Una città - anno II - n. 17 - novembre 1992

nella foto un prmo piano di Thomas Banyacyç LAGRANCASACANYON li GrandCanyon è proprio lì, oltre il bordo. Esito prima di affacciarmi: temo che l'impatto non sia all'altezza delle meravigliose fotografiechemiècapitatodi vedere. Non sopporterei la delusione. Eccolo. Non so dove guardare: i 180 gradi che mi si parano davanti sono un mare di sensazioni visive. Indescrivibile non è una parola retorica, semplicemente è l'unica che si attagli al luogo: il Grand Canyon non lo si descrive, lo si guarda. Le cifre non hanno molto significato, larghezza per lunghezza per altezza: penso solo alla varietà di posti che devono esistere tra i due bordi. Pinnacoli, guglie, altopiani, grotte, pendii, cenge, dirupi, macchie, cascate. Giù, in fondo, il fiume Colorado, apparentementenonpiù largodella via Emilia.Trecento piedi, suggerisce un cartello, prevenendo la domanda più spontanea che deve sorgere inchi sostainquestopunto. Novanta metri. Seduto sopra un masso, aspetto il tramonto e osservo i corvi, le ghiandaie dal ciuffo azzurro, gli scoiattoli, i cervi. L'aria si facristallina,icolori esplodono silenziosamente, la brezzamontanafafrusciarelecime dei pini e porta il profumo dei ginepri. Non sono deluso. Le foto avevano ragione. Nella calura tremolante del primo pomeriggio potrebbe passare la diligenza di "Ombre Rosse" guidata da John Wayne e non mi stupirei. La Monument Valley sembra lo scenario di un film western montato temporaneamente e temporaneamente abbandonato; è lì da 160 milioni di anni. Tuttavia, ora che l'unico suono è quello del vento che s'arrotola tra guglie e torrioni solitari, la valle non pare luogo d'uomini. E' un altopiano di roccia e sabbia rossi, immutato e immutabile, indifferente agli eventi del mondo esterno. Eric il Rosso approdava in Groenlandia , i Fenici abbattevano cedri per farne navi: qui il film della valle era fermo sullo stesso fotogramma, lo stesso che sto osservando ora. Spero che non cambi mai nulla, quaggiù. *** A Mesa Verde faccio conoscenza ~t .. rroteca Centinaia di rovine indiane a mez- senta lo squallore, l'assenza di un zacostadi due formidabilicanyons punto d'arrivo o di partenza negli che si aprono su una montagna a smisurati viali alberati, la mantavolato nell'angolo sud-occiden- canza di una piazza che eviti ad tale del Colorado. Dalla sommità ogni angolo della città di assomisentieri intagliati nella roccia e gliare alla periferia di se stessa. precarie scalette di legno permet- Santa Fe no. Possiede una gaiezza tono la visitadelle costruzioni, giù quasi mediterranea nei mercati in basso nella gola: all'ombra di multicolori, nei vicoli adombrati, enormi cavità nelle pareti di nella vivacità della gente. arenaria le orbite nere di finestre Un italiano potrebbe viverci. squadrate mi salutano. Le apertu- *** re e le linee nette degli spigoli E' come il solco lasciato dalla sono gli unici elementi che con- ruota di un carro dopo un acquazsentano di distinguere le rovine zone estivo, ma è profondo tredalle rocce circostanti; viste da cento metri. Pareti di arenaria vicino, rivelano la loro natura di tranciate con il coltello, lisce e strutture semplici di pietra taglia- verticali, un fondo pianeggiante e ta, cementata con fango e paglia e ampio, dove le forme irregolari rinforzata con tronchi e rami. In delle sabbie del fiume vengono alcuni punti si notano le impronte chiamate all'ordine dai confini delle dita di chi ha inserito netti degli orti e dei campi coltivapietruzze e rametti nel "cemento" ti. Il Canyon de Chelly è in piena per renderlopiùconsistente. I pro- riserva Navajo, nome bizzarro per prietari delle dita hanno lasciato un luogo bizzarro. De Chelly è la ben altre testimonianze: cerami- deformazione spagnola prima ed che e armi, sandali e indumenti, inglese poi di un termine navajo, soffitti anneriti dai fuochi e "Tsegi",cheadispettodel presunto petroglifici dai significati miste- amore per i nomi fantasiosi ecoriosi e, in taluni casi, le mummie loriti attribuito agli indiani, signidi sfortunati abitanti dei pueblos, fica "canyon nella roccia". Qui le conservate dal clima secco del bellezze naturali e il dramma della deserto. storia si fondono: il canyon fu il Le rovine del Sud-Ovest non sono teatrodegli episodi più sanguinosi grandiose come piramidi egizie, che ebberocome vittime i navajos. né sfarzose come palazzi romani, Sostare sul terrazzo naturale di né antiche come mura sumere. rocciadal quale, nel 1805,i soldati Tuttavia muoversi tra questi mu- spagnoli sparavano sui guerrieri retticalcinati,entrare nellafrescura asserragliati più in basso ti impolverosa delle stanze dà la me- merge nel prevedibile epilogo di desima sensazione che si prova quel momento: due mondi divisi visitando rovine ben più gloriose dalla consapevolezza che ciò che del vecchio mondo: si assaporano rappresentava l'inizio per l'uno, lo sgretolio del tempo e era la fine certa per l'altro. l'immutabilità delle cose. Il canyon fu l'ultimo baluardo di *** difesa dei Navajos. Campi e viiSanta Fe, nel New Mexico, si di- Iaggi vennero incendiati, le greggi stacca dallo stampo tipico delle distrutte da un personaggio legcittà americane. E' molto più gendario passato alla storia per vecchia -risale al 17° secolo- ha ben altri "meriti": l(jt Carson. Era una pianta a raggiera e costruzioni il 1864. in stile spagnoleggiante. Seduto Ora si può accedere alla gola solo su una panchina nella Plaza cen- se autorizzati e accompagnati da trale osservo venditori Hopi di una guida navajo. Dall'alto del manufatti in argento e turchese, bordo osservo con il binocolo il artisti che all'ombra degli alberi fondo di un canyon di arenaria e ritraggono i turisti e gruppi di ado- un frammento di passato: un palescenti nei quali rintraccio mi- store navajo sta conducendo un scellanee di fisionomie latine e gregge di pecore al fiume orlato tratti ariani. Altre città americane d'alberi. Nel campo visivo delle di provincia mi hanno lasciato lenti anche una capanna di tron- GTrio linsà.càh è'o staccionata ed alcune rovine incastonateinunanfrattodella parete. Non so che cosa darei per poter parlare con un abitante del canyon. Checosa pensa ogni volta che il suo sguardo si posa sui muri diroccati e le finestre squadrate? Credo che i nativi americani vivano in maniera molto naturale le testimonianze del loro passato. ChiunqueabbiaviaggiatoinEgitto trova molo difficile associare il tassista che agita gridando il pugno dal finestrino o il mercante cheti tiraper il lembodellacamicia al popolo che ha costruito le piramidi: il rapporto di questi paesi con le proprie antiche rovine pare quasi esclusivamente legato ad interessi di tipoeconomico e turistico. Qui è tutto più semplice. Vivono negli stessi luoghi, compiono gli stessi riti quotidiani, considerano sacri molti luoghi "degli avi"; e sebbene gran parte degli aspetti sociali, dei costumi e delle usanzedegliAnasazi,"gli antichi", sia stata macinata nel calderone razziale americano, sopravvivono tuttavia nel Sud-Ovest sacche ambientali e sociali nelle quali molti aspetti della vita quotidiana rimangono invariati da migliaiadi anni. Anziani indios che parlano solo il dialetto: sorprendente in un paesecome gliStatiUnitiche tende a miscelare le varie etnie uniformandole in uno standard pittoresco e fantasioso, ma pur sempre standard. Lukachukai, Kaibito, Wupatki, Tuzigoot. In questa regione del paese più industrializzato della terra, i toponimi indiani che si incontrano ad ogni angolo conservano il fascino di un'epoca di certo mutata, ma non svanita del tutto. Molte riserve indiane sono tornate a sorgere nei luoghi che i veri nativi americani chiamano casa. Mi restano forti dubbi: c'è da parte del governo federale il mero tentativo di rendere giustizia ai torti passati o un sincero riconoscimento di diritti umanitari? Si è relegati nelle riserve o vi si vive secondo il moderno desiderio di riti antichi? Le riserve sono sacche del terzo mondo inun paese ricco o concentrati di fiera consapevolezza etnica? Vorrei aver parlato con quel pastore navajo. Davide Dassa11i CANZONI CHE RITORNANO intervista a Mary Hunter, insegnante malcalt IMakah sono una tribùdella penisola Olimpica, all'estremo nord ovest degli Stati Uniti, nello stato di Washington. In seguito alla politica di autogoverno dell'amministrazione federale, iniziata negli anni '70, la tribù ha una propria Costituzione, un consiglio tribale ed una corte giudiziaria eletti dalla tribù, una polizia composta da Makah. I nativi sono comunque cittadini statunitensi e, inquanto tali, pagano le tasse al governo americano: vi sono, inoltre, legami fra istituzioni statali e tribù per quanto riguarda l'erogazione dei servizi sanitari o per la scuola di villaggio. Mary Hunter, che insegna nella scuola della tribù, discende da una delle più rispettate famiglie ("high people'') Makah. Sua madre discendeva da un '·capo" di una tribù canadese il cui nome è stato trasmesso fino a Mary che, probabilmente. lo trasmetterà a suo figlio. Infaui, l'ereditabilità dei nomi nobili si ha solo se e quando chi lo deve ricevere abbia dimostrato le qualità di saggezza e di responsabilità necessarie per esserne degno. Il nostro nome era Qwidiccaatx, che significa "la gente del promontorio", ma poi è prevalso il nome con cui ci chiamavano le altre tribù, cioè Makah, anche perché è più facile. Eravamo un popolo di cacciatori di foche e di balene; i cacciatori di balene, che passavano molti giorni inmare, appartenevano agli alti ranghi e per diventarlo occorreva un lungo addestramento; chi arpionava la balena ne riceveva la parte migliore. Le donne avevano il compito di preparare i cibi ed i cesti di corteccia di cedro per conservarli. La balena era per noi quello che il bufalo era per gli indiani delle pianure: serviva un po' per tutto, per l'olio, per costruire, con le ossa, utensili per la pesca. Quando, negli anni '70, la pesca è diminuita a causa dello sterminio fatto dai bianchi, mio zio, per salvaguardare i nostri diritti, ha fatto causa, insieme ad altre tribù della penisola, allo stato di Washington. Il giudice stabilì che, in base al trattato stipulato alla fine dell'800, agli indiani spetta il 50% della pesca. Noi abbiamo preso dal mare solo quello che ci serviva e sapevamo come sfruttare il pesce in modo da pescarne il meno possibile; i bianchi invece hanno pescato senza nessun criterio. La nostra era anche una tribù di guerrieri, abbiamo combattuto molto contro i KJallam. Ci sono due canti di vittoria che cantiamo ancora. Uno dice che la nostra tribù non ha eguali, l'altro dice "tu sei il mionemico, mi hai trascinato in battaglia; ora che sei battuto perché piangi?". La squadra di football della nostra scuola li canta sempre ai campionati. Sarebbe impossibile dire a quando risalgono le nostre usanze, perché ciò che veniva trasmesso da una generazione all'altra non era scritto. Sono cose che potrebbero aver avuto inizio 200 come 2.000 anni fa; di esse mi ha parlato una mia prozia, così come mi ha parlato delle iniziazioni. Quando una ragazza cominciava ad avere le mestruazioni veniva portata in un luogo solitario, in una capanna di corteccia di cedro, e ogni giorno scendeva al ruscello per lavarsi. Ovviamentec'eragenteche vegliava su di lei. L'allontanamentodallealtreragazzeedalla famiglia era una risposta alla necessità di tenere lontano dagli altri il mistero della femminilità; perché per gli indiani i segni della fertilità femminile rivelavano un potere magico, misterioso. Questo tipo di iniziazioni, inoltre, contraddistingueva gli appartenenti agli alti ranghi della tribù e servivano perdiventaredegli uomini e delle donne virtuosi. Ciò che distingueva un appartenente agli alti ranghi era il suo nome e la sua condotta nel villaggio: non mentiva, non imbrogliava e aiutava gli altri. Della vostra cultura ciò che più avete conservato sono i canti e le danze, come nascevano? Il canto nasceva dal sogno o dalla visione di una persona che lo faceva conoscere alla sua famiglia, se questa dava il suo permesso lo poteva usare tutta la tribù. I più dotati creavano le danze attraverso visioni che erano raggiunte con la meditazione e la preghiera, ma queste non hanno niente a che vedere con l'usanza delle tribù delle pianure di sottoporsi a sofferenze fisiche. Mi è capitato di veder succedere che, se una canzone veniva perduta insieme ad un membro della tribù che moriva, dopo tre o quattro generazioni la stessa persona, attraverso un sogno, insegnava di nuovo il canto alla sua famiglia; così il canto non andava perduto. Cosa è rimasto della vostra religione e quanto le vostre antiche credenze si conciliano o si scontrano col cristianesimo, la cui diffusione è ormai generalizzata? Noi credevamo in un Essere Supremo e lo pregavamo per avere forza, aiuto spirituale e guida. Si può dire che questo sia valido ancora oggi; io tuttora mi rivolgo ad esso. Per i Makah i valori fondamentali erano, innanzitutto, il rispetto di se stessi e quindi il rispetto degli altri, poi l'essere onesto, l'amare e prendersi cura degli altri. Come si vede sono molto simili ai valori del cristianesimo, per cui è difficile dire dove arriva la credenza antica e dove inizia la credenza cristiana. Forse eravamo preparati al cristianesimo. Ogni tribù indiana ha una leggenda che parla del diluvio universale, così quando i primi cristiani arrivarono e ci parlarono di Noé ci parve la spiegazione del mistero. C'è anche un altro elemento che ci unisce. Un pastore protestante indiano mi ha detto che nella Bibbia si parla delle forze soprannaturali e la maggior parte della gente sa che ci sono forze come fantasmi, forze negative e magiche. Tutti gli indiani lo sanno e lo sa anche molta gente di qualsiasi altra razza. Gli spiriti possono entrare in oggetti di questo mondo: mia zia aveva paura di certe maschere o tamburi che venivano dal Canada. Io avevo in casa una maschera che sprigionava influssi negativi; una volta dei bambini che giocavano sulla collina videro le luci in casa e sentirono rumore di passi, mentre in casa non c'era nessuno. Feci vedere la maschera a mia sorella, che ha una sensibilità per queste cose: e lei disse che vedeva un'aura strana intorno alla maschera. II pastore mi disse che, se questi oggetti vengono bruciati, esplodono per la potenza che contengono, per cui prese la maschera e poi, pregando, sparse dell'olio benedetto per tutta la mia casa. C'è molta gente, come mia sorella, che percepisce queste cose, la presenza di spiriti. Altri sentono quando qualcuno sta per morire: mia figlia inizia a non dormire due o tre giorni prima, una mia vicina di casa il giorno prima mi dice "Domani ce ne sarà uno". La tribù, prima di essere messa nella riserva, come era organizzata? Non c'era un solo capo, ma tanti e non venivano chiamati "capi", ma "i migliori", "i più elevati", erano "high people". Il loro non era un potere sul gruppo, al contrario erano servitori della comunità. Ne erano i portavoce all'esterno e cercavano di soddisfare i suoi bisogni; ad esempio, se un bambino rimaneva orfano si occupavano loro di lui. Facevano anche da giudici nelle controversie. Se, per esempio, veniva scoperto un adulterio l'"high people" si riuniva e discuteva: se i due venivano dichiarati colpevoli l'uomo doveva portare per molto tempo un bastoncino appuntito al fianco e alla donna venivano tagliati i capelli a zero. Ormai i membri dell "'high people" hanno solo una autorità morale e spesso usano la loro posizione come fonte di prestigio. Io cerco di comportarmi come faceva la mia prozia, cerco di far parlare gli atti e di non dire mai in pubblico che faccio parte dell"'high people". Compro le scarpe ai bambini che ne hanno bisogno, accolgo i visitatori come voi, quando qualcuno muore vado dalla sua famiglia e chiedo se c'è qualcosa che posso fare. La lingua è un elemento fondamentale della cultura di un popolo. Quanti di voi conoscono ancora la vostra lingua? Non molti, 35-40 persone. Il bello è che molte di queste sono persone sui trent'anni. Diversi anni fa il mio ragazzo ha fatto una cosa molto importante: insieme ad altri ha registrato diversi anziani che, in lingua Makah, davano insegnamenti alle loro famiglie; sono nastri molto preziosi per noi. Il Makah non è una lingua morta perché si aggiungono nuove parole per trasporre dei concetti pensati in inglese. Le nostre parole sono molto pregnanti, difficili da rendere in inglese perché racchiudono concetti più sfaccettati, più intensi. Ora abbiamo anche delle testimonianze scritte della nostra lingua; anni fa ho iniziato un progetto che potesse servire anche per la scuola, per mettere per iscritto la nostra lingua. Ho impiegato due anni per trovare le persone disponibili per questo faticoso lavoro. Abbiamo collaborato con diversi linguisti, trascrivendo i discorsi degli anziani, fra cui mia zia. Tutti questi documenti sono ora nel nostro museo. L'impressione che si ha visitando la vostra riserva è che abbiate assorbito diversi aspetti del modo di vita e dellamentalità americana, come conciliate tutto questo con la vostra cultura? Fino a pochi anni fa il governo americano ha tentato in diversi modi di uniformare gli indiani al resto del paese. C'era il programma di assimilazione: gli indiani dovevano lasciare le riserve, andare a scuola e vivere nelle città perdiventarecome gli altri americani. Ci è stato impedito di parlare la nostra lingua perché chi non parlava l'inglese era inferiore agli altri; mia zia si prese delle bacchettate sulle mani per aver parlato la nostra lingua in classe. Ci è stato impedito di fare le nostre danze perché qualunque cosa potesse essere sospettata di non essere cristiana veniva rifiutata. Questa politica è andata avanti fino agli anni '60, poi si è passati alla politica della auto determinazione, con cui ogni riserva può decidere come gestirsi. • : A don Ous1e Bmzi:: Massimo Tesei. A Alex Langer: Massimo Tesci. A Marco Tarclri: Paolo Bertozzi e Franco Melandri. A Tullia l.evi: Massimo Tesci. A Fra11cesca Faro/Ji e Adria11a Pifferi:Rosanna Ambrogetti. A Flore11ceRibot: Gianni Saporetti. A Carlo Flamigni: Ilaria Baldini e Gianni Saporetti. A A111011Aiottisani: Carlo Giunchi. A Giova111D1i Samo: Fausto Fabbri. A TlromasBa11yacya: Ilaria Baldini e Franco Melandri. AMaryHu111er: Fabio Strada. A Gia11/ucaMa11zi: Rocco Ronchi. A A11gelaNigri: Lisa Massctti. Foto di Fausto Fabbri. Foto di pag.2: di Cristiano Frasca. Foto di pag. 13: di Ilaria Baldini. UNA CITTA' 13

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