità "razzista" degli inglesi, quella che viene descritta in maniera duramente critica da Forster in Passaggio in India o da Orwell in Giorni birmani. Tuttavia, nessuno si sognerebbe mai di porre i colonialisti inglesi in India sullo stesso piano dei nazisti o dei Khmer rossi (o anche, aggiungerei oggi, delle bande armate dei serbi in Bosnia). A pensarci bene, in tutta la storia pluridecennale della lotta dell'India per l'indipendenza ci sono numerosi episodi di violenza da entrambe le parti, ma solo uno che è passato alla storia come un massacro vero e proprio, sanguinoso e vergognoso. Si tratta del massacro di Amritsardel 1919, il cui principale responsabile venne peraltro punito dai suoi superiori (sia pure, a parere di molti, troppo blandamente), e rinviato in patria. Si deve quindi alle teorie e alla pratica di Gandhi della non-violenza, ma un po' anche al tipo di risposta degli inglesi, se la lotta di liberazione di un popolo di quattrocento milioni di persone potè svolgersi, e arrivare a compimento, con un tasso di violenza e di perdite umane decisamente inferiore a quello di altri Paesi che conobbero un'esperienza paragonabile a quella indiana (dalla Cina all'Algeria, all'Indocina ex francese). Il grande massacro, quello fra indù e mussulmani (un milione di morti e sei di profughi) si verificò alla fine della lotta per l'indipendenza. E benché sia possibile attribuire una parte di responsabilità agli inglesi, l'aspetto principale resta quello degli odii secolari che riemersero nel momento della partenza dei colonizzatori (se si vuole, in maniera abbastanza simile al riesplodere di antichi conflitti etnici e religiosi dopo la crisi dell'impero sovietico o della federazione jugoslava). Inaltri termini, Gandhi ebbe in un certo senso la favorevole sorte di poter lottare contro un awersario che restava comunque rispettoso di una base minima di regole di umanità. In uno scritto del 1984, che si trova nel volume "Il canto del pendolo", losif Brodskij ha scritto che per mettere in pratica la resistenza non violenta è necessario un "margine di democrazia; ed è proprio quello che manca all'86 per cento del globo terracqueo". Gandhi non sarebbe stato d'accordo. Era convinto che anche i dittatori, come Hitler e Mussolini, potessero essere convertiti e redenti dallo spettacolo della nonviolenza applicata contro di loro. Quando la seconda guerra mondiale si avvicinava, e quando ebbe inizio, Gandhi ne fu letteralmente traumatizzato, ne vide con acume, e con disperazione, il sicuro effetto di imbarbarimento, e intraprese una serie di iniziative per scongiurarla. Scrisse due lettere ad Hitler (che probabilmente non arrivarono mai a destinazione) per chiedergli di rinunciare alla guerra. Nel 1940 scrisse un appello "a tutti i britannici" per invitarli a non opporsi ai tedeschi e a lasciarli entrare nella loro "bella isola" senza opporre alcuna resistenza. Vale la pena di riprodurre una parte di quell'appello: "Faccio appello a tutti gli inglesi, dovunque si trovino, perché adottino il metodo della non-violenza invece di quello della guerra, nella risoluzione dei conflitti tra le nazioni e in ogni altra questione. I vostri statisti hanno dichiarato che questa è una guerra per la salvezza della democrazia. Si danno molte altre giustificazioni. Voi leconoscete tutte a memoria. lo credo che alla fine della guerra, quale che possa essere l'esito, non esisterà più nessuna nazione che possa rappresentare la democrazia( ...). Faccio appello perché cessiate le ostilità, non perché non siete più in grado di sostenere la guerra, ma perché la guerra è un male in assoluto. Voi volete eliminare il nazismo. Ma non riuscirete mai a eliminarlo adottando i suoi stessi metodi. I vostri soldati stanno compiendo la stessa opera di distruzione che compiono i tedeschi. La sola differenza è che forse i soldati inglesi non sono tanto spietati quanto quelli tedeschi. Ma anche se per il momento questo è vero, essi ben presto diverranno spietati quanto i tedeschi, se non addirittura di più. La guerra non può essere vinta in altro modo. In altre parole, voi dovrete divenire più crudeli dei nazisti. Nessuna causa, per quanto giusta, può giustificare il massacro indiscriminato cui oggi stiamo assistendo. lo affermo che una causa che richiede le azioni disumane che si stanno compiendo non può essere considerata giusta. lo non voglio che l'Inghilterra venga sconfitta, ma non voglio neppure che conquisti la vittoria con l'uso della forza bruta, sia questa espressa con i muscoli o con il cervello( ...). Vi invito a combattere il nazismo senza armi, o, per attenermi alla terminologia militare, con armi non-violente. Abbandonate le armi che impugnate; convincetevi che non possono servire a salvare voi stessi e l'umanità. Invitate Hitler e Mussolini a prendere ciò che vogliono della vostra bella isola, con tutto ciò che di grande e di bello contiene. Darete ai dittatori tutto ciò, ma non darete mai loro i vostri cuqri . e le vostre menti. Se essi vorranno occupare le vostre case, voi le abbandonerete. Se non vi lasceranno uscire, voi insieme alle vostre donne e ai vostri figli vi lascerete uccidere piuttosto che sottomettervi." (pag100-101 di Gandhi in Italia). Gandhi si rivolse anche al viceré, lord Linlithgow, per dirgli che la guerra era ormai perduta e per offrirsi lui come mediatore con Hitler. L'Inghilterra stava allora affrontando uno dei momenti più oscuri della sua storia e resistendo alla minaccia hitleriana con grande coraggio. Il vicerè rispose: "Siamo impegnati in una lotta: finché non avremo raggiunto i nostri scopi, non ci sposteremo dalla nostra linea". E aggiunse: "Tutto andrà bene". Gandhi assunse posizioni inquietanti e "scandalose" anche riguardo ai polacchi, ai cecoslovacchi, agli ebrei. Riguardo a questi ultimi, non cambiò idea neppure dopo la fine della guerra. Nel 1946 disse a Louis Fischer: "Hitler ha ucciso cinque milioni di ebrei. E' il più grande crimine dei nostri tempi. Ma gli ebrei avrebbero dovuto offrirsi alla mannaia del boia. Avrebbero dovuto precipitarsi nel mare da sé, dall'alto di una scogliera ... Questo avrebbe fatto insorgere il mondo intero e il popolo tedesco ... Nei fatti, in un modo o nell'altro, sono morti a milioni." (pag.99 di Gandhi in Italia). Queste posizioni di Gandhi furono oggetto già allora, e lo sono state in seguito, di molte discussioni. Un primo punto riguarda una scarsa consapevolezza, legata alla lontananza geografica, ma soprattutto culturale, della vera natura del totalitarismo moderno. Un secondo punto riguarda la legittimità di accettare il sacrificio (il massacro, il genocidio) di intere generazioni o popolazioni in nome di una impazienza, di una volontà di bruciare i tempi lungo la strada che dovrebbe portare a una società definitivamente e totalmente priva di violenza. Si potrebbe aggiungere che la via propugnata da Gandhi era una via praticabile dai santi, cui non si può certo negare il diritto di rinunciare a difendersi. Ma, con altrettanta forza, non si può non riconoscere e accettare il diritto di chi intenda attuare una "legittima difesa" nei confronti di aggressioni: soprattutto quando queste aggressioni sono condotte in maniera barbara e disumana. Un altro punto in discussione riguarda il rapporto fra ricerca della pace e libertà. Entro quali limiti è possibile accettare senza reagire un'oppressione (di un popolo, di un gruppo sociale, di singoli individui), in nome della necessità di non contribuire all'aumento complessivo della violenza? Può, la difesa della vita come scopo primario, prescindere totalmente dai valori che la rendono degna di essere vissuta? E ancora, non esiste in alcuni casi il rischio che un eccesso di remissività nei confronti dei violenti finisca per indurli a moltiplicare pericolosamente la loro violenza? Mi sembra che tutti questi interrogativi siano quanto mai attuali riguardo alla Bosnia. Vorrei finire ripetendo una considerazione che ho già fatto altrove. "Se vogliamo completare questo ricorso-spéro non ozioso- a Gandhi e agli altri padri del pacifismo radicale, c'è un altro aspetto da prendere in esame. Per Tolstoj, il Cristo ha ordinato di non resistere al malvagio e di non accettare la violenza in alcun caso, a meno che si tratti di salvare un bambino minacciato e in pericolo. Quanto a Gandhi, faceva anche lui un'eccezione, per un folle omicida che minacciasse una comunità e che non fosse possibile catturare vivo. Nel '26 scrisse che "colui che non uccide un assassino che sta per uccidere suo figlio (quando non può impedirglielo in altro modo) non ha alcun merito, ma commette peccato". E più volte spiegò che in una società non fatta di esseri perfetti ma "di comuni esseri mortali", in alcune circostanze l'astenersi dalla violenza può non corrispondere all'ahimsa (la non violenza). O, ancora, che l'uso della violenza per una causa giusta è comunque più lodevole di una vile accettazione dell'ingiustizia. Si possono prendere alla lettera queste citazioni su bambini e pazzi sanguinari (e certo colpisce che in Bosnia si sia comunque sparato su bambini). Ma si può anche cercare di coglierne il significato simbolico e metaforico: anche dal punto di vista della nonviolenza non c'è nulla di peggio che assistere indifferenti a un massacro. Naturalmente, non si tratta di violentare il pensiero di Gandhi per farne un guerriero, bensì di impedire che la teoria della non-violenza diventi un alibi all'impotenza e all'indifferenza" (Linea d'ombra, ottobre 92). Gianni Sofri UNA CITTA' 5

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