Una città - anno III - n. 22 - maggio 1993

vano qualcosa da perdere, sia per le liberazioni anticipate, sia per i permessi. Comunque ci sono sempre diversi livelli cli pareri eia superare, tulli vincolanti. A me, pur avendo superato positivamente i colloqui con psicologi e assistenti sociali del SERT ed anche il giudizio del Comitato formato dal Prefello e tre esperti che si riuniscono in occasione di reati particolarmente gravi, mancava tullavia il rapporto informativo della Questura, il quale è stato pessimo. A questo punto chi mi ha sbloccato lacosa è stata 1· educatrice del carcere, che ha fallo presente che avevo una situazione drammatica in famiglia, che tulio sommato avevo tenuto un comportamento corretto in carcere, che potevo essere affidabile e ho avuto il primo permesso agli arresti domiciliari. di sera però tornavo in carcere. Il primo permesso te lo danno così, col secondo sai già che ti concedono qualcosa in più, poi gradualmente sempre più libero. Naturalmente non puoi uscire dal Comune, non puoi frequentare pregiudicati e devi astenerti dall'uso di sostanze stupefacenti e dal bere smodatamente. Fra un permesso e l'altro ti fanno le analisi delle urine, naturalmente se risulti positivo ti salta tutto. Io sono andato in permesso tutte queste volte e sono sempre ritornato negativo e anche all'interno del carcere non mi hanno mai trovato positivo. senza preavviso alle 5 di mattina e vai a La Spezia Solo che è successo che è morto quel ragazzo di overdose e ci sono stati i trasferimenti di cui ti parlavo e hanno messo in mezzo anche me. Sono arrivati alle 5 di mattina senza preavviso, mi hanno ordinato di preparare il bagaglio e di partire. A questo punto ho informato don Dario Ciani, responsabile della comunità di Sadurano, della mia situazione e di mia madre ricoverata in ospedale con un tumore. Don Ciani insieme al deputato verde Sauro Turroni ha informato i giornalisti, i quali hanno incalzato Amato con le domande sul mio caso, questo è cascato dalle nuvole e si è informato presso la direzione del carcere. Fatto sta che Amato ha preso l'impegno di farmi ritornare e infatti sono partito venerdì mattina e martedì sono tornato a Forlì. Mi è andata bene, anche se al ritorno mi hanno isolato dagli altri mettendomi in osservazione, che è un reparto particolare dove mettono le persone che potrebbero creare dei problemi in sezione: ad esempio hanno messo lì l'assessore arrestato, oppure c'è un travestito brasiliano, oppure ancora ci sono quei lavoranti di cui parlavo prima,come il portapacchi o il magazziniere, cioè quei detenuti che tengono più isolati dagli altri perché hanno più possibilità di contatti con l'esterno. Comunque sei riuscito a stare vicino a tua madre, almeno negli dal carcere ultimi giorni'? Sì, perché, dopo l'interessamento di tutte queste persone, il magistrato di sorveglianza mi è venuto incontro concedendomi alcuni permessi. Ora sono stato affidato alla comunità cliSadurano tulio il giorno, alla sera però torno a casa e sono seguito dagli assistenti sociali del carcere che fanno capo al magistrato di sorveglianza di Bologna e in più dal SERT. Questa del SERT è altra nota dolente del carcere cli Forlì, perché è pressoché assente. Per avere un colloquio con un operatore del SERT devono passare dei mesi e mesi. Ma tulio quello che riguarda il tossicodipendente deve passare attraverso il SERT che. come servizio preposto dell'USL e riconosciuto dal tribunale, ha il potere di liberarti o meno e di darti tutti permessi o revocarli. aspettano che sia il tossico a rivolgersi a loro Pensa poi a tutti i problemi legati alla sieropositività. Ci sono dottori che ti seguono e che ti dovrebbero fare gli esami del sangue ogni 3 mesi, ma succede che c'è gente che ha problemi di vene, che le ha tutte bruciate e che quindi deve andare in ospedale per queste analisi: diventa tutto più complicato, in realtà invece di 3 mesi te le fanno ogni 56 mesi. C'è gente che prende l' AZT e vive in cella con persone sane; gente che in seguito agli esami deve andare a colloquio con l'infettivologo al Morgagni e tutte le volte devi essere scortato dagli agenti di custodia, che sono sotto organico e spesso non possono accompagnarti, quindi subisci dei ritardi enormi. D'altra parte mi è stato confermato dall'unica operatrice che arrivava saltuariamente che la scelta che l'USL 38 aveva fatto era stata proprio quella di seguire di meno il carcere. Disse che loro avevano deciso di seguire determinate situazioni all'esterno del carcere soprattutto, con un centro diurno coinvolgente anche le famiglie dei tossici, e quindi il carcere non rientrava in questa loro scelta. La cosa mi colpì moltissimo, perché i tossici se non li vai a prendere dentro il carcere dove li prendi? Inoltre è sempre la solita filosofia delle USL, non solo di Forlì, quella cioè di aspettare sempre che il tossicodipendente si rivolga a loro, mai di andargli incontro. Io posso anche pensare che loro siano oberati di lavoro, che di casi se ne presenteranno moltissimi, però se trascuri una realtà come il carcere in cui l'ottanta per cento dei detenuti sono tossici, è una cosa assurda. Inoltre se qualsiasi richiesta di beneficio, qualsiasi richiesta di permesso che puoi ottenere, deve passare attraverso loro. Se loro sono assenti dimmi tu uno come deve fare. - ~ ~~ 0K:rl!0.Y0G1t Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 GRUPPO [IDX~©(UJ IILI CORRIERE ESPRESSO SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 Tel. 0543/31363 - FAX 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Box 32/C - GROS Tel. 0541/392167 - Fax 392734 B10 10 eca Gino 1anco LA FINE DI PIOTR Venuto in Italia per sostenere la famiglia, è morto suicida dove era finito per rissa. Intervista a don Dario Ciani. • 1n carcere Don Dario Ciani è cappellano del carcere di Forlì efondatore della comunità di Sadurano. Può raccontarci del giovane polacco che si è suicidato in carcere a Forlì? Due giorni fa sono tornato al cimitero per vedere come è messa la tomba di Piotr. In effetti dobbiamo mettere una lapide per conservare almeno il luogo della presenza di questo ragazzo. Questo fa pensare alla necessità di non dimenticare questo fatto perché è un segno di quella che in fondo può essere la storia di ciascuno: quando uno entra in carcere è dimenticato. Se è ricordato, di solito lo ricorda qualche parente e basta. Di fatto il rischio più grande è questo, che la storia del carcere sia storia di chi in qualche modo è bene che sia dimenticato, è bene che sia tagliato fuori. Che non sia più di disturbo. Indubbiamente c'è un grande scarto fra la realtà delle cose e quella che potrebbe essere, in linea di principio, l'idea del carcere come un luogo di redenzione, in cui attraverso la pena si ritrova un proprio modo, un proprio spazio per riaggangiarsi in maniera positiva alla vita sociale. Invece, appunto, sembra che, una volta comminata la condanna e la pena conseguente, il problema sia risolto. Con un atteggiamento positivo, al contrario, il grosso impegno dovrebbe cominciare in quel momento. Non solo cercare le cause, ma, per usare parole grosse, cercare anche le causalità storiche del succedersi degli avvenimenti e dei fatti. Perché mentre si dice "adesso basta con quel comportamento, devi cambiare, averne un altro", nessuno dice qual è quest'altro. Né, tantomeno, certe realtà sono finalizzate a quello che dovrebbe essere all'origine della pena: dare alla persona la possibilità di vivere, di rivivere. Questo a livello generale, ma quando poi si colloca questo ragionamento nella realtà, in una realtà svuotata, o che non è mai stata riempita dei significati che avvalorerebbero l'ipotesi della pena come redenzione, allora bisogna immaginare cosa succede se in questo ingranaggio ci casca una persona senza radici, senza arte né parte. In questo caso diventano evidenti le conseguenze del fatto che il carcere invece di essere un luogo dove si recupera della gente alla società, è il luogo che in qualche modo tutela il resto della società dal carcerato. E se questo qualcuno è fragile, è un precipizio. Chi era questo ragazzo? Aveva meno di 30 anni. Era l'unico maschio di una famiglia con tre sorelle. Due delle sorelle sono sposate e una di loro soffre di disturbi psichici. Questa sorella mi sembra avesse anche problemi nel matrimonio, comunque era assente la presenza maschile, e per questo aveva affidato il proprio figlio alla nonna. Quindi la madre della famiglia si trovava con una misera pensione, corrispondente a 135000 lire, a mantenere anche la figlia e il nipote. Piotr, praticamente, era il "padre" di famiglia e aveva deciso di andare ali' estero per dare sostegno alla madre e alla famiglia. Arrivato in Italia si è trovato coinvolto in una rissa per una sciocchezza, sembra per un orologio, fra italiani e polacchi, quasi tutti già residenti. Alla fine tutti sono scappati e sono rimasti tre ragazzi polacchi. Due di loro erano gli ultimi ARREDAMENTO NEGOZI E SUPERMERCATI arrivati. L'altro era quello che li aveva accolti al loro arrivo in Italia: un giovane che è qui da tempo e ha un lavoro regolare. Comunque ci sono andati di mezzo loro. Per quanto possibile tutti hanno cercato di non far sapere alle famiglie quello che gli era successo. Io ho fatto da tramite nei rapporti postali fra uno di loro e la famiglia, e se non fosse morto Piotr le famiglie forse non avrebbero saputo mai che erano finiti in carcere. Penso che quello che ha avvilito maggiormente Piotr sia stato, non tanto il fatto personale di essere andato in galera, quanto proprio non poter mandare nulla alla famiglia, non essere di sostegno alla madre. Molto probabilmente ha ceduto su questo. La madre mi ha parlato e mi ha scritto dopo la morte del figlio e veramente lo considerava come unico sostegno, come unica forza per sé, per la figlia e il nipote. Di fronte a tanta fiducia da parte della madre, provate a pensare quanto lui sentisse questa responsabilità. Non era venuto qua per sé, per rendersi indipendente, ma per la sua famiglia, per la madre. Ora è morta anche la madre. E' morta di crepacuore in seguito al suicidio del figlio. Questa catena mette in luce chiaramente come la sua venuta in Italia fosse strettamente legata al suo rapporto con la madre, al bisogno della famiglia. Dico questo perché questo giovane si è trovato in una situazione in cui le persone non valgono più per la loro storia, ma entrano in una sorta di anonimato che garantisce che la legge è uguale per tutti, perché non conosce nessuno. Gli individui sono annullati nella loro specificità, nella loro storia e allora la giustizia è giustizia "uguale" per tutti "uguali". In questo caso un lavoro, anche modesto, poteva dare la possibilità a questo ragazzo di mantenere il legame con la famiglia, mantenere il suo impegno, e soprattutto poteva salvargli la vita. Invece, una volta comminata la pena il discorso è chiuso ... Infatti.C'è il mantenimento di questo "status quo" in cui si annullano le vicènde personali, perché metterle in evidenza significherebbe impegnare delle risorse. Non facendo questo non puoi tirare fuori le vicende personali, perché significherebbe farle diventare "storie". E non lo puoi fare, perché non c'è un progetto, manca uno spazio in cui ci sia, materialmente, la possibilità di conoscere tutti, di ascoltare tutti, rispettare le loro storie. Allora è più semplice annullare tutto, la "storia" e anche le piccole cose. Occorrerebbe uno spazio non indifferente, di mentalità prima che di possibilità. Le possibilità ci sono, mantenere una persona in carcere costa comunque. Si tratterebbe di utilizzare al meglio un servizio. Per questo ripeto che quello che manca è una certa concezione del recupero. Non dico che a tutti sia dovuto tutto e subito. Molti hanno bisogno di penare un po', di capire anche attraverso un'esperienza dura. Le cose vanno conquistate, chieste quando se ne è capita l'importanza. Questo discorso è un po' scontato, non sono qui a dire che tutti quelli che sono in galera sono dei santi. Ma non possiamo perderne nessuno, perché se ne perdiamo vuol dire che abbiamo sconfitto una parte della verità che chiediamo di portare avanti. - nella foto: la tomba di Piotr LA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - ITALY Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 -== GRUPPO p ......--ORJEZZA UNA CITTA' 13

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