Una città - anno II - n. 16 - ottobre 1992

1n DAR intervista con Adriano Sofri, a poclti giorni dalla sentenza della Cassazione È stata fissata per il 21 ottobre l'udienza con cui la Corte di Cassazione si pronuncerà sulle precedenti condanne a 22 anni di carcere a carico di Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefan i e Adriano Sofri, indicati da Leonardo Marino, anch'egli ex esponente di Lotta Continua, come esecutore e mandanti del l'omicido del commissario Calabresi, avvenuto a Milano nel 1972. In seguito allo sciopero della fame attuato dallo stesso Sofri nel mese di luglio, il processo non sarà più istruito dalla sezione che si occupa dei delitti di mafia e terrorismo, ma dalle sezioni unite della Corte. A margine dell'affollato dibattito tenuto recentemente a Forlì, abbiamo chiesto ad Adriano Sofri di ritornare sulla sua vicenda. E non solo. La domanda più ricorrente, più immediata, forse anche scorretta, è quella che chiede "perché Marino avrebbe dovuto inventarsi tutta questa storia?" ... Questa domanda infatti può non essere corretta perché, se da una parte è ovvia, dall'altra è una domanda sleale e spesso strumentale, perché il suo impiego porta a spostare l'attenzione dal terreno della dimostrazione se Marino ha detto la verità o no, delle prove delle sue verità o delle sue eventuali falsità. a un terreno insidiosamente psicologico del "perché dovrebbe mentire". Per esempio Craxi ha appena riusato questa domanda nelle dichiarazioni che ha fatto a Berlino sulle presunte rivelazioni su Piazza Fontana. Ha detto: "perché il tassista Rolandi avrebbe dovuto mentire riconoscendo Valpreda?". lo ho provato a rispondere per la parte cui a domande di questo tipo si può rispondere, non con una perquisizione dell'anima di Marino, che mi pare non spettare né a me né a nessun altro, ma seguendo l'eventualità di ricostruire quando, come, dove e perché Marino ha detto le cose che sono poi approdate ali 'accusa nei miei confronti. E allora la mia risposta è che Marino prima di arrivare a formulare questa accusa ha attraversato varie fasi, ha saggiato una strada che consisteva nel cercare denaro, nel cercare aiuti e appoggi in una sua situazione di disgrazia estrema, nell'andare a promettere rivelazioni, nell'alludere, nel millantare la possibilità di confessare segreti, nel coinvolgere persone dalle quali cercava un appoggio e un sostegno in questa sua possibilità dichiarata di essere a parte di cose, eccetera eccetera ... Marino e sua moglie, insomma. Questa cosa è arrivata fino a un punto in cui le persone coinvolte in questa domanda e offerta che Marino metteva sul mercato, hanno ritenuto, man mano che si alzava la promessa di grandi rivelazioni, di cambiare gioco, di mandare qualcuno a vedere cosa effettivamente Marino stava mettendo sulla piazza. Ecco allora il senatore Bertone, al quale io dò molta importanza alla luce del fatto che Marino ha chiesto soccorso anche a lui, che lui è stato il primo col quale avrebbe parlato dell'omicidio Calabresi, il primo al quale avrebbe fatto il mio nome. Che questo colloquio sia stato con grandissima cura tenuto segreto, sia da Marino che dal senatore Bertone, a mio parere è assolutamente inspiegabile. Per un anno e mezzo, di questo colloquio precedente nòn si è avuta notizia e ancora al dibattimento di I 0 grado Marino ha rifiutato di fare il nome della persona con cui avrebbe parlato. Questa persona è stata poi convocata come testimone solo quando io ne ho fatto il nome ai giornalisti, perché questo segreto, in realtà, era la favola del villaggio, nel "villaggio" dove Marino viveva. Io non mi spiego tutto questo, e mi pare parte di questo territorio oscuro che loro hanno teso a coprire e che poi è esplosivamente emerso, e cioè quello dei rapporti, dei colloqui, di tutto quanto ha preceduto l'ufficiale versione di un Marino che si pente e va a confessare. una storia incubata sin eia vent'anni fa La mia ipotesi, che riassumo brutalmente ma che ha articolazioni molto più mediate e ragionate, è che Berto ne (o uno analogo, non posso provare che sia stato Bertone), ha detto a Marino le cose che ha ritenuto di dire e poi ha chiamato i carabinieri e li ha mandati da Marino. Senza questa ipotesi non si spiega niente di tutte le cose inspiegabili di tutto questo itinerario, non taciuto, ma arrangiato, manipolato e falsificato. In particolare, che siano stati i carabinieri ad andare da Marino, e non viceversa, è ampiamente provato da quello che è emerso al processo e fuori. La mia ipotesi è che Marino, il quale nello stesso periodo diceva di fare rapine perché aveva bisogno di soldi, e però di essere travagliato dal pentimento da molto tempo, si sia mosso a metà tra i suoi affari privati su un terreno illegale e un tentativo di usarli per sistemare l'estrema disgrazia, non solo economica ma anche umana, in cui erano caduti lui e la sua famiglia. E allora ad un certo punto le cose che lui stava offrendo, o le cose su cui gli altri lo avevano colto in fallo, sono diventate troppo poco per la situazione in cui si era messo. Penso che questa storia dell'omicidio Calabresi, della versione sull'omicidio Calabresi, nella famiglia di Marino, in particolare nella sua B donna, fosse sra inc~ata fi Il dt_l, micidio Calabresi (tutte queste storie, il biondino, "lo vedi", "vedi come gli assomiglia", "è proprio lui", l'identikit, eccetera, eccetera), e naturalmente penso che il mio nome sia arrivato come una ciliegia finale su questa torta lentamente confezionata e alimentata. Ad un certo punto questa cosa è diventata il piatto forte della questione, quella che ha mosso i carabinieri, quella che poi ha esaltato e reso euforici i giudici milanesi. D1,1nque,alla domanda: ''perché Marino avrebbe dovuto inventare" io dò una risposta coincidente con questo travagliato e orrendo itinerario. Non avrebbe dovuto farlo, ma ha fatto qualcosa checoincidecon questo itinerario. In questa mia risposta non c'è un'ipotesi che rovescia un'altra ipotesi, c'è quello che è stato evidentemente ricostruito, compresi i dettagli minuti. Infine, c'è un'altra risposta possibile. Alla domanda: "perché uno dice delle cose false, cattive ...", la risposta migliore forse è che uno fa o dice delle cose false, delle cose cattive, delle cose sleali, perché è falso, cattivo, sleale. Ma è una risposta già contenuta nella domanda. Venendo al tuo digiuno: è indubbio che lo sciopero della fame sia un efficace strumento di lotta. Tu però non ti eri dato degli obbiettivi. La tua era solo una protesta ... Vorrei protestare di nuovo contro questa frase come ho fatto già durante il digiuno. L'espressione "solo una protesta" non mi trova d'accordo. Era una protesta, non "solo una protesta". Tutti dicono "è solo una testimonianza". No, una testimonianza è una testimonianza, potrebbe essere anche la cosa suprema. Voglio dire che non è che le cose diventino importanti solo quando sono mezzi per un fine superiore; la protesta può essere il fine più alto di tutti quando ogni altro fine appare troppo piccolo. Insomma, toglierei quel "solo". Sul digiuno vorrei dire una cosa: quando fui arrestato passai dei giorni molto tranquilli, essendo privato, come si può immaginare. di qualunque responsabilità. di qualunque possibilità di decidere qualcosa. Quando si è arrestati nel modo in cui ono stato arrestato io. portato in una caserma ignota a tutti, anche al mio avvocato. come in un sequestro in piena regola, senza ~apere per alcun· giorni niente di quello che avveniva CO all'esterno, venendo privato di tutto, dalle scarpe fino agli occhiali, alla matita, rimanendo nudo in una camera di sicurezza dei carabinieri -peraltro affezionatissimi-, in questa situazione tu sei, da una parte. spogliato alla lettera di qualsiasi libertà ma, dall'altra, anche di qualsiasi responsabilità. Dipendi così interamente dai tuoi sequestratori che non devi decidere niente di te, non hai alcun senso di responsabilità verso nessun altro, perché non potresti fare niente, se non mangiarti le mani perché vorresti parlare con tua madre per tranquillizzarla. In questa situazione di totale spensieratezza, l'unica cosa che ho fatto, come un rinesso immediato, non decidendola programmaticamente, è stato di digiunare. I primi tre o quattro giorni di camera di sicurezza non ho mangiato, avvisando bene i carabinieri che mi accudivano che non si trattava di una protesta, ma semplicemente che non avevo voglia di mangiare. E penso che nella vita ordinaria, che ha il pregio, nonostante la sua noia, di ripetersi, di darti sicurezza, di conservarti i tuoi riferimenti, i tuoi affetti, noi tutti, però, siamo assuefatti a una specie di torpore, di pesantezza, che per alcuni è maggiore che per altri, che aumenta col tempo che passa, alla quale abbiamo scarse ragioni per resistere fortemente. Allora quando capita qualcosa che ti ricostringe a vivere come l'indiano che mette l'orecchio sul binario per sentire se arrivano, che ti ricostringe a metterti in tensione, a stare attento agli assalti che da qualunque punto possono precipitare su di te, credo che la prima misura protettiva che uno possa prendere nei confronti di se stesso, del proprio corpo e del proprio spirito insieme, sia di digiunare. come un indiano con l'orecchio sul binario In questo caso, estremo -per me una specie di conclusione di questa parabola che cominciava con quei giorni e che avrebbe dovuto concludersi con questa Cassazione, quando è arrivato questo nuovo. inatteso e proditorio assalto-, il rinesso di digiunare è stato immediato, ben prima della decisione di fare lo sciopero della fame, dichiararlo. farne una pubblica protesta. È stato come ricostringermi, come riautorizzarc il mio corpo. il mio spirito a stare ben sveglio contro questo attacco. E' molto brutto che ci voglia uno sciopero della fame per mettere in risalto quello che dovrebbe risaltare di per sé ... o· altra parte questo vale per una quanti ti, di buone cause che restano ignorate. anche molto più buone della mia. Nella vita che noi consideriamo normale c'è una deliberata, abitudinaria forma di cecità rispetto a cose che non si può accettare di tollerare. Queste cose sono talmente onnipresenti che farebbero, cli chiunque volesse adeguatamente reagire a loro, o un pazzo o un suicida o le due cose insieme. Ogni tanto ci sono delle persone che reagiscono adeguatamente: una signora che va davanti al Comune di Treviso, si getta della benzina addosso e si incendia viva, lasciando un bigliettino che dice che, siccome nella guerra Iran-Iraq mandano i bambini a far saltare le mine, lei che è una normale impiegata con due figli, non può resistere a questa idea. Ogni giorno succedono molte cose così, ma non vengono dichiarate. C'è gente che perde la ragione: l'operaio di Bergman che non credeva più in Dio, diventava matto e poi si sparava perché i cinesi erano troppi ... Però, fortunatamente, la media delle persone può vivere, può continuare a fare l'impiegato, a mangiare, a dormire nonostante che i bambini saltino sulle mine o nonostante altre mille cose così. E' contemporaneamente ovvio che bisogna fare qualcosa di estremo per rivendicare una causa giusta, casomai neanche tanto estrema. E' insomma il modo come funzionano le cose. Piuttosto, ci si potrebbe rammaricare di non avere escogitato qualcosa di più, di non avere più fantasia. li digiuno è una cosa che abbiamo trovato, di cui abbiamo diffidato a lungo per ragioni stupide di pregiudizio e che poi abbiamo semplicemente usato, a volte abusato, ma trovandocela fatta, qualcun altro l'ha inventata e ce l'ha data ... E probabilmente bisognerebbe avere la capacità di inventare altre cose. Ma anche questa capacità è legata ad una fortissima disposizione alla spettacolarità. I grandi che hanno inventato qualcosa, in genere non hanno inventato una forma di testimonianza, di lotta, di affermazione di sé che valesse per tutti, ma hanno fatto delle cose che coincidevano con il loro modo di essere, ma tutto questo avveniva al costo di una fortissima disposizione al mettersi sulla scena. S. Francesco, il più grande esempio italiano di questa qualità, era uno che si poneva il problema di come interrompere una guerra, una rissa, come dividere due che si stanno accoltellando e che cercava di inventare dei mezzi fisici, corporali, giullareschi: faceva capriole, si metteva a cantare come un pazzo ... Aveva sviluppato delle tecniche, aveva deciso di diventare un pazzo di Dio. In questo senso, il modello più bello di tutta questa cosa è naturalmente Gesù Cristo. E l'episodio più bello è quello della lapidazione dell'adultera. San Francesco saltava e faceva capriole Quando andai in Iran, con un pretesto giornalistico, durante la guerra lran-lrak e mi capitò di assistere in video alla lapidazione delle adultere, dovetti ripensare a cosa avrei fatto, a cosa avrei potuto fare per l'adultera, ma anche per me stesso. A come avrei potuto sopravvivere dopo aver assistito inerte alla lapidazione di un 'adultera, e non solo al suo destino. Forse Gesù Cristo si poneva anche questo problema. Allora mi sono figurato cosa fosse effettivamente successo allora. Ho pensato ad una grandissima capacità di utilizzare degli stratagemmi in una situazione estrema, quando si deve inventare, si deve ricorrere ad un espediente, si deve riuscire a distrarre degli scalmanati che si stanno divertendo a tirare delle pietre fino ad ammazzare una signora, si deve renderli per un momento interdetti, farli voltare da un'altra parte, interrogarli sul senso di quello che stanno facendo. E può andare mal issimo, perché un momento dopo essere rimasti interdetti quelli magari lapidano anche te. Un cosa che tutti i giorni può capitare in una rissa stradale fra camionisti o in una giornata di apertura della caccia. Allora questo tipo che non c'entra niente e però si butta inmezzo e grida quella frase misteriosa "chi è senza peccato scagli la prima pietra ...", e allora la gente si mette a pensare cosa vuol dire "chi è senza peccato", "io sono senza peccato?". Intanto però la cosa si è fermata, il meccanismo si è interrotto, si è raffreddato. Quindi io penso che ci sia stata una gran quantità di persone sante che hanno trovato il modo di rompere le regole, di rompere le righe e che poi ci sono tutte le persone normali che ereditano passivamente le invenzioni di queste persone sante e cercano di servirsene quando le regole vengono troppo rotte contro di loro. Ma nella vita quotidiana ordinaria non è quasi inevitahik l'indifferenza verso l'innocente che viene colpito? Garantismo e formalismo non sono comunque impopolari'? Una delle caratteristiche cielnostro modo di vivere è una oscillazione molto forte fra gli estremi. Ci può essere una grande ondata "garantista" e subito dopo una grande ondata "anti-garantista". La stessa oscillazione un poco schizofrenica, superiore alle capacità di controllo razionale della gente, che vale per tutto, dalla moda fino ai successi e insuccessi televisivi. E vale in fondo anche per quanto ha a che fare con problemi più seri, con questioni di vita e di morte. Lo stesso andamento regolato dal nusso dei sondaggi, dalla possibilità di inversione degli stati d'animo a distanza di 24 ore vale un po' per tutte le cose. Non c'è dubbio, per esempio, che una vicenda come quella di Tortora ha avuto un'influenza enorme nel commuovere la gente e nel renderla più attenta a quello che può succedere nei comportamenti della giustizia professionale. Una cosa del genere si può invertire molto rapidamente, addirittura contemporaneamente. Quando un'interpretazione che si presenta come garantista, ma che spesso appare come insensata o addirittura come responsabile di gravissime conseguenze umane, civili, come per esempio sulla mafia, allora la gente abbandona abbastanza rapidamente ... Anche a prescindere dalla manipolazione che viene fatta degli stati d'animo, delle opinioni. Alla luce della mia esperienza mi sembra dirficile pronunciarmi sulla gente. lo credo che si veda un po' di tut1o, nel mio caso come in altri. Intanto io non ho desiderato di fare un gran ricorso alla gente. né ho molto gridato ali' innocente perseguitato e alla scarsa sensibilità verso l'innocenza perseguitala. In tribunale l'innocenza non è un concetto morale, è un concetto giudiziario che ha a che fare con le prove, la loro assenza, le regole, la loro violazione. Sta di fatto che in questa cosa ultima del digiuno, ultima per ora, forse per la prima volta è stato fatto appello all'attenzione, sensibilità e anche partecipazione delle persone e mi pare si sia vista una messa in causa delle persone molto forte e molto promettente. E non già per la mia causa, ma per l'aria che tira ... Al dibattito hai parlato di scacco riguardo a quell'ideale di identificazione con l'altro, in particolare nel rapporto fra nord e sud, che ha animato la tua generazione ... lo non sopporto le affermazioni secondo cui noi siamo stati sconfitti, noi intesi come disegno politico, eccetera. E non per superbia, anzi: quello degli sconfitti mi pare il più degno fra tutti i destini, anche se qualcuno ne fa un vezzo da portare al ballo, ma parlare di una nostra sconfitta mi sembra una ricostruzione impropria. Quella parte di persone che partecipò dell'esperienza estremista della fine degli anni '60, inizio '70, e che poi, ritenendola esaurita, passò ad altra vita, non dico migliore, semplicemente misurò, verificò per intero, in un'esperienza condotta collettivamente, l'esaurimento delle ragioni che l'avevano guidata. Una sconfitta si dà quando in uno scontro, in una battaglia, persone che continuano a credere nelle cose che Ii guidano accettano la prevalenza anche semplicemente fisica, materiale dello schieramento avversario. Quando invece queste persone abbandonano il campo perché non è più il loro campo, perché quella storia si è per loro conclusa - come è stato per noi, e nel modo più evidente, addirittura con le tappe, le date, i convegni, gli scioglimenti ufficiali, senza nessuna resistenza- mi pare improprio parlare di sconfitta. verso la direzione opposta a quella clte ci animò Se però si allude alla ragione più profonda che ci ha guidati, ad un modo di essere di cui l'espressione ideologica, politica, organizzativa era semplicemente una parte e nemmeno la più importante, una maschera, un linguaggio, una gabbia entro cui questa identità umana allora si esprimeva, noi oggi dobbiamo registrare non di non essere riusciti a fare ciò che speravamo o sognavarno di fare, ma il fatto che il mondo sta andando esattamente nel la direzione opposta a quella ragione profonda che ci animò. Noi eravamo guidati da uno straordinario, magari infantile, ingenuo ma trascinante, spirito di riconoscimento di sé negli altri, di identificazione, essendo però diversi dai collettivizzatori. non avendo cioè nessuna simpatia per l'uniformità. per la distruzione delle diversità. Ci piaceva l'unificazione della varietà. che tutti i diversi si mettessero insieme, che ci si nutrisse della diversità individuale, di categoria. cligenerazione, di sesso. Per esempio, pcrnoi contava enormemente. e forse era la molla più significativa, l'eredità rinnovata del la questione nazionale per ecce! lenza. e cioè iI rapporto fra nord e sud c1· Italia ... lo stesso mi trasf'crii al nord

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