Una città - anno II - n. 17 - novembre 1992

' ! fi i I i < QUl111 SIGNORI••• Francesca Farolfi e Adriana Pifferi, per trenta anni infermiere all'Osservanza di Imola, ci raccontano come era il manicomio una volta. Prima clte le cose cambiassero per merito di alcuni medici e poi della legge 180. Abbiamo incontrato Francesca Farolfi e Adriana Pifferi al reparto 5, dove, tra le altre, ha sede l'Associazione "Cicoria", formata da donne residenti, operatrici e volontarie come Francesca Farolfi e Adriana Pifferi che vi dedicano parte del loro tempo libero. In corsivo è il racconto di Adriana Pifferi. lo sono entrata qui nel 1961. La psichiatria allora era diversa. La·mentalità era diversa. I pazienti rimanevano qui per lunghi periodi perché i parenti, dopo averli depositati, faticavano a riportarseli a casa. Così il numero aumentava e crescevano nuovi reparti. Poi fu fatto il teatro, dove i pazienti venivano accompagnati dagli infermieri, che dovevano sempre contare chi entrava e chi usciva. Il cambiamento è avvenuto nel '70quandoa Villa dei Fiori si cominciò ad operare con gli ingressi e le uscite, con i pazienti che sempre più frequentemente andavano a casa e poi tornavano. Si cominciò ad abbattere i muri dove prima era tutto un muro, tutto un recinto. Così i pazienti sono sempre più diminuiti: ora ce ne sono solo 500, mentre prima erano più di 2000. Prima il contatto esterno esisteva solo quando qualcuno poteva andare a casa; altrimenti nessuno usci va dall' Osservanza. Qui c'era tutto: il teatro, il parlatorio, si poteva ballare ... ra una città cf'usa: ~ra la chiesa, il cinema, il negozio, il bar ... Allora era molto diverso. Ci si rapportava in modo diverso. Adesso si usa più una protezione chimica, le persone con disturbi però ci sono ancora, ma ci sono anche altri farmaci, altri sistemi. Una volta i pazienti venivano contenuti. .. Era una regola: si legavano tutti i giorni. Nella sala o nella saletta ... la "sala" era il posto in cui si tenevano a letto anche di giorno, mentre al piano superiore si tenevano quelli che venivano legati anche di notte ... molti di quelli che ho conosciuto avrebbero potuto starsene tranquillamente a casa loro ... Legarli era una regola. Si doveva addirittura firmare. Era una regola imposta, una specie di regolamento carcerario. Con1e dei secondini, avuta la consegna, dovevamo passare letto per letto ... Si usava una fascia fornita di due bulloni alle estremità che si bloccavano con un borchia, per fissare al letto le caviglie dei pazienti più disturbati. In modo che, pur restando legati al letto, potevano scendere e muoversi. li corpetto era invece un giacchettino corto legato dietro con due maniche lunghissime che, una volta annodate, impedivano di muovere le braccia ... La camicia di forza, insomil giorno e per tutti i 365 giorni dell'anno venivano contenute per uno, due, tre, quattro, cinque anni ... lo la chiamavo la tortura della mosca. Mi ricordo ancora il primo giorno che venni dentro. Era d'estate e faceva caldo. Le persone contenute, alcune della mia stessa età, avevano sempre delle mosche che gli ronzavano sopra ... Quando tornai a casa mi sentii così impressionata: avevo solo 20 anni e non sapevo nemmeno cosa fosse un ospedale ... Quelle signore con tutte quelle mosche che giravano attorno alla bocca, agi i occhi e loro che muovevano a scatti la testa, gli occhi ... E non potevano cavarsele di torno! Mi ricordo di alcune infermiere più anziane di me che si sedevano accanto alle contenute e offrivano loro almeno lapossibilità di aspirare una sigaretta ... E quanti pianti la notte a casa! Eppure dovevamo lavorare. Bastava che una lacerasse i lenzuoli per venir subito contenuta. Bastava che una avesse uno scatto di rabbia. Bastava che tirasse via qualcosa ... Adesso sono trattati bene. Anche a livello di infermieri si sta meglio. Una volta c'era 1111a divisione netta. A me sembrava di essere una grande signora: i malati mi riverivano. E 1101s1erviva niente spiegare che io ero come 1111dai loro. L'infermiera era vista come una persona superiore. A i loro occhi avevamo 1111 CO grande potere. In realtà non era vero. Allora le infermiere non potevano parlare tanto come adesso ... C'era unfiltro che andava dal professore al medico, alla caporeparto e infine all'infermiera, che doveva solo ubbidire e stare zitta. Adesso è diverso: le infermiere possono parlare, dare consigli, confrontarsi . . *** le famiglie li portatavano qui, semplicemente li depositavano e poi si vedevano sempre più di rado. Sì. Finché non è cambiata la legge, finché non è cambiata la mentalità, sono aumentati continuamente ... E non erano pochi quelli che avrebbero potuto benissimo non essere ricoverati ... Come è poi successo dopo la legge ... Sì, qui c'è molta gente, che conosco bene e a cui voglio molto bene, che è stata legata per tanti anni. Fin da quando erano giovani ... Sono entrati da giovani. Alcuni anche a quindici, diciotto anni ... Adesso pare che la malattia, la schizofrenia. si sia un po' spostata in avanti negli anni. E una volta qui entravano tutti: dall'epilettico all'alcolista, allo sclerotico. C è una paziente che è entrata qui 30 anni fa solo perché la famiglia. essendo lei cicca, non poteva tenerla! li manicomio era il repulisti della città: tutto quanto disturbava, lo si metteva in manico- • • un man1com10 Entrare all'Osservanza fa impressione. Quei muri di cinta, quei caseggiati uguali, allineati, numerati, quelle inferriate rimaste a tutte le finestre. Vien da immaginare di trovarsi in un campo, qualche anno dopo la sua liberazione, se mai qualcuno avesse deciso di rimanervi. In quella libertà grande ma ormai poco importante che dà lo stato di abbandono. Osservandoli di nascosto, quegli ultimi residenti ci sembrerebbero allora fantasmi di un passato che vorremo già remotissimo. E vien dapensare a quante volte da piccoli s'è scherzato su "Imola". Ese quello stupendo parco fosse sufficente a tenere lontano da fuori il rumore del dolore. Ma è già dimostrato che a fianco di simili concentrazioni di sofferenza si può vivere benissimo. Che fine farà l'Osservanza? Verrebbe da dare per scontato che finché ci sono dei residenti a loro sia concessa non una, ma l'ultima parola. Ma un domani? Come dice Florence Ribot qui a fianco un posto simile suscita fantasie in tutti. Una è che un posto simile venga adibito, in qualche modo, allo studio, alla meditazione, al raccoglimento. Nel ricordo di tutte quelle donne e uomini che fra quelle mura sono stati relegati e legati per la vita. Speriamo che comunque le autorità non ne facciano piazza pulita. mio. Adesso hanno finalmente suddiviso le branche della malattia: un alcolista non viene più qui. Nel mio reparto ci sono ancora due etilisti, ma sono qui da una vita. Ripeto: tutto quello che si doveva 11asco11derefiniva qui ... *** Era una vita chiusa dentro i reparti. lo stavo otto ore senza uscire da 1111satanza. Quando si era "di sala" si stava sempre chiuse con loro. Però al lo/li già allora in molti andavano in lavanderia, in guardaroba, nei vari atelier di lavoro, quelli del ricamo, dei vimini, dei tappeti. Ed erano persone favolose; persone che come potevano lavorare q11ipotevano benissimo lavorare anche a casa loro. Avevamo anche 1111 orto tenllto benissimo ... C'erano persone che non avevano mai visto Imola, non avevano mai sorpassato quel cancello, non sapevano assolutamente cosa ci fosse al di là. Se si camminava in quel prato stupendo non si incontrava una sola persona che non fosse accompagnata. Forse qualche uomo, a volte, perché gli uomini hanno sempre goduto di un certo privilegio, in quanto addetti a fare gli stradini, i giardinieri ... Ma le donne neanche a cercarle. E di notte si passava a chiudere tutte le fi. nestre a chiave, sebbene ci fossero le inferriate ... Anche questa era la regola. E noi dovevamo rispettarle, quelle regole: se un'ispettrice trovava una porta non chiusa a chiave ci faceva rapporto. E di notte ci si chiudeva dentro le sale con le pazienti ... Con tutta la puzza, con ciò che quella situazione comportava ... Sembra impossibile oggi, ma sono cose che succedevano, trenta anni fa. Ed era molto faticoso, anche per noi. Molte di loro si facevano i bisogni addosso ... Nonostante avessero il vaso spesso bagnavano il letto, e dovevamo anche starci attente, perché di biancheria per i cambi ce n'era molto poca ... E quando nel pomeriggio veniva la capo reparto, guai se una di loro era bagnata. E allora era un continuo traffico: lega e slega, lega e slega; e casomai quando erano slegate ci prendevamo anche le botte ... Perché una volta non c'erano molte medicine, e appena sciolte ... Quelle poverette, dopo tutto quel tempo legate si facevano anche cattive ... Erano allucinate ... Rimanevano ferme, catatoniche, in uno stesso atteggiamento ... Coltivavano la loro allucinazione ... D'altra parte 1101c1'era altro che potesse distrarre la loro attenzione. Erano chiuse nei loro pensieri, con le loro idee. E dovevano starci lì, a crearsi un foro mondo ... Cosafaceva110?Nella sala c'era un gran rumore: urlavano, o si mettevano a cantare. Qualc11na piangeva ... La domenica portavamo le pazienti al cinema. Oppure a ballare con un'orchestrina venuta apposta. Molti ballavano. Quelli che si conoscevano si davano appuntamento per la domenica successiva, e così via. Però erano sempre controllati. Non si potevano appartare. C'era anche un'infermiera di guardia ai bagni. Poi, alla fine, ognuna di noi si prendeva i suoi, e uno, due, tre, quattro ... Bisognava contarli uno alla volta ... Quante volte abbiamo contato! Pensate che solo due anni fa ero in gita a Roma eper 1111 rijlesso condizionato ero sempre dietro a contarli, a contarli! A volte poi li portavamo al cinema. la domenica mattina invece si andava in chiesa: ma solo chi ci voleva andare. Sempre contati e accompagnati ... Gli uomini da una parte e le donne dall'altra ... Anche tra il personale vigeva questa divisione. Mi ricordo che in un reparto ce n'erano addirittura 130: i letti si toccavano l'uno con l'altro. Come si poteva lavorare in queste condizioni? Era solo un susseguirsi di ordini: in fila di qua, in fila di là, in fila a lavarsi, ecc. *** Le dovevamo accudire, con un ordine che doveva essere rigoroso, fino alla "pieghetta" nel letto ... lo ho lavorato nel reparto "psico-pedagogico" dell'ospedale, in cui erano ricoverati i bambini. lo ne avevo 80, e passavo tutte le notti a fare le pieghe ai loro letti. E dovevo farle bene, perché quando passava la caporeparto e notava che la piega non era della misura giusta, arrivava anche a rimproverarmi ... I bambini non erano legati, ma erano come insaccati nel letto. Dovevo stare sempre attellta, anche solo che un braccio o una gamba 1101u1scissero mai dal lenzuolo ... Dovevo rincorrere continuamente letto per letto. C'era un ordine incredibile, da questo p1111tdoi vista ... erano talmente pignoli nelle pulizie che pretendevano delle cose inaudite. Un bambino che non può stare per terra è 1111 ba,nbino che 1101v1ive; ma era proibito. Immaginiamoci un bambino che passa tutta la domenica chiuso dentro senza mettersi almeno una volta in terra ... Ma ogni volta che veniva 1111 'ispettrice e trovava un solo bambino seduto in terra erano subito delle storie ... Così, per tenerli impegnati, per tenerli buoni sulle panchine, già allora io facevo delle grandi piadine ... Erano 80 bambini: 20 femmine e il resto maschi. Venivano dal brefotrofio cli Bologna. Alcuni pur non presentando alcun disturbo erano stati messi lì. Però, le madri che mettevano i figli nei manicomi ... Avevamo la scuola interna, oppure li portavamo a quella fuori ... In seguito li portavamo in scuole esterne, sempre differenziali. Con la venuta del prof lo Perfido, negli anni 70, molte cose sono cambiate anche per i bambini. Sono stati fatti dei gruppi-famiglia. Ave-

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