Una città - anno II - n. 17 - novembre 1992

SIPARIOA SCACCHI la correttezza di questo comportamento, per quanto impopolare, per quanto poco comprensibile in un paese che statisticamente è a maggioranza per la pena di morte. un'altra cosa che ha toccato milioni di persone (televisione, giornali, ecc.). Intervista a Antonio AHisani, direHore artistico del Festival di Santarcangelo, sul IJoicoHaggio sulJito da un seminario sul teatro in carcere, in cui doveva essere presentato il video dello speHacolo allestito da Mario ruti, "terrorista nero" all'ergastolo Questa difficoltà fra l'altro rimanda, come dicevi ali' inizio, ai compiti del teatro e dell'arte oggi. Dobbiamo opporci al tentativo di ridurre l'arte e il teatro a fatti puramente consolatori, di divagazione, di intrattenimento, di marginalità, di decorazione della vita, di lenitivo, di obliterazione della sofferenza e del male del mondo. E dobbiamo invece insistere perché l'arte, e in particolaQuando siamo tornati al Festival, all'evento culturale, non c'erano milioni di persone, non c'erano centinaia di migliaia di persone, non c'erano migliaia di persone, eravamo 50 o 60. Prima dell'ultima edizione del Festival di Santarcangelo, ha fatto scandalo la vicenda di un seminario sull'esperienza del teatro in carcere, che si sarebbe occupato anche di uno spettacolo realizzato nella sezione di massima sicurezza del carcere di Livorno, alla quale aveva preso parte Mario Tuti. Vuoi raccontarci come è andata?. Nel carcere di Livorno è detenuto Mario Tuti, che lì è stato trasferito dopo una precedente permanenza a Voghera. Tuti aveva partecipato a un lavoro teatrale, in occasione del quale era nato il collettivo "teatro/ carcere", che, con l'aiuto e la partecipazione di operatori esterni, tra cui il Teatro del Magopovero di Asti e altri operatori carcerari, aveva avuto diverse esperienze teatrali, consistite nell' allestimento di spettacoli, a volte basati su testi dei detenuti, a volte prendendo spunto da testi "esterni" o da materiali di fiction, come nel caso del romanzo "Il maratoneta". Questi spettacoli venivano mostrati sia ai detenuti del carcere sia a invitati provenienti dall' esterno, e venivano realizzati dei video che poi hanno avuto regolare circolazione. Uno di questi video, quello appunto ispirato al "Maratoneta", è stato mostrato in diverse occasioni. "Il maratoneta" è il monologo di un carcerato invitato dal direttore apartecipare a una corsa e a vincerla, per l'orgoglio del carcere, per dimostrare la sua funzione rieducativa e che, quando alla fine sta per vincere, si accorge di averlo fatto solo per ottenere alcuni benefici e quindi di essere caduto nella trappola del carcere. E rinuncia alla vittoria. Ecco, "li maratoneta" era interpretato a turno da diversi detenuti e tra questi vi era anche Mario Tuti, oltre naturalmente a altri di diversa provenienza, sia dal cosiddetto "terrorismo rosso e nero", sia dalla criminalità comune. L'anno scorso Tuti ci ha scritto dal carcere di Livorno dicendo che voleva continuare questa esperienza, ovviamene nelle mutate condizioni, e quindi con i nuovi compagni di questa sezione speciale, dei quali solamente uno, (un palestinese, che poi dopo qualche tempo è stato trasferito), era interessato al teatro, e si stava laureando al DAMS. In realtà Tuti scrisse, chiedendo aiuto, materiali, ecc. a varie compagnie e teatri italiani, ma nessuno gli rispose, perché Tuti è un nome che impressiona e, nell'immaginario degli italiani, è un simbolo del male, in un certo senso. Io invece gli ho riposto, a nome del Festival, e ho ritenuto di doverlo aiutare a realizzare il lavoro teatrale in carcere. L'obiettivo, dopo varie discussioni, sempre epistolari, si è focalizzato su un testo, "Assassino, speranza delle donne" di Oskar Kokoschka, ebreo, espressionista, un testo del 1908. Su di esso è stata operata una rielaborazione abbastanza libera .. Per ·quanto riguarda l'allestimento, Tuti e gli altri detenuti hanno richiesto la collaborazione di operatori esterni. Abbiamo individuato questi operatori nel gruppo che fa capo a Andrea Mancini, che sta a San Miniato, vicino a Livorno, soprattutto perché Andrea Mancini è un uomo di teatro che ha lavorato in situazioni particolari e difficili, anche se non carcerarie, come i manicomi, ecc ... Si è creato questo contatto operativo, sono stati ottenuti tutti i permessi del caso, anche se l'iter è molto complicato, e si è svolto questo lavoro che ha visto insieme nelle piccole sale di questo carcere, per diversi mesi, un paio di giorni la settimana, un gruppetto di detenuti, il cui numero è andato variando nel corso del tempo per mille traversie, trasferimenti, rinunce, forme di protesta più o meno sotterranea: (il mondo carcerario è estremamente stratificato e complesso). Andrea Mancini, che dirigeva il lavoro, un regista video, che avrebbe dovuto riprende l'esperienza, e un gruppo teatrale di Livorno, che si chiama Pravda, un gruppo di giovani che credo si possano definire cattolici di sinistra. Questo lavoro è diventato uno spettacolo, cioè un'opera compiuta, che vedeva in scena come attori Mario Tuti, Mimì Arpaia e Ahmad Sereya insieme a Letizia Matteucci, attrice professionista che ha avuto esperienze soprattutto con il Living Theatre e l'underground newyorkese di nuovo in Italia da pochi anni, e le ragazze e i ragazzi di questo gruppo Pravda. Il testo di Kokoschka, che è stato ampiamente rielaborato CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' NEL CUORE DELLA CITTA' Coop. Cento Fiori L\B. ART. flTOPREPARAZIONI ViaValDastlco. 4 - forlì Tel.0543/70'2661 - EstrattiidroalcolicIindiluizione 1:10 dapiantafrescaspontaneao coltivatasenzal'utilizzodiprodotti di sintesi. -Maceradtiigemme. -Opercoli di piantes~le e formulazioncionmateria primabiologicao selezionata. -Produzionsiuordinazione da Mario Tuti con interpolazioni da Cèline, Brasillach, Genèt, Dostoyevskj ed altri autori, verte sul rapporto fra uomo e donna, maschile e femminile, rapporto che si presenta in termini particolarmente drammatici per detenuti da tanti anni e con la prospettiva di restarci ancora per molto tempo, se non per tutta la vita. E' difficile capire cosa possa far gridare allo scandalo. Cosa è successo dopo? Quando il lavoro era ormai pronto e annunciato il suo iter, è scoppiato il "caso". In particolare lo spettacolo avrebbe dovuto essere rappresentato nel carcere per tutti i detenuti e alcuni invitati. Poi ne sarebbe stato ricavato un video che avremmo mostrato a Santarcangelo nell'ambito di un seminario che doveva trattare esperienze di teatro e carcere in generale, in Italia, con altri operatori, altre testimonianze, come per esempio quella di San Vittore, da dove è venuto un gruppi di ex detenuti. Lo "scandalo" che è scoppiato ha indotto il Ministero di Grazia e Giustizia a sospendere le autorizzazioni. Lo spettacolo è stato rappresentato in carcere alla sola presenza della dozzina di detenuti della sezione speciale e di un numero ristrettissimo di invitati, tra cui appunto tre di noi del festival di Santarcangelo, Pio Baldelli e due o tre operatori carcerari, circondati da una settantina di carabinieri (devono essere nella proporzione di 6 o 7 per ogni detenuto per questi "pericolosi"). La ripresa video non è stata autorizzata. Tutto questo perché, in primis' da Santarcangelo e in un secondo tempo da varie situazioni e città italiane, è nata una protesta contro la presenza di Tuti, classificato come "terrorista nero" -per quanto terrorista non è dimostrato che sia, essendo condannato quale pluriomicida-. Tuti non ha abiurato, non è considerato pentito. Al tempo stesso veniva contestato che avesse un valore artistico, e non esclusivamente ideologico e propagandistico, -così ci dicevano i partigiani di Santarcangelo-, e veniva affermata una legittimità della censura. Cioè si diceva che era giusto che in carcere si facessero certi lavori, ma che il caso di Tuti giustificava un'eccezione liberticida. Al contrario, io ritengo che proprio nel suo estremismo, questo caso sia paradigmatico di un problema normalmente non risolto: il problema di questa società, con il suo carcere, di questa società con le persone che sono state sconfitte e che stanno pagando, che hanno commesso dei delitti gravissimi e stanno pagando duramente. Ebbene, noi non abbiamo un rapporto sereno, e nemmeno dialettico, non vogliamo avere un rapporto con questo passato, nel quale si cela, almeno per come la vedo io, una colpa di tutti. E' come se ci fosse stata una complicità fra queste persone e la società, una complicità che noi vogliamo rimuovere. Molti delitti sono l'effetto degenere dell'idealismo. Il vero problema sarebbe quello di una ricognizione sui processi storici e anche quindi una ridefinizione dei destini personali, valutando anche cosa, al di là della retorica pentimento/ non pentimento, il carcere abbia prodotto nelle persone; e quante di queste persone potrebbero oggi essere più utili alla società, piuttosto che stare chiuse a lottare contro l'abbruttimento del carcere. Cos'è successo poi? Il pronunciamento nelle forze politiche è avvenuto in modo non omogeneo, ma trasversale. Se invece di Tuti si fosse trattato di un ex terrorista "rosGRUPPO ~~©UJJ [rn CORRIERE ESPRESSO SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 Tel. 0543/31363 - FAX 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Box 32/C - GROS Tel. 0541/392167 - Fax 392734 NUOVA GESTIONE LibreriCa artoleriGaiocattoli ''IL CENACOLO'' FORLI' via Giorgina Saffi, n. 13 - tel. 34529 Libri. Narrativa, saggistica e varia. CO Scolastici, dizionari, enciclopedie, atlanti. Prenotazione testi universitari Libri per ragazzi. Libri games. Cartoleria scolastica e per uffici. Penne di ogni tipo. Articoli da regalo. Puzzle. Giochi di ruolo. Fotocopie. so", probabilmente sarebbero scattati più nettamente gli schieramenti: uno schieramento libertario e uno schieramento conservatore, repressivo. Trattandosi invece di Tuti, cioè di un rappresentante della cultura di destra, che da una parte viene ritenuta sconfitta e minoritaria, ma della quale I re iIteatro, ha senso solamente se con coraggio affonda le mani e le radici proprio nel male del mondo, che resta ancora come un interrogativo. Cioè dell'evento culturale e della riflessione effettiva non frega niente a nessuno. Questa è la cosa mortificante. In un certo senso sarebbe stata preferibile una dimostrazione di maggiore vivacità della società italiana: se ci fossero stati, che so, duecento naziskin e mille partigiani. Quello che è successo invece è che i partigiani hanno utilizzato questa cosa semplicemente per far parlare imedia di sé. Tutti hanno cavalcato questa cosa, ma per parlare di sé. Questa è la società dello spettacolo. dall'altra si paventa la rinascita, -perché la si associa a fenomeni come i "naziskin" e a una generale ripresa della destra in tutto il mondo occidentale-, la faccenda èdiventata una vera e propria peste, così come la intende Artaud, cioè ha scatenato gli istinti, non le opinioni della gente, delle cose ataviche, del profondo di ognuno. Perciò dico che il problema merita di essere ancora approfondito. Abbiamo incontrato delle avversioni profonde, degli insulti durissimi da parte di gente di tutti i partiti politici, ma anche la comprensione per Dunque fare uno spettacolo di Tuti non significa fare l'apologia di Tuti, significa confrontarsi con iIsenso che ha una persona in quanto soggetto storico, e in quanto essere umano, (perché dopo gli eventi storici, ci sono 18anni di carcere; quest'uomo è entrato in prigione a trent'anni e lì ha vissuto la maggior parte della sua vita da adulto). .Il Festival cosa ha fatto poi? Noi abbiamo fatto poco o niente, perché ovviamente udienza sui media l'avevamo solo accettando l'idea dello scandalo. Abbiamo potuto fare poco o niente e al festival comunque non è successo nulla. Di questo c'è da essere contenti e rammaricati al tempo stesso: contenti, perché si dimostra che l'equazione Tuti di destra = propaganda di destra= i fascisti che arrivano a Santarcangelo, era una mera stupidaggine; rammarico perché noi avevamo pensato un evento culturale con un senso e nello scandalo questo evento è diventato Ci sono in programma iniziative che ripropongano il problema? Due cose, per ciò che ci riguarda. Prima di tutto vogliamo andare fino in fondo a questa storia. Stiamo chiedendo, anche tramite interpellanze parlamentari che sono state formulate da alcuni esponenti della Lista Pannella e da alcuni firmatari del PDS, fra cui la senatrice Taddei, che venga riconosciuto il diritto stabilito dalla legge, che questi detenuti realizzino questo spettacolo, che questo video possa essere visto e discusso come prodotto artistico e culturale dalle evidenti implicazioni politiche e ideologiche, come ogni fatto teatrale e artistico. Quindi andiamo avanti, senza mollare al primo diniego. Per quanto riguarda il Festival poi, che non è un laboratorio, cioè luogo dove queste esperienze si svolgono, ma luogo dove queste vengono mostrate al confronto, l'anno prossimo si pensava di trattare il rapporto teatro/follia, il rapporto con utenti delle strutture sanitarie che nell'attività teatrale e espressiva conoscono uno dei momenti di incontro con la società, cioè una specie di interfaccia fra la loro sofferenza e la società. • .------------------- intervento IL FAMILIARE LESSICO DI NATALIAGINZ8URG Ci capita, da adolescenti, di imbatterci nel "libro del cuore": lo leggiamo, lo rileggiamo, lo teniamo sotto il cuscino, poco distante dai nostri sogni notturni. A volte, ci sentiamo depressi e infelici, stimiamo misera ed opaca la nostra vita e volentieri la cambieremmo con quella dei personaggi dei libri che stiamo leggendo, sembrandoci le loro vicende più interessanti ed avvincenti di quelle che a noi è dato di vivere. Da ragazzina, amavo i libri di storie e legami familiari; coltivavo un elenco di famiglie letterarie e, con l'immaginazione, durante la lettura di un romanzo o di un racconto, peregrinavo da una casa "di carta'· ali' altra. Conobbi la vivace famiglia March molto unita, malgrado 1· assenza del padre, lontano per dovere di patria. Attorno alla madre, attiva, energica e dolce, ruota di un universo domestico ordinato, rispettoso delle regole ma per nulla ottuso, conformista. e capace, per questo, di esprimere un personaggio inedito nel panorama letterario del suo tempo: la mai dimenticata Jo. Immaginai, poi. di partecipare alle vicende narrate, con ironia e nessun moralismo, dai libri di Jane Austen. La vita di quelle famiglie è fatta di gite, balli, giochi, merende e inaspettati incontri. Un piccolo mondo pulito, governato da ferree abitudini, retto da principi severi che permeano la vita di ognuno. Questo solido edificio domestico, delimitato dalle norme della buona educazione e delle buone maniere, subisce, però, salutari scossoni ad opera della protagonista della storia: una signorina destinata al matrimonio che, per passione, imprudenza, ingenuità, infrange le regole mortificanti del buon senso comune. E così, in compagnia di Emma, Fanny, Shirley, Jane Eyre, Lucy Snowe. Agnes Grey, Darcy e di tante altre, arrivò il 1963. Un libro dal titolo, per me molto promettente. aveva vinto un premio importante. Per totale ignoranza, credevo fosse un moderno "Piccole donne", ··L'Abbazia di Northanger"' o "Casa Howard" e lo comprai. Da allora, Natalia Ginzburg e il suo "Lessico famigliare" mi sono infinitamente cari. li libro mi affascinò subito, perché parla di una famiglia vera e racconta fatti e vicende che, allora, ignoravo. La vita a Torino dagli anni venti agli anni cinquanta, iI sorgere della dittatura, la sua ottusità volgare, le persecuzioni. gli arresti, i crimini del fascismo. ma anche l'opposizione attiva all'ignoranza, al disprezzo, alla barbarie di quel regime. Tutto questo mi colpì fortemente: era storia recente ed io non ne sapevo nulla. Forse amo tanto "Lessico famigliare" perché. per me. ha assunto iIsignificato di informazione. di comunicazione, di relazione. di parola contro il silenzio che ha accompagnato la mia adolescenza. Ricordando la madre, I' Autrice seri ve: "Mia madre invece si rallegrava raccontando storie, perché amava il piacere di raccontare. Cominciava a raccontare a tavola rivolgendosi ad uno di noi( ...). Avevo uno zio -cominciavache lo chiamavano Barbison (...). Quante volte l'ho sentita questa storia -tuonava mio padrecogliendone al passaggio qualche parola. Mia madre sottovoce raccontava". Ricordo la sensazione dolcissima nel leggere di questo raccont._are: del nonno Parente, della figlia Rosina, delle mele carpandue, dell'uovo della nonna Dolcetta, della Beate. della sarta Fantecchi, della "Stinchi Leggeri··. Quando aprivo quel libro sparivano solitudine e silenzio, per questo lo considero il mio romanzo di formazione e la mia educazione sentimentale. Nel corso di questi trent'anni, ho letto quello che l'Autrice ha pubblicato (romanzi, racconti brevi. commedie, saggi, traduzioni, articoli giornalistici) ricevendone particolare gioia e la sensazione certa che Natalia Ginzburg sia sempre stata, fino alla morte, una persona di cui fidarsi completamente: come donna, come scrittrice, come intellettuale, come parlamentare. Nella sua opera tutto è essenziale: parole, situazioni, gesti, sentimenti. Natalia Ginzburg ci parla in maniera così chiara come se leggesse ad alta voce tutti i pensieri che noi stessi non sappiamo di aver mai pensato. Anche nei saggi, negli articoli per i giornali, nei rari, ma preziosi interventi in Parlamento, colpiscono l'amore per il vero, l'assoluta mancanza di retorica e di concessioni alle "mode del tempo", tanto care, invece, a molti scrittori ed intellettuali sempre pronti a suonare il piffero (che si tratti della rivoluzione. della conservazione o della reazione, poco importa). Gli articoli che Natalia Ginzburg scrisse negli anni settanta sono, ancora oggi, un esempio di libertà di pensiero vera in quel periodo di dilagante anticonformismo "conformista di sinistra··. In "Vita collettiva'' (febbraio ·70) scrive, con grande lungimiranza. del valore del giudizio morale individuale, della responsabilità individuale. del comportamento morale individuale. E, in modo magistrale, ci parla poi del la tragedia ma. se accettata, dell'unica via di salvezza per l'uomo e per la donna d'oggi: laconsapevolezza. "L ·uomo di ieri non (lo) sapeva; poteva vivere ignorando le sventure della sua specie. L'uomo di oggi non ignora più nulla di quanto accade ai suoi simili sotto il sole; così non può più sopportare la convivenza con se stesso. odia la propria immagine, e sente sulle sue membra pesare una consapevolezza universale e intollerabile''. Rita Agnello

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